Sulla STAMPA di oggi, 28/12/2006, a pag.8, un' intervista a Riccardo Pacifici, che a nome della comunità ebraica di Roma esprime la più forti preoccupazioni sulla calda accoglianza riservata all'inviato di Ahmadinejad in Vaticano. ecco l'intervista:
E’ un grave errore stringere la mano a governanti che disobbediscono all’Onu sul nucleare e negano l’Olocausto. Il Papa doveva rispedire al mittente la lettera in cui Ahmadinejad gli chiede beffardamente di collaborare per la pace, proprio lui che dichiara di voler cancellare lo stato di Israele». E’ sorpreso e amareggiato il vicepresidente e portavoce della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici: «Spezzare l’isolamento di Teharan è un atto in controtendenza rispetto alle precedenti scelte coraggiose di Benedetto XVI contro la violenza del fanatismo islamista».
Perché è così deluso?
«Accettare di incontrare il ministro degli Esteri iraniano è un gesto inspiegabile e pericoloso, una ferita alla linea della fermezza dell’Onu e una contraddizione rispetto all’impostazione geopolitica del Pontificato. Dieci giorni fa, a Roma, Moishe Smith, il nuovo presidente del B’nai B’rith, ha elogiato il coraggio del Papa di fronte al fondamentalismo. Adesso siamo disorientati davanti a una decisione opposta. Non vorrei che fosse una mossa “buonista” del Vaticano per continuare a farsi perdonare dai musulmani e rimediare alle polemiche seguite al discorso di Ratisbona sull’Islam. Eppure il viaggio di Benedetto XVI in Turchia ci aveva fatto sperare».
Perché?
«Ratzinger aveva mantenuto la posizione. Era un modo per dire ai seminatori di odio che non cambieranno le nostre relazioni internazionali, sociali e culturali. Il giudizio del mondo ebraico su questo Papa tenace e preparatissimo sul piano teologico stava divenendo molto positivo. L’incontro in Vaticano con il capo della diplomazia iraniana è un passo falso dagli effetti imponderabili, in assoluto contrasto con quanto fatto e dichiarato finora. Comprendiamo che è difficile sottrarsi per una figura religiosa ad una lettera di auguri. Se invece è un azione politica per rompere il fronte internazionale, c’è da preoccuparsi. Il Papa è anche un capo di Stato. Così svilisce lo sforzo dell’Onu e rovina l’azione di dissuasione della comunità internazionale verso Teheran. La linea che dà risultati è tutt’altra».
Quale?
«Ciò che si sta facendo nel conflitto tra israeliani e palestinesi. Il fronte della fermezza composto da Usa, Ue e Paesi arabi moderati per bloccare i finanziamenti ad Hamas sta dando i suoi frutti e ha consentito al presidente palestinese Abu Mazen di essere ricevuto in Israele (con la bandiera dell’Anp) dal premier Ehud Olmert. E’ l’esempio da seguire anche con Teheran. Rompere l’isolamento del governo iraniano come ha fatto il Papa è una decisione controproducente e dannosa. L’unico modo per riportare al dialogo l’Iran è usare il metodo che sta funzionando in Palestina. Offrire una sponda ad Ahmadinejad è uno sbaglio e una decisione incomprensibile. E proprio ora che la reazione mondiale di sdegno per l’ignobile convegno negazionista sull’Olocausto, la protesta degli studenti e la vittoria alle amministrative dei riformisti iraniani stanno mettendo alle corde i fondamentalisti al potere».
Il Papa doveva rifiutare l’udienza?
«Teheran sa che la linea politica, religiosa ed etica del Vaticano esercita una forte influenza sulle democrazie occidentali. E strumentalizza l’udienza papale. Com’è possibile non rispedire al mittente una lettera menzognera di fronte alle minacce iraniane di cancellare lo Stato di Israele? Lo sforzo delle democrazie occidentali e dalla cultura del dialogo passa dal rafforzamento dell’Islam moderato in Occidente e nei Paesi arabi».
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