Più alleati, più intelligence la strategia americana della guerra al terrorismo
Testata: Il Foglio Data: 10 gennaio 2007 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Enduring Freedom»
Dal FOGLIO del 10 gennaio 2006:
L’interforza da esportare. L’ammiraglio Mike McConnell, nominato il 5 gennaio scorso direttore della National Intelligence, l’agenzia che coordina tutti i servizi segreti americani sia civili sia militari, ha iniziato bene il suo lavoro. Dal suo ufficio, nel palazzo della Defence Intelligence Agency (Dia), sulle rive del Potomac, il successore di John Negroponte nella notte di domenica ha seguito le operazioni americane in Somalia. Operazioni congiunte – Cia-Pentagono-intelligence militare di ogni tipo – per catturare alcuni uomini di al Qaida, sfuggiti alla cattura a Mogadisco da parte delle truppe etiopi, a sostegno dell’esercito somalo, e rifiugiati con le Corti islamiche alla frontiera con il Kenya. L’America, uccidendo e catturando con l’uso di specialisti terrestri, aerei da bombardamento e sorveglianza marittima, ha chiuso o quasi un vecchio conto con l’estremismo islamico somalo. Al Pentagono e alla Cia, ma anche alla Casa Bianca e a Foggy Bottom, ricordano con rabbia la terribile giornata del 3 ottobre 1993 (18 soldati uccisi e trascinati nella polvere a Mogadiscio), il ritiro dalla Somalia deciso dall’allora presidente Bill Clinton il 31 marzo 1994, gli attacchi sanguinosi di al Qaida alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania (coordinati proprio da Mogadiscio). L’operazione è stata festeggiata non soltanto a Washington, ma anche sulla portaerei Eisenhower, centrale operativa in mare, nella base americana di Gibuti, all’ambasciata americana di Addis Abeba, vera struttura organizzativa dell’operazione in Somalia, partita prima di Natale e finita con la liberazione del paese dai terroristi delle Corti islamiche. L’ammiraglio Mike McConnel spera che questa unità operativa interforze, realizzata con il blitz alla frontiera col Kenya, possa continuare in tutti gli altri scenari della lotta al terrorismo, dall’Iraq al Waziristan all’Afghanistan. Mc- Connell è d’accordo con il presidente George W. Bush: “I terroristi li dobbiamo catturare ovunque si trovino”. Gli Stati Uniti d’ora in poi andranno con la mano pesante. Chi a Washington si occupa di questi argomenti ritiene che le prossime settimne la scena della lotta ai criminali islamisti si scalderà parecchio. A Langley è tutto un via vai di uomini dei servizi di paesi alleati, dal Pakistan all’Egitto, dall’Arabia Saudita agli stati africani amici di Washington (Uganda, Kenya, Etiopia, Tanzania). Si torna a parlare di cattura di bin Laden e al Zawahiri, sfuggiti a un blitz pachistano-americano prima di Natale. Bush, tramite la Sicurezza nazionale (come dimostra il viaggio mediorentale di Stephen Hadley), Foggy Bottom e Pentagono, ha avuto il via libera dagli alleati. Sono entusiasti i giordani che proprio ieri, con l’aiuto americano, hanno sferrato un duro colpo alla cellula locale di al Qaida. Tutto quel che passa dall’Egitto a Gaza. Chi ha informato (e costretto ad agire) le supreme autorità egiziane il 14 dicembre scorso, quando il premier palestinese, Ismail Haniye, è stato fermato con 35 milioni di dollari a Rafah? Gli americani che lo avevano seguito nel suo lungo itinerare da Teheran in poi. Nel trambusto un ministro di Hamas è comunque riuscito a contrabbandare a Gaza sette milioni di dollari. Il valico di Rafah, che dovrebbe essere controllato dagli egiziani, è un groviera che permette a Hamas di imbottirsi di fondi destinati alla lotta terroristica contro Israele e alle milizie. L’Egitto non permette il trasferimento di denaro al governo di Hamas per via bancaria. Ma alla frontiera è tutto un andare e venire. Negli ultimi mesi, secondo dati dell’intelligence raccolti dagli americani in base a dichiarazioni di ministri palestinesi, ben settanta milioni di dollari sono transitati attraverso Rafah sotto gli occhi socchiusi e benevoli dei doganieri egiziani. Per ogni somma c’è una percentuale a disposizione di agenti e ufficiali. Altri cinquanta milioni di dollari sono stati portati a Gaza da ministri del governo Haniye. Il 10 giugno 2006, il ministro degli Esteri, Mahmmoud al Zahr, è tornato dall’Iran con una valigia piena di dollari. Il 10 ottobre scorso, un buon bottino lo ha travasato a Gaza, via Rafah, il ministro dell’Interno, Said Siam. Il presidente dell’Anp, Abu Mazen, anche lui vittima dei fondi iraniani a Hamas, ha protestato con Hosni Mubarak e col generale Omar Suleiman, capo dei servizi segreti egiziani: “Da una parte mi sostenete e dall’altra lasciate che i fondi iraniani passino ai miei nemici”, ha detto Abu Mazen. Da qui le pressoni americane sull’Egitto e le informazioni da Langley per il Cairo.
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