Storia di Hussein al Shami, che con il microcredito internazionale, finanzia i militanti di Hezbollah. sul FOGLIO di oggi, 29/12/2006, a pag. 1 inserto. Analisi di Carlo Stagnaro.
Roma. Il Wall Street Journal di ieri ha raccontato una storia di quotidiana incredibilità, nella quale bene e male, terrorismo e carità s’intrecciano in maniera inestricabile. In un articolo molto dettagliato, Andrew Higgins ha descritto Hussein al Shami, fund raiser di Hezbollah, inserito da settembre nella lista dei terroristi del dipartimento del Tesoro americano. Durante il conflitto col Libano di quest’estate, l’aviazione israeliana ha distrutto la sua casa e nove dei dieci edifici di Beirut che ospitano gli uffici della sua impresa. Il guaio, spiega il WSJ, è che essa non fa solo raccolta di fondi per gli estremisti islamici: la sua occupazione principale è anzi nel campo del microcredito. “Le sue attività – scrive Higgins confondono gli sforzi americani di dividere gli attori mediorientali tra buoni e cattivi, e il suo successo aiuta a spiegare la resistenza dei gruppi islamisti che mischiano violenza e virtù”. Da un lato, Shami, direttamente o attraverso organizzazioni a lui collegate, aiuta i terroristi a trovare denaro e armi. Parlando di fianco alle rovine del suo quartier generale, si è scagliato contro l’“aggressione sionista” e il progetto americano di stabilizzazione dell’area: ha rivendicato il suo ruolo nella creazione di un “fondo per il martirio” in soccorso delle famiglie degli Hezbollah defunti. Al tempo stesso, Shami, laureato in economia, gioca un ruolo importante per lo sviluppo del suo paese. L’anno scorso le sue agenzie hanno finanziato oltre ventiseimila clienti (soprattutto sciiti vicini a Hezbollah) per un importo medio di 865 dollari, aiutandoli ad avviare un’impresa, a costruirsi una casa, a coprire spese sanitarie o a pagare l’istruzione dei figli. I prestiti sono al massimo di 1500 dollari, o 3000 se vengono depositati ori o gioielli come garanzia. Judith Palmer Harik, studiosa americana che vive in Libano dalla fine degli anni Settanta e ha scritto un libro su Hezbollah, lo descrive come “un uomo d’affari del tutto assorbito dai suoi progetti”. Migliaia di dollari a missile L’esistenza di personaggi come Shami pone una duplice sfida alla politica americana. In primo luogo, sembrerebbe mettere in crisi l’idea che lo sviluppo economico sia il miglior antidoto al fondamentalismo. La strategia americana di supporto allo sviluppo segue esattamente lo stesso copione di quella di Shami, con una sola differenza: quest’ultimo, seguendo la legge islamica, non chiede interessi, ma solo delle commissioni, sui prestiti. In questa maniera riesce ad attrarre più clienti. Per di più, il microcredito è stato a lungo elogiato come mezzo per lo start up di una società capitalistica e la rimozione della miseria: poche settimane fa il premio Nobel per la pace è stato consegnato a Muhammad Yunus, uno dei pionieri del microcredito in Bangladesh. Secondariamente, uno dei passaggi chiave della guerra al terrorismo sta proprio nel taglio dei cordoni finanziari che alimentano le organizzazioni estremistiche: “A noi non interessa fare distinzioni tra i bracci militari e sociali” dei finanziatori, dice al WSJ Pat O’Brien, che dal Tesoro dà la caccia ai finanziatori del terrorismo. Eppure, “l’approccio americano è rischioso – scrive Higgins – ha rafforzato le convinzioni dei sostenitori di Hezbollah, molti dei quali provengono dalle aree più povere del Libano, secondo cui l’America vuole mantenerli nella povertà”. Lo conferma anche l’ex ministro dell’Interno libanese Ahmad Fatfat, accusato in patria di filoamericanismo e considerato un tenace avversario di Hezbollah: “E’ stupido e non funziona”. A suo avviso, colpire le attività di Shami e di quelli come lui finirà per indebolire i servizi sociali offerti da Hezbollah, non la sua capacità militare: le armi e i missili provengono soprattutto dall’Iran e dalla Siria, e i soldi “arrivano dentro valigette, non attraverso versamenti bancari”. Sulla base dei dati forniti da Hezbollah stessa, il WSJ stima le risorse impiegate nell’assistenza ai senzatetto in 180 milioni di dollari da agosto. Il successo dell’operazione di Shami è indiscutibile ed è proprio questo che rende difficile l’elaborazione di una strategia efficace e credibile. Fondata nel 1983, la sua compagnia ha erogato nel primo anno centocinquanta prestiti. Lo stesso Fatfat confessa di averne supportato le attività filantropiche. Nel 2000, Imad Hamze, un canadese di origine libanese che ha scritto un rapporto sulla funzione del credito nella lotta alla povertà per conto delle Nazioni Unite, ha descritto l’attività di Shami come “un’organizzazione encomiabile”, che svolge le funzioni dello stato sociale. Microcredito, assistenza agli indigenti e terrorismo s’intersecano in una spirale resa più preoccupante da quanto rivelato ieri dal Jerusalem Post: Hezbollah starebbe pagando “migliaia di dollari” quei militanti e gruppi palestinesi per ogni missile Kassam scagliato da Gaza su Israele, nel Negev occidentale. L’entità dei pagamenti sarebbe variabile col numero di cittadini israeliani feriti o uccisi nel corso degli attacchi. “I terroristi palestinesi prendono migliaia di dollari per ogni attacco – ha dichiarato al quotidiano un funzionario della sicurezza israeliana – A volte sono pagati in anticipo, altre volte presentano la parcella al Libano dopo l’attacco e ricevono i soldi in poco tempo”. Tutto questo denaro sarebbe di provenienza iraniana, come alcuni dei finanziamenti diretti a Hezbollah. Nella superstite agenzia di Shami, i clienti possono fare donazioni anche all’Imam Khomeini Relief Committee, gruppo caritatevole iraniano con vaste attività di assistenza in Libano: e il cerchio si chiude.
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