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Non vi dimenticherò mai, bambini miei di Auschwitz –Denise Holstein Il Melangolo Euro 10,00 Anche Denise va talvolta al cinema per vedere film sulla Shoah ma ne esce “dopo dieci minuti con la voglia di urlare per come tradiscono la verità. C’è sempre una donna graziosa, un bel deportato, una storia d’amore che non sta in piedi”. Meglio il silenzio, allora. E infatti Denise tace per 45 anni. Quando finalmente trova il coraggio per comunicare, le parole fluiscono come se gli eventi fossero appena accaduti. Si direbbe che il trauma del lager porti con sé una misteriosa simultaneità della memoria: il tono del racconto, le osservazioni psicologiche e i paesaggi stessi sembrano ancora, a distanza di tanti anni, quelli percepiti dall’adolescente, strappata alla sua casa di Reims e gettata nella macchina dell’annientamento. L’effetto straniante,che ha fatto di queste memorie –ora tradotte dal Melangolo -, un caso letterario in Francia, è dato dal profondo contrasto tra la semplicità quasi ingenua della scrittura e la terribile crudezza delle immagini che scorrono davanti al lettore. Senza retorica, senza enfatizzare i propri sentimenti ma anche senza scusarsi, la Holstein riesce a rendere con precisione il pervasivo incessante terrore e la paura senza confini, disumana nella sua dimensione assoluta. Le stazioni di questa storia sono in un certo senso ”prevedibili”. Attorno alla famiglia ebraica del dott. Holstein, stimato dentista della provincia francese, si stringe a poco a poco il cerchio della persecuzione. Prima le angherie quotidiane, imposte dagli occupanti tedeschi e assecondate dai francesi con relativa indifferenza, poi l’arresto e la prima deportazione verso il centro di transito di Drancy. Da qui, i genitori di Denise vengono spediti direttamente ad Auschwitz per essere uccisi, mentre la ragazza riesce ad avere, per qualche mese, un incarico come accompagnatrice dei bambini ebrei orfani. L’interludio, tuttavia, rende solo più terribile l’arrivo al campo di sterminio, dove Denise assiste impotente all’assassinio dei piccoli nelle camere a gas. “Il cielo è rosso, l’odore spaventoso, l’aria irrespirabile. Fiamme gigantesche escono dai camini”. Nelle ultime settimane di prigionia è assegnata a una baracca proprio di fronte ai forni crematori: “Come si può vivere, dormire, mangiare davanti a un simile spettacolo?” La guerra sta ormai per finire e Denise sa di essere “giovane, abbastanza forte e di volerne venir fuori”. Gli alleati sono sempre più vicini, i tedeschi abbandonano la Polonia e Denise è trasferita, assieme ad altri prigionieri, a Bergen-Belsen. Il 6 di febbraio del 1945 compie diciotto anni e ricorda che suo padre le aveva promesso per quel giorno una bella festa. Così si fa da sola un regalo, un paio di stivali che le costa “quattro giorni di pane e una settimana di margarina” e alla fine della quale è allo stremo delle sue forze. Il 15 aprile i soldati inglesi che liberano il campo distribuiscono le loro razioni alimentari. Così è la pietà questa volta a uccidere, perché molti muoiono per dissenteria. Denise però ce la fa: “Ho veramente l’impressione di attraversare la porta dell’inferno, ma nel senso buono, quello dell’uscita”. Nella ormai sconfinata letteratura sulla Shoah, il racconto autobiografico di Denise Holstein rientra nel novero delle testimonianze tardive e della scrittura priva di orpelli. Ma davanti un simile materiale è davvero difficile esercitare il mestiere impersonale della critica letteraria. Giulio Busi Il Sole 24 Ore |
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