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La Repubblica Rassegna Stampa
02.01.2007 Gli ebrei morti si commemorano volentieri
anche se non lo sono ancora, come Sharon

Testata: La Repubblica
Data: 02 gennaio 2007
Pagina: 23
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Un anno senza Sharon»

All'apparenza l'articolo sembra equilibrato. Ma l'impressione viene corretta subito proseguendone la lettura. Sharon è ormai fuori gioco, non è ancora morto ma quasi. Cambia quindi il liguaggio di Stabile, non è più l'attacco brutale, ma la distruzione della sua immagine avviene lo stesso. L'interpratazione che da di Kadima, e del progetto che ne ha fovorito la nascita, è poi grottesca. Alla fine il lettore di REPUBBLICA rimane convinto che Sharon ha sempre sbagliato tutto. L'articolo è a pag. 23 di REPUBBLICA di oggi 2/1/2007.

Eccolo:

GERUSALEMME - In un piccola stanza a due letti del reparto di "rieducazione respiratoria" del policlinico Sheeba-Tel Hashomer, di Tel Aviv, giace Ariel Sharon, incosciente e intubato. Da un anno, quello che è stato definito "l´ultimo dei giganti" d´Israele si trova nella twilight zone, tra la vita e la morte, indifferente a ciò che lo circonda e ai suoi stessi bisogni, non vede, non sente, non capisce e, secondo i medici, non prova nemmeno dolore.
Un essere umano nelle fattezze ridotto allo stato primordiale di una pianta. Può eccitare la fantasia il singolare contrappasso che vede uno dei protagonisti della storia israeliana, inarrestabile nella sua volontà di apparire sempre e comunque decisivo nell´arco di quasi sessant´anni, consumare i suoi ultimi giorni tra l´indifferenza e il rimpianto, in una sorta d´oblio controllato che non permette di celebrarlo come un eroe defunto ma neanche di considerarlo come una persona viva.
Eppure, gli effetti della sua complessa e contraddittoria grandezza sono ancora sotto gli occhi di tutti, s´irradiano sulla scena politica e sulle vicende del conflitto. Quel che è successo in un campo e nell´altro, nell´anno appena trascorso dal secondo devastante ictus che l´ha colpito il 4 gennaio del 2006, non è che l´effetto dell´azione politica dispiegata da Sharon nei cinque anni trascorsi alla guida del governo. I suoi successori si sono rivelati assai meno temerari di lui, ma anche del tutto privi della sua inventiva.
E come spesso accade agli "indispensabili" della Storia, la fine di "Arik Re d´Israele", come scherzando ma non troppo lo chiamavano i suoi seguaci, umanissima e persino banale se si trattasse di un comune mortale, si trascina e si trasforma in un dramma intimo e collettivo del potere.
C´è sicuramente molto amore nella costanza con cui i figli, Omri e Gilad, e la nuora, Inbal, una capo infermiera improvvisata ed efficace, cercano di scuotere il vecchio padre dal suo sonno senza ritorno. Gli raccontano all´orecchio le storie di famiglia, gli fanno ascoltare per ore la sua musica preferita, ne registrano, come in un diario di guerra, ogni minimo movimento del corpo, comprensibilmente ma anche magicamente aggrappati alla certezza che, prima o poi, il miracolo del risveglio avverrà.
I medici curanti evitano di pronunciare il verdetto che tutti conoscono.
Avvolto nell´ampio pigiama dei degenti, collegato alla macchina per la respirazione e alle fleboclisi, Sharon, ha raccontato un testimone anonimo, forse il parente di un altro paziente del reparto, viene rasato lavato e pulito ogni mattina e spostato varie volte al giorno per evitare le piaghe da decubito.
Ha perso molto peso, ma la sua pelle è rosea e tirata. Tre infermiere lo seguono affettuosamente, nell´arco delle 24 ore. Una lo chiama "l´angelo addormentato", un´altra, "il bello".
Non che la legge israeliana, che pure in poche limitatissime fattispecie la consente, possa permettere l´eutanasia in un caso come questo, visto che il "paziente" non è grado di esprimere una sua volontà in proposito, ed è persino difficile per i medici determinare se si trovi, o no, in uno stato terminale.
La verità, fuori da ogni metafora è che il paziente Sharon può andare avanti così per anni fra improvvisi aggravamenti e ritorni alla "stabilità", nella più buia e irreversibile incoscienza, fino a quando il suo vecchio cuore non cesserà di battere.
Sharon il politico, il generale, invece, è stato rimosso dall´opinione pubblica ma non dimenticato. Tre avvenimenti di importanza fondamentale hanno toccato quest´anno Israele e per ognuno di questi la gente si è chiesta come si sarebbe comportato Sharon, se fosse stato presente.
