Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
La fatwa di Hamas contro i capi di Fatah un articolo di Davide Frattini
Testata: Corriere della Sera Data: 20 dicembre 2006 Pagina: 5 Autore: Davide Frattini Titolo: «E Hamas prepara la «lista nera» dei capi da eliminare»
Dal CORRIERE della SERA del 20 dicembre 2006:
GAZA — Maher Miqdad è convinto di essere il numero tre. Un nome nella lista nera decisa dal consiglio religioso di Hamas per eliminare i leader del Fatah. Tutti parlano della fatwa contro i capi laici, nessuno sa se sia stata emanata davvero. Maher non vuol aspettare di scoprire la verità. Il palazzone dove vive alla periferia della città è circondato da miliziani delle Brigate Al Aqsa, per raggiungerlo bisogna superare i posti di blocco improvvisati. «Che abbiano scritto o meno i nomi su un foglio non fa alcuna differenza. In tre giorni hanno rapito ed eliminato sette uomini del Fatah. I metodi sono quelli». A 39 anni, è uno dei leader più giovani della fazione. Ha corso (e perso) nelle elezioni di gennaio, dopo aver messo nell'armadio la mimetica delle Brigate Al Aqsa. È un politico che resta un capo militare. Dal salotto di casa dà ordini e riceve informazioni sugli scontri per le strade. Risponde alle domande di Radio Libertà, la voce del Fatah nella Striscia. Più che un'intervista, è un comizio urlato al telefonino, tra minacce e insulti contro i fondamentalisti. «Si sono dimenticati che questa è Gaza, non Tel Aviv» commenta, quando una delle guardie gli dice che è esplosa un'autobomba. Voci che non hanno conferme, ma che rafforzano il senso di assedio attorno al Fatah. «Hamas non è riuscita a governare e adesso sta cercando di coprire questo suo fallimento politico». Alla ricetrasmittente arriva un altro allarme: le Brigate Ezzedin Al Qassam, ala militare di Hamas, avrebbero dato un ultimatum alle forze asserragliate nel palazzo dei servizi segreti a Jabalya. «Sgomberate entro le 4, stiamo per bombardare con i mortai». Ancora voci che bastano a far accorrere i sostenitori del Fatah. Donne e ragazzi fanno da scudi umani attorno al piccolo edificio. La gente per le strade è poca, i negozi sono chiusi. Attorno alle roccaforti del Fatah, le vie si svuotano del tutto. Qualcuno commenta con un proverbio dei nomadi: «Il deserto non è vuoto, è ricco di imprevisti». Per ora Mohammed Dahlan evita gli imprevisti che si nascondono attorno alla sua casa. Sarebbe dovuto tornare da Ramallah, dove sabato ha assistito al discorso del presidente Abu Mazen. È rimasto in Cisgiordania. Per ora. Restare troppo lontano e troppo a lungo verrebbe considerato un segno di debolezza. In cima alla lista nera ci sarebbe proprio lui, l'uomo forte del Fatah a Gaza. In questi giorni, se devono nominarlo, gli avversari usano la formula al mad'u, di solito riservata ai collaborazionisti. L'8 dicembre, secondo un documento interno di Hamas, i leader del gruppo avrebbero preso la decisione di dare il via libera a esecuzioni se il partito del presidente avesse tentato un colpo di Stato. Fawzi Barhum, portavoce di Hamas, nega che esista un elenco di leader da uccidere. È l'opposto — dice — sono loro che ci vogliono ammazzare uno alla volta: «I nostri militanti hanno ricevuto messaggi sui telefonini. Minacce di morte, avvertimenti. Non voglio fare nomi, ma gli obiettivi sono i capi». Complotti. Tafwik Abu Khoussa, portavoce del ministero degli Interni quando al potere c'era il Fatah, sostiene che Hamas si stia preparando da anni. «Hanno accumulato armi, denaro, hanno addestrato i miliziani. Dicevano che era per la resistenza. E invece è un piano. Se non fossero riusciti a conquistare l'Autorità con le elezioni, avevano pronta l'opzione militare. Sono un movimento fascista». Anche lui sarebbe nella lista. I fondamentalisti lo hanno sempre chiamato il «negro», con disprezzo. Durante la prima intifada, fine anni Ottanta, Tawfik aveva avuto il coraggio di lanciare un appello per fermare le esecuzioni dei collaborazionisti. Raccontano che il giorno dopo i fondamentalisti gli hanno fatto trovare tre cadaveri di «traditori» davanti alla porta di casa. Un avvertimento che sembra ancora valido.
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