La crisi libanese e quella palestinese le opinioni di due osservatori israeliani
Testata: Il Foglio Data: 20 dicembre 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Olmert in Giordania.Ammantenta di mediare tra Fatah e Hamas»
Dal FOGLIO del 20 dicembre 2006:
Gerusalemme. Gli scontri tra Fatah e Hamas nei Territori non si fermano. Ieri sono morti sei militanti di entrambe le fazioni. Da sabato – da quando il rais palestinese Abu Mazen ha annunciato le elezioni anticipate, cui il premier di Hamas, Ismail Haniye, si oppone, “è un atto incostituzionale” – non si fa che sparare per le strade di Gaza e della Cisgiordania, nonostante gli inviti alla calma. Ma anche prima di allora il dialogo per l’unità nazionale era collassato sotto gli spari di palestinesi contro palestinesi. Ieri il premier israeliano, Ehud Olmert, è andato in Giordania per parlare con re Abdallah di quanto sta succedendo nei Territori e il sovrano di Amman si è fatto promotore di un incontro tra Abu Mazen e il premier Haniye. Olmert ha anche discusso con Abdallah della crisi in Libano, dove Hezbollah minaccia il colpo di stato ai danni del premier Fouad Siniora, sostenuto dalla comunità internazionale. Le mediazioni finora tentate, soprattutto dalla Lega araba, si sono rivelate inefficaci. Ma continuano, perché da Gaza a Beirut, da Damasco a Teheran – passando per Washington e Bruxelles – diventa sempre più chiaro che la questione libanese e quella palestinese si stanno internazionalizzando. C’è prima di tutto il problema della regia iraniana in entrambi le crisi. “Il conflitto in Libano dura da sessant’anni, dall’indipendenza del paese nel 1943 – spiega al Foglio Raanan Gissin, ex consigliere dell’ex premier israeliano Ariel Sharon – ma in realtà ora vediamo la versione moderna di 400 anni di conflitto tra sunniti e sciiti”. Lo stesso Rafiq Hariri, ex premier di Beirut ucciso nel febbraio 2005, sunnita, spiega Gissin, si alleò con i cristiani e con i drusi, ma non con i sunniti. “Israele dovrebbe mobilitare i sunniti in un’alleanza che argini la minacciosa potenza sciita atomica iraniana – dice Gissin – E’ un consiglio applicabile al fronte libanese, dove Teheran arma e finanzia Hezbollah, e a quello palestinese, dove l’Iran sta legando a sé Hamas, attraverso i finanziamenti e l’addestramento militare”. In questa direzione va l’apertura fatta da Olmert all’Arabia Saudita e alla sua iniziativa del 2002 per agevolare il processo di pace. Per Gissin è molto importante, che Israele inizi un negoziato con i palestinesi: “Nel recente passato il processo è stato dirottato dall’esterno, da Teheran, da Meshaal, dagli ayatollah. Il conflitto non è più locale, è diventato globale”. Lo aveva già capito Sharon, quando decise il disimpegno dalla Striscia di Gaza, dando ai palestinesi una terra da governare. Olmert ne ha ripreso l’intera eredità e oggi “è pronto ad accettare l’intervento internazionale”, dice al Foglio Avraham Diskin, professore di Scienze politiche all’università ebraica di Gerusalemme e tra i più stimati analisti del paese. Olmert ha contribuito a rafforzare Abu Mazen in Palestina, indicandolo come interlocutore cui riservare “molte sorprese” in un dialogo di pace. Lo stesso è avvenuto con il premier Siniora, assediato a Beirut da Hezbollah ma forte del sostegno della comunità internazionale. Gli effetti del terremoto causato dallo scontro dell’estate scorsa contro il Partito di Dio si sono fatti sentire anche su un altro fronte, quello con la Siria. Ieri si è diffusa la voce di una lettera che il rais di Damasco, Bashar el Assad, avrebbe scritto a Olmert, ma poi la notizia è stata smentita da Gerusalemme e da Berlino. In visita a Mosca, Bashar ha detto di poter considerare un dialogo con gli Stati Uniti, ammesso che Washington “non detti tutte le condizioni” e ha coinvolto il presidente russo, Vladimir Putin, come mediatore. La strategia dell’ambiguità è di casa a Damasco, e proprio di questo sta discutendo la diplomazia internazionale, in particolare a Bruxelles. L’Europa infatti, coinvolta in prima persona nella missione Unifil, prova a individuare – il ministro Massimo D’Alema è oggi a Beirut – una strategia nell’area che legittimi il dialogo e blocchi il pericolo di guerre civili.
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