Il primo avvenimento, in ordine di tempo, è stato la vittoria elettorale di Hamas alle elezioni politiche palestinesi, tre settimane dopo l´emorragia cerebrale che ha liquidato il vecchio leader israeliano. Pur essendo dovuta in gran parte a processi interni alla società palestinese, è indubbio che la decisione di Sharon di procedere al ritiro unilaterale da Gaza e da una frazione della West Bank settentrionale, evitando di arrivare ad un accordo col governo palestinese, ha avuto un effetto deleterio sull´immagine di Abu Mazen.
Il disinteresse assoluto, quando non vero e proprio complesso di superiorità, dimostrato da Sharon verso Abu Mazen, ha rafforzato nell´elettorato palestinese l´idea che gli israeliani capiscono solo la violenza. Il ritiro, quindi, era da accreditare alle azioni di guerra di Hamas, non alla reiterata ma sterile apertura al dialogo di Abu Mazen.
Non solo, ma vista l´impossibilità pratica di stabilire un colloquio con il nuovo governo integralista uscito vittorioso dalle elezioni, un governo che non riconosce i precedenti accordi e vede in Israele un´ "entità" da annientare, i palestinesi si sono ritrovati privi degli aiuti internazionali, ridotti ai minimi termini della sopravvivenza e in preda ad un´anarchia che ha ormai i contorni della guerra civile.
Il secondo avvenimento è stato il voto alle elezioni politiche anticipate del 28 marzo. Elezioni volute da Sharon, dopo la scissione dal Likud, per formare una nuova maggioranza che gli avrebbe dato la possibilità di continuare la sua politica di ritiri unilaterali parziali. La consultazione avrebbe dovuto sancire il trionfo di Kadima, il partito fondato da Sharon come docile strumento della sua politica, un partito fatto di transfughi dal Likud e dal Labour, senza un elettorato di base, senza un quadro ideologico di riferimento e senza meccanismi di controllo democratico interno. Una scatola vuota al servizio del suo inventore.
Ma, dal momento che l´unico asso elettorale del partito era proprio Sharon e le sue promesse di "disimpegno" dai palestinesi (anche se non ha fatto in tempo a chiarire quale fosse esattamente la sua strategia), la sua scomparsa ha portato Kadima, sotto la guida di Olmert (fino a quel momento uomo politico non proprio di primissimo piano) ad una vittoria risicata (29 deputati su 120), con la necessità di formare un governo di coalizione mettendo insieme due partner inconciliabili come il partito laburista da un lato e Israel Beitenu (Avigdor Lieberman), cioè l´estrema destra, dall´altra.
E´ poco probabile che questo governo degli opposti porterà a termine il suo mandato, nel 2010, come è poco probabile che Olmert riesca a sganciarsi da altre parti dei territori occupati. E´ certo però che la sconfitta elettorale di Kadima porterà alla dissoluzione del partito virtuale creato da Sharon.
Il terzo avvenimento è la guerra del Libano, scoppiata in seguito al rapimento di due soldati israeliani da parte dell´Hezbollah, il 12 luglio. La guerra, che in Israele ha fatto 146 morti (117 soldati e 39 civili) ed ha costretto oltre un milione di persone a soggiornare nei bunker per intere settimane, ha rivelato tutta l´impreparazione dell´esercito israeliano e del fronte interno al confronto con le milizie dell´Hezbollah.
Nonostante i 15 mila raid aerei sul Libano, Tsahal non è riuscito ad evitare che la Galilea venisse colpita da 4000 razzi di tutti i generi. Così come il dichiarato obiettivo della guerra, di riportare a casa i soldati rapiti, è stato clamorosamente mancato.
Anche in questo caso ci si chiede che cosa avrebbe fatto Sharon al posto di Olmert: forse avrebbe limitato la reazione israeliana ad una rappresaglia aerea, o forse avrebbe preteso dal Capo di stato maggiore, Halutz, piani e risposte precise, cosa che il primo ministro Olmert ed il ministro della Difesa Peretz (calato in quella poltrona per necessità di coalizione ed ambizione personale), privi di esperienza militare, non sono stati in grado di fare.
La responsabilità di Sharon, tuttavia, resta grande: nei cinque anni che è stato primo ministro, ha chiuso gli occhi su tutto ciò che accadeva oltre la frontiera nord, dal riarmo degli Hezbollah alla rivoluzione dei cedri, quasi temesse di evocare il grande smacco subito con l´invasione del 1982, forse il più grane fallimento della sua vita di politico e di soldato. E in ebraico si dice che "chi si è scottato con l´acqua calda ha persino paura di quella fredda".

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