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La Stampa Rassegna Stampa
03.01.2007 Scenari prossimi futuri
nella cronaca di Aldo Baquis

Testata: La Stampa
Data: 03 gennaio 2007
Pagina: 6
Autore: Aldo Baquis
Titolo: «Israele potrà sopravvivere ?»

Sotto un titolo " Israele potrà sopravvivere ?", che si può interpretare in due modi ( li lasciamo dedurre ai lettori...) LA STAMPA pubblica oggi, 03/01/2007, a pag.6, a differenza del titolo, un interessante articolo di Aldo Baquis sul pericolo nucleare che prima o poi lo Stato ebraico dovrà affrontare. Eccolo:

TEL AVIV
Al termine del 2006 la preponderanza militare di Israele nel Medio Oriente resta indiscussa eppure - avverte l’ultimo rapporto del Centro di studi strategici di Tel Aviv Inss - nella regione stanno prendendo forma processi che mettono in dicussione la sua stabilità. «Siamo al tempo stesso potenti e vulnerabili», sintetizza il direttore Zvi Shtauber, secondo cui la guerra in Libano ha eroso il deterrente israeliano sia con i vicini arabi sia agli occhi di Paesi amici in Occidente.
La lista delle insidie è lung. Territori palestinesi: Hamas si sta stabilizzando e probabilmente vincerebbe anche nuove elezioni democratiche. Di conseguenza si allontanano le speranze di un accordo politico per la spartizione in due Stati. Forse già oggi non è più possibile uno Stato palestinese indipendente in grado di sussistere. In assenza di una spartizione - si chiede Shtauber - fino a quando sarà possibile tenere in vita Israele come Stato in prevalenza ebraico e democratico? «Il tempo non lavora a nostro favore, la minaccia demografica è per noi il nemico n. 1», conclude.
Se le forze armate israeliane hanno perso colpi in Libano, anche gli alleati americani non riescono a stabilizzare la situazione in Iraq. Nemmeno la lotta contro il terrorismo globale registra progressi di rilievo, ammettono i ricercatori che, pur essendo originari dell’establishment politico e militare di Israele si vantano di aver piena libertà di espressione accademica.
La minaccia più evidente resta quella dell’Iran. Shtauber e compagni non hanno dubbi: «Il possesso da parte dell’Iran di armi nucleari è solo questione di tempo». Da un lato, la volontà inflessibile dei dirigenti iraniani e del loro popolo di diventare una potenza nucleare, dall’altro l’incertezza internazionale sulle sanzioni. «Presto o tardi un primo ministro israeliano dovrà decidere se ricorrere alla forza contro l’Iran. Non vorrei - ammette Shtauber - essere nei suoi panni».
Non si parla di fantapolitica, ma praticamente di domani. «Tempo un anno, due, tre al massimo dovremo prendere una decisione», avverte un altro ricercatore, Ephraim Kam. I giornalisti alla conferenza stampa dell’Isnn avevano davanti i quotidiani del mattino: parlano di un ministro della Difesa, Amir Peretz, che potrebbe presto dimettersi; di un capo di Stato maggiore, Dan Halutz, contestato dai suoi stessi collaboratori; di un premier, Ehud Olmert, indebolito da scandali politici. Non certo la formazione migliore per ripetere l’exploit del luglio 1982 quando Menachem Begin ordinò all’aviazione di incenerire il reattore nucleare franco-iracheno di Osirak, presso Baghdad.
Agire preventivamente contro l’Iran comporterebbe per Israele un prezzo comunque inferiore - secondo gli esperti - che non accettare supinamente che Ahmadinejad entri in possesso della bomba. «Il giorno dopo che Teheran si dotasse del materiale fissile necessario il Medio Oriente cambierebbe completamente volto»: almeno sei Paesi cercherebbero di emularla.
«Sarebbe un’operazione problematica, molto più che Osirak», prosegue Kam. «Ma volendo rischiare, sarebbe possibile». Con un «ma»: Israele non può scattare senza un preciso assenso di Washington.
In un panorama così deprimente Shtauber e compagni non dimenticano di menzionare anche gli spiragli di luce. Israele mantiene relazioni molto strette con gli Usa e ha migliorato quelle con l’Europa; la sua economia è florida e il margine militare sui vicini resta considerevole; gli accordi di pace con Egitto e Giordania reggono; e nuovi interessi comuni stanno emergendo con altri Paesi vicini. Fra questi la Arabia Saudita che «trema» al pensiero di un’atomica iraniana e si sta gradualmente schierando al fianco di Egitto e Giordania.

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