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Il Foglio Rassegna Stampa
27.12.2006 Cronaca e ipotesi future tra Olmert e Abu Mazen
ma l'analisi ci sembra troppo ottimista

Testata: Il Foglio
Data: 27 dicembre 2006
Pagina: 3
Autore: non firmato
Titolo: «Armi, checkpoint, prigionieri. Il governo Olmert aiuta Abu Mazen»

Sul FOGLIO di oggi, 27/12/2006, a pag. 3, una cronaca dei rapporti tra il governo Olmert e Abu Mazen, ecco il testo:

Gerusalemme. Pieno accordo israeliano per la fornitura di un migliaio di moderne armi leggere alla guardia presidenziale di Abu Mazen a Ramallah: questa, tra tutte le intese concluse nell’incontro del 23 dicembre tra il premier israeliano, Ehud Olmert, e il rais palestinese, spiega la drammaticità del quadro complessivo. Olmert si impegna su due fronti: rafforzare politicamente Abu Mazen, mostrando ai palestinesi che ha un forte potere contrattuale, e contemporaneamente permettergli di affrontare con successo un possibile scontro militare con Hamas. Olmert ha voluto sottolineare la svolta decisa dal suo governo dopo la coraggiosa mossa di Abu Mazen di annunciare nuove elezioni e quindi esautorare di fatto il governo di Hamas: “E’ giunto il tempo della flessibilità e della generosità, la politica di Israele potrebbe cambiare molto rispetto al più recente passato”. In campo palestinese, la porta del negozioneziato per un governo di unità nazionale è sempre aperta e sia Abu Mazen sia il premier di Hamas, Ismail Haniye, lo hanno invocato a più riprese negli ultimi giorni. Ma Abu Mazen non ha intenzione di recedere dalle tre condizioni poste dalla comunità internazionale: riconoscimento di Israele, sottoscrizione degli accordi internazionali siglati dall’Anp, fine delle aggressioni armate. Condizioni che Hamas rifiuta con nettezza mentre continua a lanciare dalla Striscia di Gaza razzi Qassam contro Israele – quattro ancora ieri – e rifiuta di riconsegnare il caporale Gilad Shalit, rapito da un drappello di armati di Hamas nel luglio scorso. Subito dopo il vertice israelo-palestinese, il governo di Gerusalemme ha approvato gli accordi siglati: immediato versamento di cento milioni di dollari di tasse palestinesi riscosse da Israele direttamente nelle mani di Abu Mazen, per permettergli di pagare gli stipendi di quella parte dell’amministra-negozione e degli apparati di sicurezza che gli è fedele; rimozione, iniziata il 25 dicembre, di 27 chek point in Cisgiordania; alleggerimento del controllo sui valichi di Gaza; avvio delle procedure per la liberazione di detenuti palestinesi. Assieme al riarmo della guardia di Abu Mazen quest’ultimo punto è il più rilevante politicamente. Alcune fonti ufficiose israeliane, infatti, sostengono che oltre ai detenuti che libererà nei prossimi giorni, Olmert sarebbe addirittura disposto a lanciare un segnale politico forte su Marwan Barghouti, leader delle Brigate dei Martiri di al Aqsa, condannato a cinque ergastoli da un tribunale di Gerusalemme. L’impatto positivo della sua liberazione sarebbe forte anche tra i più oltranzisti tra i palestinesi, perché Barghouti è l’autore di un documento – a base delle trattative Olp- Hamas sul governo di unità nazionale – che prevede la pacificazione con Israele in cambio di un suo ritiro entro i confini del 1967 euna soluzione del problema dei rifugiati. Se Israele liberasse Barghouti darebbe il segnale non certo dell’accettazione del suo piano, ma della volontà di avviare una trattativa seria non soltanto con Abu Mazen, ma anche con il più acceso leader terrorista, che è nazionalista, ma non fondamentalista. In questo contesto, assume particolare interesse l’incontro che Abu Mazen avrà all’inizio del 2007 con Hosni Mubarak, che dovrebbe garantirgli consistenti aiuti militari dal Cairo per resistere alla pressione militare di Hamas. Il gruppo islamico – che ben vede la tenaglia che Abu Mazen, Giordania (ieri il presidente palestinese ha incontrato re Abdallah), Arabia Saudita e Egitto stanno stringendo attorno al governo di Haniye – continua a sminuire e criticare gli accordi siglati con Olmert, ma è sempre più cosciente che il suo campo di manovra politico è ristretto e che l’unica opzione è quella militare a costo di una guerra civile sanguinosa.

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