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Il Giornale Rassegna Stampa
24.12.2006 Fiamma Nirenstein a Betlemme
Ecco come vivono i cristiani sotto l'Autorità palestinese

Testata: Il Giornale
Data: 24 dicembre 2006
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il Natale senza più gioia dei cristiani a Betlemme»

Da tre giorni,salvo alcune testate, i giornali non escono per lo sciopero dei giornalisti, così come non usciranno, tutti, lunedì 25 e martedì 26 per le festività di Natale. Pubblichiamo oggi, domenica 24 dicembre 2006, l'articolo di Fiamma Nirenstein uscito sul GIORNALE a pag.11, dal titolo "Il natale senza più gioia dei cristiani di Betlemme", nel quale viene raccontata le terribile situazione nella quale sopravvivono i cristiani sotto l'Autorità palestinese. Risparmiamo invece ai nostri lettori il pezzo di Michele Giorgio sul MANIFESTO di oggi, sempre su Betlemme, nel quale però la realtà è vista con gli occhi della falsità, come è abitudine del giornale comunista. Il pezzo di Giorgio è titolato " Muro, guerra, confini bloccati, a Natale  Betlemme muore di fame". Naturalmente per colpa di Israele. Se Giorgio, nella sua attitudine (dis)informativa gli venisse mai voglia di parlare con degli arabi cristiani, chissà come si stupirebbe nello scoprire che la realtà è l'opposto di quella che lui descrive.

Ecco l'articolo di Fiamma Nirenstein, ricordiamo ai nostri lettori che non scrive più sulla STAMPA ma sul GIORNALE.

La piazza della Mangiatoia di Betlemme, quieta nel freddo della vigilia di Natale a sera, non è invasa dai turisti, non è travolta da un afflato mistico; da 90mila pellegrini al mese nel 2000, l’anno scorso ne vennero solo 2500, e quest’anno la cittadina se ne sta accucciata, come una persona ferita, concentrata su stessa, chiusa al suo ingresso principale dal massiccio recinto di difesa degli israeliani, e dentro tormentata da un destino che si fa sempre più difficile soprattutto per i cristiani, che un tempo erano i padroni della cittadina e oggi non lo sono più.

 

Betlemme alla memoria della nascita del Cristo, dovrebbe secondo una logica normale,gioire, festeggiare, ma ha visto tanti di quelli eventi seguiti da traumi e delusioni, e oggi è in una delle sue peggiori avventure, quella del dopo la vittoria di Hamas. La cittadina ha vissuto il Natale  in cui proponendosi come un nuovo Messia, Arafat scese dal cielo sul suo elicottero, fra la folla festante, di ritorno dall’esilio; e tutti sperarono in  una nuova era e venne la Seconda Intifada; quello dell’eccitazione della ricostruzione legata all’avvento del Terzo Millennio, che con la pace avrebbe dovuto portare benessere alla gente della patria di Gesù; Betlemme ha vissuto invece i giorni dei Tanzim asserragliati dentro la Chiesa della natività, le ronde e i carri armati; quelli degli spari da Beit Jalla delle Brigate di Al Aqsa nelle case  del quartiere Gerusalemitano di Gilo;quelli della visita di Giovanni Paolo II  quando la Moschea all’improvviso durante il discorso del Papa intonò a gran voce dal minareto le sue preghiere.

 

Non era un episodio sporadico. I cristiani del posto sono diminuiti verticalmente: dall’85 per cento nel 1948 nel 2006  sono calati al 12 per cento. Da sempre la chiamata del muezzin dalla Grande Moschea in Piazza si è scontrata con il suono delle campane; ma nel corso degli anni sempre di più la battaglia si è fatta largo dalle parole ai fatti. Non mancano le accuse agli israeliani che hanno si fatto serrato la città con la barriera che blocca l’entrata della città da Gerusalemme (che dalle altre parti tuttavia è aperta), i lavoratori abituati ad andare a Gerusalemme, le famiglie che ai posti di blocco specie in questi giorni in cui Israele ha promesso facilitazioni per tutti, trovano invece i soliti problemi a entrare e a uscire; ma Betlemme  ha comunque ha dato il 40 per cento dei terroristi suicidi all’Intifada delle Moschee, seconda solo a Jenin, ha sempre avuto fra i suoi cittadini forti capi di Hamas e anche della Jihad Islamica, e una dura e numerosa postazione di Tanzim che occupò la Chiesa della Natività e che ingaggiò la guerra con morti e feriti di Beit Jalla, conducendola dalle finestre delle case dei cristiani contro la loro volontà.

 

Del problema di Israele tutti quanti ti parlano liberamente, ognuno si lamenta dei blocchi e le limitazioni. Ma solo a mezza voce i cristiani ti rivelano quella che è tuttavia la verità più recente e eclatante: essi lasciano la città di Gesù a un ritmo tale che presto forse la mangiatoia dove è nato, resterà in compagnia dei Francescani e dei Padri Greci Ortodossi che hanno cura della Chiesa, e poco più.

