Tutte le opere – Isaak Babel
a cura di Adriano dell’Asta traduzione di Gianlorenzo Pacini
Mondatori Euro 55,00
Un maestro chasidico capitato nel secolo sbagliato, che invece di insegnare la Torah diffonde il verbo di una rivoluzione sublime e miserabile al tempo stesso. Isaak Babel’, poeta dell’armata rossa e degli eccessi del sogno sovietico, fu in realtà un cantastorie ironico, un rabbi senza sinagoga e senza fedeli, costretto tra un’invincibile nostalgia e un’utopia minacciosa.
Pochi narratori sono più profondamente ebraici di Babel’, anche se, in lui, l’ebraicità è una qualità interna più che uno scopo artistico. Ma forse sono proprio le continue stonature e l’affiorare quasi casuale di cadenze giudaiche a rendere molte delle sue prove espressive – e innanzitutto i Racconti di Odessa – veri manifesti di una diaspora d’inguaribili perdenti
L’edizione di tutte le opere di Babel’, curata da Adriano Dell’Asta con uno scritto di Serena Vitale, offre l’occasione di ripercorrere l’inventario di una scrittura invaghita dei paradossi. Accanto ai racconti e all’Armata a cavallo, il libro raccoglie anche le pièces teatrali, le sceneggiature, i testi giornalistici e le note del diario, nonché una puntuale ricostruzione della biografia, fino all’arresto, ai verbali d’interrogatorio e alla condanna a morte. C’è quanto basta per cercare di capire l’avventura umana dello scrittore e la sua sempre insoddisfatta ricerca di un punto d’ equilibrio.
Babel’ impersona il fato oltremodo letterario di un eroe proprio malgrado. Nacque a Odessa nel 1894, nel quartiere della Moldavanka nei pressi dello scalo merci, un’enclave ebraica vivace e malfamata. "Odessa è una città molto brutta, lo sanno tutti….la più incantevole dell’impero russo". In questo giudizio, espresso in uno dei suoi primi racconti, lo scrittore riassume l’equivoca malia della "sua" Odessa, in cui vede quasi una terra promessa.
Non a caso, la vitalità del meridione russo si colora, per Babel’, di una forza escatologica: "Il messia letterario, da tanto tempo e tanto inutilmente atteso, giungerà di laggiù, dalle steppe assolate, bagnate dal mare".
Dalla propria famiglia di commercianti, al crocevia tra vecchio retaggio Yiddish e assimilazione borghese, il giovane Isaak eredita il mito della cultura come strumento di promozione sociale. E’ studente brillante, avido di letture, e già nel 1913 si cimenta nel primo racconto, la storia di un vecchio ebreo che preferisce suicidarsi piuttosto che assistere alla conversione del figlio.
Nel 1916 incontra Maksim Gor’kij, che rimarrà per lui figura di riferimento nella vita e nell’arte. Ma è la rivoluzione del 1917 a scuotere dal profondo la sua biografia. Diventa traduttore per la Ceka, la Commissione straordinaria per la lotta alla controrivoluzione e al sabotaggio, e nel 1920 viene accreditato come corrispondente di guerra.
Dall’esperienza del conflitto russo-polacco nascono i racconti dell’Armata a cavallo, intessuti di orrori ma anche di un picaresco senso di umanità.
E’ l’inizio di un fortunato apogeo letterario. Più che alla stretta osservanza marxista, Babel’ appartiene al variegato plotone dei "compagni di strada" e riesce a ritagliarsi un proprio spazio di autonomia espressiva, pur tra le maglie sempre più strette dell’ortodossia sovietica.
All’inizio degli anni Trenta, guardando retrospettivamente alla propria esperienza creativa, Babl’ può parlare di una "splendida vita, piena di pensiero e di allegria". E’ vero che la moglie si è trasferita già nel 1925 a Parigi, forse anche in seguito agli amorazzi di Isaak, e che lui stesso subisce il fascino dei circoli intellettuali francesi, ma il suo cuore resta indissolubilmente legato alla madre patria: "Nonostante tutte le grane mi sento bene sul suolo avito: c’è povertà, molte cose sono tristi ma è la mia sostanza, la mia lingua, sono i miei interessi".
Sebbene in quegli anni l’atmosfera si faccia progressivamente più pesante, Babel’ sembra miracolosamente navigare tra delazioni e le prime devastanti campagne del terrore staliniano. A soffrirne è tuttavia la sua serenità di lavoro:"Finchè non pubblico – confessa nel ’36 – mi si può accusare solo di indolenza. Ma, se pubblicassi, immediatamente attirerei su questa zucca pelata un fiume di accuse….sono come una bella ragazza che tutti invitano a ballare, ma….appena cominciassi a ballare sarebbe chiaro che tutti mi credevano bella solo finchè restavo al mio posto".
La situazione precipita nel maggio 1939, con l’arresto e l’accusa di tradimento dello Stato sovietico. Dopo mesi d’interrogatori, in cui tra l’altro accusa presunti complici, per poi ritrattare, Babel’ viene fucilato all’una e mezza di notte del 27 gennaio 1940. L’esecuzione avviene nel pieno centro di Mosca, ma per anni la sua fine rimane avvolta dal mistero e solo a partire dal 1954 comincia una lenta riabilitazione, che gli restituisce il ruolo di protagonista della letteratura russa.
Le pagine di Babel’ raccolgono alcune delle scene più terribili di pogrom che sia dato trovare nel Novecento. La sua prosa può essere minuziosa fino alla crudeltà, e alcuni dei racconti usciti dalla sua penna contengono scene di assoluta violenza. Certo, la sua avventura espressiva travalica i limiti del giudaismo, eppure il nucleo ebraico brilla al centro delle sue pagine come una sorgente di dubbio e di rimpianto. "Un tempo, la gente credeva in Dio – si lascia sfuggire un suo personaggio – ed era più facile vivere al mondo", ma proprio perché l’innocenza della tradizione è perduta, l’ebraismo diventa per Babel’ una striatura dell’anima.
Giulio Busi
Il Sole 24 Ore