Primo Levi disse:chi nega il Genocidio rischia di ripeterlo di fronte all'Iran sembra che l’Europa l’abbia dimenticato
Testata: Agenzia Radicale Data: 18 dicembre 2006 Pagina: 1 Autore: Elena Lattes Titolo: «Primo Levi disse:chi nega il Genocidio rischia di ripeterlo»
Da NUOVA AGENZIA RADICALE:
Parafrasando una famosa pubblicità, che mondo sarebbe senza Israele? Considerando che è uno dei Paesi più avanzati sia dal punto di vista tecnico-scientifico (basti pensare al processore Intel (quello che fa girare tutti i nostri computer) al mouse o ai primi programmi di chat, giusto per fare qualche esempio tra ciò che ormai quotidianamente usiamo), sia da quello artistico-letterario-umanistico, si potrebbe riassumere, senza elencare le innumerevoli invenzioni e scoperte, i premi Nobel e altri vari riconoscimenti, che tutto lo scibile e quindi l’umanità intera, ne soffrirebbe.
Eppure, mentre un novello Hitler proclama ogni giorno che passa, da quando è salito al potere, poco più di un anno fa, la sua volontà di spazzare via il “piccolo Satana” e mentre sta velocemente dotando il suo Paese di micidiali armi nucleari, finanziando e foraggiando, nel frattempo, le maggiori e più violente organizzazioni terroristiche della zona, le democrazie stanno a guardare senza prendere seri provvedimenti.
Certo, il mondo non è nuovo all’indifferenza, anzi si potrebbe dire che si regge su di essa. Ma, a differenza di altre situazioni, la distruzione di Israele non sarebbe soltanto la prima cancellazione di uno Stato sovrano dell’epoca moderna. Sarebbe la diabolica ripetizione del più grande massacro organizzato della Storia. Anche se ovviamente le modalità non sarebbero esattamente le stesse. Sei milioni, non centinaia, non migliaia, ma sei milioni di persone, un terzo della popolazione ebraica mondiale di allora, furono industrialmente sterminate 60 anni fa. Sei milioni ora rischiano una “Endloesung”, “Soluzione finale”, analoga.
C’è chi basa la propria indifferenza sostenendo che Israele è militarmente forte e quindi indistruttibile. Questa teoria, però, non considera che se non si ferma prima il programma nucleare iraniano, anche un arsenale fornitissimo non potrà impedire a quei teocrati, o a uno dei loro sicari, di buttare anche una sola bomba che distruggerebbe se non tutto, sicuramente la parte più consistente del Paese.
Altri, invece, affermano che il dialogo sarebbe l’unico modo per ammansire la famelica ossessione di Ahmadinejad. Come si può, però, dialogare con una simile teocrazia dalle mire imperialistiche e basata sul terrore? Il dialogo presuppone che le due parti abbiano un linguaggio in comune o quanto meno una logica condivisa. Il presidente iraniano, invece, ha dimostrato di essere costantemente irrazionale; da quando è al potere reitera le sue contraddizioni che rasentano la pazzia: nega la veridicità del genocidio nazista, ma accusa Israele di comportarsi come i nazisti; afferma di non avere niente contro gli ebrei, ma offende la Memoria della loro più grande Tragedia, in un crescendo che, anche in questo ricorda il suo predecessore austriaco.
Dalle dichiarazioni iniziali, infatti, non ha fatto trascorrere molto tempo per passare alle vie di fatto della peggiore propaganda: prima il concorso mondiale di satira antisemita, poi, nei giorni scorsi, il convegno per negare il Genocidio nazista. Da quest’ultimo vorrebbe far scaturire una Commissione permanente che reiteri le teorie, che finora si potevano considerare patrimonio dell’estrema destra occidentale.
Accusa l’Europa di non essere abbastanza libera, ma perseguita, incarcera e uccide i dissidenti. Ha istituito una sorta di pagellino per quegli studenti universitari che fanno attività politica e, coloro che raggiungono le tre stellette vengono considerati pericolosi ed automaticamente espulsi dagli atenei. Dei manifestanti della scorsa settimana, quattro non sono tornati a casa e le loro famiglie non hanno ancora ricevuto loro notizie. Sempre a proposito della libertà tanto sbandierata da Ahmadinejad, all’unico arabo musulmano israeliano che avrebbe voluto partecipare al “convegno” per confutare le tesi negazioniste, non è stato concesso il visto.
Eppure, nonostante questo crescendo, che per ora sembra inarrestabile, pare non sia ancora condizione sufficiente per far prendere qualche iniziativa concreta ai governi occidentali. Quando il 27 gennaio l’Europa ricorderà l’apertura dei cancelli di Auschwitz, quale significato darà a quel “Mai più”? E soprattutto cosa ha intenzione di fare, affinché non resti un semplicistico slogan di circostanza? Primo Levi disse che chi nega il Genocidio rischia di ripeterlo. Sembra che l’Europa l’abbia già dimenticato.
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