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Europa Rassegna Stampa
09.01.2007 "Iraq agli iracheni"
uno slogan vuoto, dietro al quale si nascondono nazionalismo , statalismo e indulgenza verso i tiranni del tezo mondo

Testata: Europa
Data: 09 gennaio 2007
Pagina: 3
Autore: Francesca Giorgi
Titolo: ««E ora tolgono anche l’Iraq agli iracheni»»

L'Iraq, ai tempi di Saddam Hussein, quando il petrolio era controllato dallo Stato e i suoi proventi servivano a finanziare la megalomania e le guerre del dittatore, era "degli iracheni".
Oggi, con le esportazioni del greggio bloccate dal terrorismo, è ancora "degli iracheni".
Ma domani, dovesse passare la legge che permette, per 30 anni,  la gestiione dei pozzi e l'incasso di parte del proventi, a compagnie straniere, l'Iraq non sarà più "degli iracheni".
Lo sostiene, intervistato da EUROPA del 9 gennaio 2007,  l'esperto di questioni petrolifere dell'associazione btritannica Platform che "si batte per la giustizia sociale e ambientale".
O piuttosto per il nazionalismo, lo statalismo e i dittatori del terzo mondo?
Ecco il testo dell'intervista, pubblicato con grande evidenza a pagina 3 del quotidiano della Margherita: 