 

La forza sempre più dilagante  del fondamentalismo islamico all’interno dei movimenti Palestinesi pone un grande problema per tutti i cristiani, le cui famiglie sono ormai sottoposte a espropriazioni di terre e di beni sotto varie forme, incluse quelle delle minacce che costringono a spostarsi e a vendere negozi e affari avviati da decine, a volte centinaia di anni; i cristiani sono anche tormentati dai fastidi alle loro donne, un tempo liete di mostrare la loro emancipazione sociale e nel mondo del lavoro anche sfoggiando un normale abbigliamento occidentale; i blue jeans, la gonna e i tacchi, sono costume comune. A volte i fastidi sono arrivati volte a vere aggressioni sessuali.

 

 La questione non riguarda solo Betlemme, ma tutto l’West Bank e Gaza: dice Justus Weiner, uno studioso del Jerusalem Center for Public Affair che con infinita pazienza è riuscito a raccogliere le confidenze di centinaia di cristiani, tutte sistemate in classificatori e trascritte a mano, che dal 20 per cento di Cristiani fra i palestinesi dopo la guerra, il numero si è ridotto a l’1,7 per cento. Solo fra gli arabi che vivono dentro i confini di Israele la popolazione cristiana è aumentata, anche se molti si lamentano di una disparità di condizioni, da 34mila nel 1948 a 130mila nel 2005.

 

A  Betlemme il senso dell’assedio islamico è appena nascosto sotto la festività natalizie: in un albergo di lusso dove pure l’albero di Natale orna la hall dell’Hotel, nelle camere viene indicata la direzione della Mecca; alcuni i negozi che vendono bambinelli e presepi di legno nella piazza hanno le saracinesche dipinte di verde Islam. Fra i tanti episodi che raccogliamo in giro, dal Daily Mail leggiamo che Geoge Rabie, 22 anni, guidatore di taxi del sobborgo cristiano di Beit Jalla, fiero di essere cristiano, si è trovato circondato e maltrattato da una piccola gang di estremisti islamici provenienti da Hevron che avevano visto che George teneva un crocifisso appeso sullo specchietto. “E’ un tipo di razzismo che speriementiamo giorno giorno in molte circostanze” dice “poichè siamo una minoranza siamo un obiettivo facile”.

 

Jeriez Moussa Amaro, 27 anni, artigiano dell’alluminio, cinque anni fa ha avuto le sue due sorelle Rada di 24 anni e Dunya di 18, trucidate da un gruppo che, poichè la due ragazze conducevano una vita in stle occidentale, rivendicando il doppio omicidio proclamarono: “vogliamo ripulire la Palestina dalle prostitute”.

 

Le donne cristiane, oggetto di disprezzo, sono spesso anche costrette a sposare dei mussulmani e naturalmente a convertirsi. Le chiese sono state a volte razziate, talora date alle fiamme, i preti che non mantengono il silenzio minacciati.

 

Quasi tutti i cristiani con cui si parla, compreso George o i padroni degli alberghi cristiani, vogliono vendere le loro proprietà e trovare in qualche modo la strada di uscita dall’incubo. Nei passati sei anni, queste sono le cifre che riuscianmo a trovare, si dice che siano stati chiusi 50 ristoranti, 28 hotel, e 240 negozi di souvenir. Amir Qumsieh, il general manager della stazione telvisiva di betlemme Al mahed-Nativity dice sconsolato: “Ci stiamo sciogliendo, mi sto trasferendo negli USA, un cristiano non ha futuro qui”.

 

Quelli più minacciati di tutti, dice il dottor Weiner, sono i mussulmani che si convertono al cristianesimo: essi soffrono qualsiasi tipo di persecuzioni da parte dei loro excorreligionari e  sono costretti a nascondersi e a emigrare. “Molti rappresentanti di Hamas hanno dichiarato prima delle elezioni che se avessero vinto i cristiani avrebbero dovuto finalmente pagare la Giza, cioè la tassa che secondo la tradzione islamica i dhimmi, ovvero i non mussulmani, devono contribuire al potere islamico se vivono sul suo territorio”dice Weiner. Si parla anche di conversioni forzate all’Islam.

 

La situazione è molto peggiorata sia dopo la vignetta incriminata su Maometto, dopo la quale le esplosioni islamiste si manifestarono anche nei territori palestinesi, sia,e soprattutto, dopo il recente discorso del Papa sulla cultura islamica. Monsignor Sabbah, il patriarca latino di Gerusalemme ha detto mercoledì nel suo consueto indirizzo di Natale che Betlemme è diventata “città di conflitto e  morte” come risultato della continua violenza e intabilità nella regione e a causa delle misure antiterroriste di Israele. “Quest’anno torna di nuovo il Natale ha luogo nelle stesse circostanze di morte e frustrazione con il muro e i checkpoint sul terreno e nei nostri cuori”. Sabbah, che non ha mancato occasione per accusare gli israeliani di ogni e qualsiasi male della comunità cristiana, forse dovrebbe finalmente, dopo tanti cambiamenti sul terreno, a intonare un nuovo motivo.

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