D'Alema corregge la linea su Hamas e si schiera con Abu Mazen Ali Rashid, parlamentare di Rifondazione Comunista, già rappresentante di Arafat in Italia, sta con Farouk Kaddoumi, che sta con Hamas
Testata: Il Foglio Data: 21 dicembre 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «D’Alema sostiene il rais dell’Anp e corregge la linea su Hamas - I dioscuri di Arafat a Roma divisi da Abu Mazen (e Qaddoumi)»
Due articoli dal FOGLIO del 21/12/2006
Massima prudenza tra Beirut e Damasco. La tappa libanese di Massimo D’Alema in medio oriente ha sostanzialmente preparato l’incontro di oggi con il rais palestinese, Abu Mazen. Alla Farnesina la strategia del ministro è nota, specie dopo i contatti con il premier israeliano Ehud Olmert. “Bisogna sostenere il rais e smorzare il linguaggio di Haniye”, dicono fonti diplomatiche. D’Alema ha ammesso che Hamas si è rivelata completamente irragionevole”, dipingendola come “una componente della società palestinese che non ha avuto la maggioranza del voto popolare” e non più “interlocutore” primario. Come ha spiegato al segretario di stato americano, Condi Rice, “bisogna capire se si può riuscire a recuperare l’unità nazionale”. Il capo della diplomazia ha incontrato il premier libanese Fouad Siniora e il presidente del Parlamento, Nabih Berry, che media tra la maggioranza e l’opposizione filoiraniana, insistendo pubblicamente sul ruolo delle componenti sciite del- la Lega araba. Dunque, più che un cambio di strategia, la missione dalemiana s’insinua in un nuovo scenario – “le elezioni non sono un golpe ma un modo di appellarsi ai cittadini” – che necessariamente passa anche per Beirut, dove 2.400 militari italiani sono in stato d’allerta. Il freno di Palazzo Chigi sull’Iraq. Il governo italiano non ha ancora deciso come sostenere la sicurezza di Baghdad, nonostante gli iracheni abbiano chiesto collaborazione per l’addestramento della polizia. Sul tema le idee di Romano Prodi e dei ministri Arturo Parisi e Massimo D’Alema – disponibili a utilizzare almeno i carabinieri – divergono sensibilmente. Da alcuni giorni alla Farnesina si mormora che Palazzo Chigi stia frenando il coinvolgimento dell’Arma per preparare la polizia irachena. Assieme a uno staff a Baghdad, gli agenti dovrebbero essere addestrati nel Triveneto, nella caserma Generale Chinotto, centro per la formazione poliziesca nelle missioni di pace. Alla Farnesina s’attende Hoshyar Zebari, il ministro degli Esteri iracheno, per firmare un trattato di amicizia e stringere accordi con alcuni ministeri italiani: in Iraq sono previsti interventi in campo culturale, dello sport, ambientale e di conservazione del patrimonio archeologico, assieme a quello per la rete autostradale. Una certa curiosità per il ruolo dei ministri Giovanna Melandri e Antonio Di Pietro sta montando alla Farnesina, dov’è giunta notizia che a Nassiriyah sei o sette funzionari italiani dell’Usr, l’Unità di sostegno per la ricostruzione, non sono affatto operativi: ribattezzata in nome della “discontinuità” ulivista, l’Usr rappresenta i resti del Prt che il governo Berlusconi voleva potenziare a Dhi Qar con una scorta, in mancanza della quale la truppa non sa che fare e non può uscire dalla base di Tallil. I desk di Emma per “controllare” l’Ice. Ieri il ministro per il Commercio internazionale ha ufficializzato al cda dell’Istituto presieduto da Umberto Vattani “l’esigenza di razionalizzare la presenza sui mercati”. Da gennaio saranno operativi presso gli uffici dell’Ice 14 desk anticontraffazione con compiti di assistenza legale per le imprese, perché Via Liszt “ha un patrimonio di esperienza da mettere al servizio della crescita, un servizio di ‘scouting’”. Alla Farnesina vedono nella mossa del ministro l’ennesimo colpo all’Ice, visto che i desk saranno composti da un responsabile pubblico e da un “trade analist”, “figura importante per le imprese, ma anche un mastino per gli uomini dell’istituto”. Vattani, intanto, si fa forte del maxiaccordo siglato con il Monte dei Paschi di Siena per spingere l’Ice sulla linea della (sua) continuità nell’internazionalizzazione delle aziende alla vecchia maniera. Ovi nell’Iit. Alessandro Ovi, ingegnere nucleare, è il nuovo membro del Consiglio dell’Istituto italiano di tecnologia. Uomo chiave per le questioni di politica energetica di Prodi, collabora col premier dai tempi dell’Iri. E’ per tutti “Sandro”, il super consigliere per i rapporti con l’Iran. Per amici e amiche è noto anche come romanziere.
