Sergio Romano risponde oggi, 05/01/2007, a pag.39, sul CORRIERE della SERA, a un lettore che gli chiede lumi sugli ebrei iraniani. Romano va letto attentamente, soprattutto per quello che non dice. Per esempio tralascia di dire che il gesto di Khomeni dopo la presa del potere, fu quello di far fucilare sulla pubblica piazza il presidente della comunità ebraica di Teheran. Non perchè avesse commesso qualche reato, ma per dare un ammonimento agli altri ebrei, rei, secondo Khomeini, di avere intrattenuto buoni rapporti con il regime dello Scià. E' poi vero che c'è un deputato ebreo, la cui presenza nel parlamento è puramente strumentale. Certo ci sono sinagoghe,cimiteri, in realtà Ahmadinejad non ce l'ha contro i restanti ebrei iraniani, basta che stiano zitti e ubbidienti. Vuole solo distruggere Israele, ma questo per Romano è solo un particolare. A lui interessa evidenziare quelle nostizie che possono dimostrare che gli ebrei nei paesi musulmani, tutto sommato, non stanno poi così male.
Leggendo sul Corriere un articolo sulla conferenza che si è tenuta a Teheran sull'Olocausto, ho appreso che in Iran vive una comunità di circa 25.000 ebrei e che un loro rappresentante è stato eletto al parlamento iraniano.
Considerate le attuali posizioni della dirigenza iraniana in merito a Israele, la notizia mi ha molto sorpreso. Come è possibile che uno Stato dichiaratamente anti-israeliano, il cui presidente dichiara espressamente la sua aspirazione a distruggere Israele, tolleri poi la presenza di ebrei nei suoi confini? È vero che diversi Paesi musulmani intrattengono relazioni diplomatiche con Israele, ma la presenza di una comunità ebraica in Iran mi sembra un controsenso con la politica estera di questo Paese e le posizioni politiche e religiose della sua leadership.
Mi piacerebbe avere qualche notizia in merito a questa comunità, alla sua storia e alla sua dottrina religiosa e conoscere il comportamento dello Stato iraniano nei suoi confronti, così come vorrei avere informazioni in merito a eventuali altre comunità ebraiche che vivano in Paesi musulmani.
Diego Lambertini
diego.lambertini@libero.it
Caro Lambertini, alle esequie per la morte di Giovanni Paolo II, in piazza San Pietro, parteciparono, seduti a breve distanza, il presidente iraniano Mohammad Khatami e il presidente israeliano Moshe Katsav. Quando s'incrociarono e si strinsero la mano, il secondo indirizzò al primo qualche parola di saluto in farsi, la lingua indoeuropea dei persiani che Katsav, nato in Iran, conosce perfettamente. Secondo il «Jewish Year Book» del 1902 (una pubblicazione inglese che conteneva informazioni sull'ebraismo mondiale e sulle sue maggiori istituzioni e personalità), gli ebrei iraniani erano agli inizi del Novecento 35.000. Mezzo secolo più tardi, al momento della costituzione dello Stato d'Israele, ve n'erano circa 150.000. Gli emigranti, fra il 1948 e il 1968, furono più o meno 55.000. Ma nel 1971, secondo l'«Enciclopedia Giudaica», vivevano ancora in Iran 80.000 ebrei. Il numero diminuì considerevolmente dopo la rivoluzione iraniana del 1978, quando il regime degli Ayatollah adottò una virulenta politica antisionista. Ma questo non impedì ai due Paesi di continuare ad avere, sia pure informalmente, rapporti economici (alcuni uomini d'affari israeliani hanno visitato l'Iran con discrezione qualche mese fa) e a un numero imprecisato di ebrei (35.000 secondo alcuni, 25.000 secondo altri) di restare in Iran. Vi fu un processo a Shiraz nel 2000 contro tredici ebrei accusati di spionaggio a favore di Israele. Tre vennero rilasciati e dieci condannati a pene fra i 4 e i 13 anni di carcere. Si trattò probabilmente di un episodio nella battaglia che i conservatori del regime stavano conducendo contro la politica «troppo» riformatrice dell'Ayatollah Khatami. La comunità ebraica è rappresentata in parlamento da un deputato, Maurice Mohtamed, che giura fedeltà allo Stato sull'Antico Testamento, ha sinagoghe e ospedali, celebra i propri riti funebri, presta servizio militare, può lavorare nella funzione pubblica. Vi sono occasionalmente segnali di giudeofobia in alcuni giornali, come all'epoca dell'ultima guerra libanese. Ma il leader della comunità ebraica, Unees Hammami, intervistato dalla Bbc qualche mese fa, ha ricordato che gli ebrei iraniani sono gli eredi degli ebrei babilonesi che Ciro il Grande riscattò dalla prigionia nel 538 a.C., quando l'impero persiano conquisto la Mesopotamia. È questa la ragione per cui il regime li tratta, per certi aspetti, come una sorta di reliquia nazionale. Il recente convegno di Teheran sull'Olocausto, a cui lei fa riferimento, ne è paradossalmente una conferma. Il presidente Ahmadinejad sta conducendo una dissennata campagna revisionista ed è riuscito a screditare in tal modo persino gli argomenti meno contestabili della politica iraniana. Ma per dare credibilità alla sua iniziativa è riuscito a scovare qualche compiacente rabbino antisionista (ne esistono parecchi). Era un modo per affermare, nello spirito dell'Ayatollah Khomeini fondatore della Repubblica islamica, che l'Iran non confonde l'ebraismo con il sionismo. Esistono altre comunità ebraiche nel mondo musulmano. Ma nessuna di esse è importante come quella iraniana.
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