Secondo il quotidiano inglese The Indipendent, il governo iracheno starebbe per proporre al parlamento una legge di riforma del mercato petrolifero che aprirà alle compagnie multinazionali e alla privatizzazione. Europa ha chiesto un commento a Greg Muttitt, esperto di questioni petrolifere di Platform, una organizzazione britannica che si batte per la giustizia sociale e ambientale.
Secondo lei la legge verrà approvata?
Coloro che prendono le decisioni in Iraq subiscono molte pressioni da parte di interessi esterni. In tutta l’area è forte l’influenza degli americani e dei grandi gruppi economici.
Anche se la maggioranza del popolo iracheno è fortemente contraria a qualsiasi forma di privatizzazione, il risultato finale rifletterà gli interessi dei legislatori iracheni, che coincidono con quelli dei gruppi di pressione.
Come reagiranno gli iracheni a questa legge?
Se si chiede agli iracheni la loro opinione su cosa debba accadere del petrolio, se esso debba essere controllato dalla compagnia pubblica irachena o da compagnie straniere, la risposta è quasi scontata, perché si lega a fattori storici e culturali. È quasi una domanda sulla loro identità: per gli iracheni è naturale che il petrolio debba essere mantenuto in mano pubblica e rimanere una risorsa nazionale.
Il vero problema però, in questo momento, è la completa mancanza di informazione in Iraq. Se la legge verrà approvata, lo sarà dopo un confronto con gli americani e con le compagnie multinazionali. Fino a ora la proposta non è mai stata presentata agli iracheni.
Uno dei modi per sapere cosa sta succedendo in Iraq, in tutti i settori, è leggere i giornali che circolano all’interno delle compagnie petrolifere. Di questa legge si è parlato costantemente, con almeno due o tre articoli alla settimana, a partire dalla scorsa estate. Nei quotidiani iracheni, invece, l’argomento non è stato neanche accennato.
Non c’è stato confronto con i gruppi sociali, neanche in parlamento si è mai discusso. Perciò al momento non può esserci alcuna reazione, perché nessuno è informato.
Quando la popolazione verrà a conoscenza della legge, reagirà con molta rabbia e preoccupazione. Un sondaggio della scorsa estate ha rilevato che circa l’80 per cento degli iracheni pensa che la ragione principale della guerra sia stata prendere il controllo del petrolio iracheno. Sapere di questa legge contribuirà a consolidare questi sospetti.
Quali compagnie petrolifere potrebbero essere maggiormente interessate al mercato iracheno? Si parla soprattutto di aziende russe e cinesi.
Penso che tutte le compagnie petrolifere del mondo siano estremamente interessate all’Iraq. L’Iraq possiede le terze maggiori riserve del mondo, con costi di estrazione fra i più bassi. Qualsiasi compagnia vorrebbe entrare in un mercato del genere. La vera questione è in quale momento e a quali condizioni. Le compagnie guardano all’Iraq e vedono la possibilità di enormi profitti, accesso a riserve più grandi che in qualsiasi altra parte del mondo.
D’altra parte ci sono rischi ovvi, riguardo alla sicurezza e alla politica. Qualsiasi compagnia guarda di più ai guadagni che ai rischi, ma la combinazione dei due fattori determina quanto ciascuna di esse sia disposta a inserirsi nel mercato. È questa la ragione per la quale penso che le compagnie cinesi e russe saranno le prime, perché i loro governi possono prendere su di sé e coprire questi rischi.
Il maggiore interesse russo in Iraq è della compagnia Lukoil, che sta cercando di rinnovare un contratto firmato con Saddam. In questo progetto è coinvolta anche una società americana chiamata Conoco Phillips. Entrambe hanno investito già molto per posizionarsi, fare lobbying, prendere contatti all’interno del ministero iracheno del petrolio, e così hanno fatto molte altre compagnie americane ed europee. Compagnie diverse entreranno in Iraq in tempi diversi, anche a seconda dei rischi che vorranno correre.
Che impatto avrà la legge sul mercato petrolifero mondiale e come reagirà l’Opec? Non penso che avrà un impatto immediato e diretto, piuttosto inciderà nella politica economica del mercato petrolifero nel lungo periodo. Gli americani e le compagnie multinazionali stanno tentando di aumentare il proprio potere in relazione all’Opec. La maggior parte delle riserve di petrolio nel mondo sono oggi controllate da compagnie nazionali, soprattutto appartenenti a governi membri dell’Opec. Naturalmente questa è una situazione di cui le compagnie multinazionali e i governi di Stati Uniti, Gran Bretagna e del resto d’Europa, non sono strategicamente soddisfatti. L’obiettivo strategico principale che essi stanno tentando di raggiungere è prendere il controllo di una quota maggiore di risorse petrolifere. Quelle irachene sarebbero le maggiori risorse petrolifere mondiali controllate dalle compagnie multinazionali. Questo limiterebbe senza dubbio il potere dell’Opec, e metterebbe una fortissima pressione su altri stati, in particolare sui vicini dell’Iraq, in una direzione simile.
Come funziona in questo momento il settore petrolifero iracheno?
Al momento è un settore interamente pubblico. Ci sono diverse compagnie tutte controllate dal governo iracheno.
Lo stesso modello è seguito in molte regioni e in molti stati che hanno grandi riserve di petrolio come l’Iraq, ad esempio in Arabia Saudita, Kuwait, anche in Iran, per certi versi. La Russia ha liberalizzato molto negli anni Novanta ma adesso sta tornando indietro verso il rafforzamento della compagnia nazionale. L’idea di privatizzare il settore e di mettere il petrolio in mano alle compagnie multinazionali sarebbe un cambiamento radicale.
Cosa succederà in caso di approvazione della legge? Se la legge verrà approvata, il governo iracheno negozierà con le compagnie multinazionali e verranno firmati dei contratti che potranno valere per vent’anni o anche di più.
È abbastanza probabile che questi contratti possano essere firmati prima della fine dell’anno. Ciò che preoccupa maggiormente è che con questi contratti l’Iraq potrebbe impegnarsi per decenni, in un momento in cui non è ancora un paese libero, dato che sul suo territorio ci sono ancora 150.000 soldati stranieri. In un paese così dipendente dal petrolio – potremmo dire che il petrolio è l’Iraq, dato che rappresenta il 77 per cento del Pil – l’idea di impegnarsi per venti o trent’anni con le compagnie straniere è molto pericolosa.
Effettivamente, l’Iraq è ancora un paese in guerra...
Naturalmente questo è un problema per le compagnie petrolifere, è difficile operare in queste circostanze. Ho sentito opinioni molto diverse da persone che lavorano nelle compagnie petrolifere e da coloro che invece ricoprono incarichi istituzionali. Alcuni dicono che non si faranno coinvolgere fino a che la sicurezza non verrà migliorata, altri, comprese le lobbies petrolifere e perfino all’interno del governo americano, dicono che in realtà non è un roblema così grande come si dice. Certamente le compagnie petrolifere hanno già operato in zone di guerra civile in passato, per esempio in Angola, Nigeria e Colombia, e sanno come affrontare questo tipo di situazioni. Se entreranno nel mercato iracheno nel prossimo futuro, come sembra, sicuramente porteranno con loro piccoli eserciti privati e la mia grande paura è che, come è accaduto in Colombia, chiunque le critichi possa rimanere vittima di questi eserciti. Tutte le compagnie che entreranno in Iraq renderanno la situazione molto più violenta di quella attuale.
Lei pensa, dunque, che la conquista del petrolio iracheno sia stata la vera ragione della guerra americana?
La mia opinione personale è che la politica estera che porta alla guerra non è mai basata su un’unica ragione o un unico obiettivo. Ci sono molte ragioni strategiche importanti dietro la decisione americana di andare in guerra, correlate con il petrolio. Da una parte il controllo del petrolio iracheno, dall’altra l’influenza sul resto della regione.

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