Roma. Ha creato stupore, mesi fa, la decisione di Rifondazione comunista di portare in Parlamento il palestinese Ali Rashid: era infatti la prima volta che un alto diplomatico straniero, grazie alla doppia nazionalità, faceva questa scelta. Lo stupore è cresciuto martedì scorso quando Rashid, dalla prima pagina di Liberazione, ha sferrato un attacco frontale contro Abu Mazen, accompagnandolo dall’invito a “liberarsi dei suoi cattivi consiglieri”. Consiglieri che Rashid indica come “già accusati di corruzione, responsabili del degrado di al Fatah e della vita politica, già bocciati nelle elezioni democratiche”. E’ noto infatti che tra questi “cattivi consiglieri”, in prima fila, vi è proprio il consigliere politico del presidente dell’Anp, quel Nemer Hammad che per anni è stato il superiore diretto di Rashid nell’ambasciata palestinese di Roma. La polemica di Rashid contro Abu Mazen e contro Nemer Hammad, per il suo ruolo di parlamentare e per il giornale che la pubblica, apre poi uno scabroso interrogativo: è fatta a titolo personale o è condivisa dal Prc? Non solo, è anche condivisa dal presidente della Camera Fausto Bertinotti che candidò Rashid nelle liste del suo partito? Ancora ieri, per voce del ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, il governo italiano ha appoggiato in pieno la decisione del presidente dell’Anp di sciogliere il Parlamento e di indire nuove elezioni. Rashid invece la boccia senza appello: “Abu Mazen non poteva fare di peggio”. Lo sviluppo del ragionamento di Rashid non stupisce chi lo ha seguito negli ultimi anni, così come non stupisce che oggi venga allo scoperto contro Nemer Hammad. Il parlamentare di Rifondazione, infatti, fa largamente sue, non per la prima volta, le tesi dell’ex responsabile del Dipartimento politico dell’Olp (e quindi capo dell’intera rete diplomatica) Farouq Qaddoumi, che si schierò – a differenza di Nemer Hammad – contro gli accordi di Oslo e che ieri ha rilasciato un’intervista al quotidiano di Betlemme Maan in cui è altrettanto duro contro Abu Mazen, il quale “assieme ai suoi consiglieri non rappresenta le legittime istituzioni del popolo palestinese”. Il rais, invece, proprio per evitare le pericolose interferenze della diplomazia di Qaddoumi ieri ha deciso di chiudere l’ufficio dell’Olp ad Amman. Segno che lo scontro tra i due leader di Fatah si fa sempre più duro. Rashid, che echeggia le posizioni di Qaddoumi, sostiene dunque che “è un grave errore indire elezioni mentre è in carica un governo che gode di una larga maggioranza, le cui difficoltà derivano esclusivamente dall’atteggiamento ostile di Israele e degli Usa”. Così facendo, nega l’evidenza, nega che le difficoltà in cui versa il governo Haniye derivino solo dalla sua decisione di rifiutarsi di riconoscere l’esistenza di Israele e di sottoscrivere gli accordi internazionali firmati dall’Anp. Una posizione estremista che non stupisce, perché, quando accettò la candidatura in Parlamento il 26 gennaio 2006, Rashid disse: “Noi palestinesi siamo da sessant’anni sotto l’occupazione israeliana”, intendendo chiaramente che essa inizia col 1948 e che quindi Israele non è uno stato legittimo, ma un illegittimo “occupante”. Vista la larga convergenza di analisi tra Rashid e Qaddoumi, sarebbe interessante sapere se il parlamentare del Prc condivide anche gli entusiasmi che Qaddoumi (messo in minoranza schiacciante nell’ultimo Consiglio rivoluzionario di Fatah del 12 novembre) esprime per le politiche dell’Iran e della Siria, che definisce una spruzzatina di cipolla negli occhi di Israele”. Soprattutto, sarebbe interessante sapere, se egli condivide con Qaddoumi la comunanza di idee col leader di Hamas, Khaled Meshaal, sul fatto che l’interesse nazionale palestinese impone che siano respinte le richieste avanzate dalla comunità internazionale: riconoscimento di Israele, ripudio della violenza e impegno a riconoscere i Trattati firmati dall’Anp. Il suo articolo su Liberazione, inequivocabilmente, esprime questa posizione, che però è opposta a quella del governo italiano.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Foglio