Nel numero 2 di Famiglia Cristiana on line è pubblicato un articolo di Fulvio Scaglione intitolato “Ma la missione resta incompiuta”
L’esecuzione di Saddam Hussein ha sollevato negli ultimi giorni accesi dibattiti alimentati anche dai media che hanno mostrato le immagini del dittatore vicino al patibolo, poco prima di essere giustiziato.
Per molti commentatori e anche per il giornalista del settimanale cattolico il tiranno si è dunque trasformato nell’uomo che “affrontava la morte con umana dignità”.
Si sono così obliterati eventi storici drammatici: le torture, i massacri perpetrati per anni da un feroce tiranno che ha avuto a sua disposizione molto più di quanto lui stesso abbia mai concesso alle sue vittime: un processo in un’ aula di giustizia.
Ed è proprio per un senso di giustizia che riteniamo la condanna a morte di Saddam Hussein un atto giusto sotto il profilo storico e non un “idiozia politica” come afferma Fulvio Scaglione.
Se il giornalista si pone inoltre la domanda, Cosa cambierà ora in Iraq?, dovremmo porci anche la domanda opposta: Cosa sarebbe successo se Saddam Hussein fosse stato graziato?
Sicuramente sarebbe stato percepito dai terroristi e dai tiranni come un messaggio di grave debolezza da parte delle democrazie occidentali in un ‘area geografica, il Medio Oriente, nel quale la lotta al terrorismo e alle dittature deve rimanere una priorità.
Riportiamo integralmente l’articolo di Fulvio Scaglione
Ecco il testo:
È come un brutto film, per di più già visto e stravisto. Perché l’esecuzione di Saddam Hussein è solo l’ennesimo anello di una catena di idiozie politiche cominciata con la decisione di attaccare a ogni costo l’Irak, proseguita con le garanzie dei servizi segreti (quegli stessi cui qualche brillante pensatore italiano vorrebbe dare licenza di tortura) sugli arsenali chimici e atomici di Saddam, il segretario di Stato Usa Colin Powell che agita polverine bianche (borotalco?) nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, il "missione compiuta" (1° maggio 2003) ostentato da George Bush sulla portaerei Lincoln, la convinzione che l’arresto di Saddam (dicembre 2003) avrebbe stroncato il terrorismo, su fino ai 2.130 morti iracheni e ai 111 soldati americani uccisi nello scorso dicembre, mentre la Casa Bianca medita su quali consigli del Gruppo di studio sull’Irak convenga accettare. La morte di Saddam, prevista fin dal primo giorno del processo, è figlia legittima di un’impresa politico-militare mal concepita e semplicemente impossibile da eseguire, e come il resto si è subito tramutata nell’esatto contrario. Doveva simboleggiare la fine dell’oppressione di regime ai danni della maggioranza sciita, ha invece ridato fiato all’orgoglio sunnita. Doveva farla finita con Saddam, ha invece ridato "spessore" a un dittatore spregevole in vita, ma capace di affrontare la morte con umana dignità. Doveva essere una "data storica" (parola del presidente Bush), ha invece creato nuovi imbarazzi agli Usa, costretti ora a far trapelare la voce di un rinvio di 14 giorni, chiesto dall’ambasciatore a Baghdad Kalmay Khalilzaid, e dal Governo di Nur al-Maliki, invece, negato. Come se la Casa Bianca non fosse in grado di imporsi, per di più su un tema così scottante, a un Governo che resiste solo grazie al sacrificio dei soldati e dei contribuenti americani. Molti si sono chiesti: che cosa cambierà, ora, in Irak? La risposta è: nulla. Che cosa volete che cambi in un Paese dove a fine 2005 la media era di 100 morti civili al mese e a fine 2006 è diventata di 1.000? Dove il flusso delle autobomba e dei kamikaze è inarrestabile? Dove il Governo legittimo vive e lavora asserragliato all’interno del Comando militare americano? I sunniti hanno preso le armi molto tempo fa, certo non per vendicare la caduta di Saddam Hussein, ma per impedire che, nella spartizione del Paese, a loro tocchi solo un pezzo di deserto. L’odio confessionale contro gli sciiti, da sempre maggioranza ma prima schiacciati dalle baionette degli sgherri di Saddam, ha fatto e sta facendo il resto: non a caso il computo delle vittime si è impennato dopo il 22 febbraio 2006, cioè dopo l’attentato alla "moschea d’oro" sciita di Samarra, che si ritiene organizzato da Al Qaida. Ma l’impiccagione di Saddam ha avuto e avrà un peso notevolissimo nell’arena dove si combatte la vera battaglia, che non è l’Irak e nemmeno il Medio Oriente, ma l’insieme del mondo islamico. Le immagini dell’esecuzione sono state l’ennesima disfatta nella guerra culturale e politica, e decisiva, che tutti combattiamo da anni per dividere quanto più possibile i sentimenti dei popoli musulmani dalla propaganda dei teorici della guerra santa. Ripensiamo a quelle immagini: da un lato, Saddam impaurito ma non piegato, con il Corano tra le mani e una preghiera sulle labbra; dall’altro, un gruppo di uomini mascherati (ma non dovrebbero essere funzionari di Stato?), circondati da una piccola folla che inneggia alla famiglia Al-Sadr (quella di Moqtada, il leader delle milizie con cui le truppe Usa si scontrarono a Najaf già nel 2004) e lo insulta malgrado i richiami del magistrato presente all’atto. Il tutto nel primo giorno di Eid al-Adha, la Festa del sacrificio cara ai sunniti. Nessun dirigente di Al Qaida avrebbe saputo immaginare di meglio per dimostrare che lo Stato iracheno è impaurito in casa propria, vittima degli istinti dell’ala più radicale della maggioranza sciita (le milizie di Moqtada al-Sadr sono ritenute responsabili dell’uccisione di centinaia di sunniti, anche se in risposta ad analoghi e terribili atti di terrorismo), incapace di riunire e pacificare il Paese e quindi legittimato a governare dal solo appoggio anglo-americano. A noi tutto questo può anche sembrare poca cosa, ma è il fronte decisivo. E se in campo militare le cose sembrano andar male, qui vanno anche peggio: dall’inizio delle ostilità le menti del terrorismo hanno sfruttato con grande astuzia le risorse della propaganda, sia con Internet (per la prima volta usata come strumento di comunicazione pubblica globale proprio per mostrare gli orrendi omicidi di Al-Zarkawi) sia con la televisione, dove l’impatto delle nuove emittenti satellitari (Al Jazira, Al Arabiya ) è stato drammaticamente sottovalutato e in ogni caso non adeguatamente bilanciato. Colpa nostra. Esiste ovunque un filoamericanismo miope come l’antiamericanismo di maniera che dice di voler combattere. In Italia è solo più rumoroso e arrogante. Riusciremo mai, tra l’uno e l’altro, a usare la testa?
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