Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Testata: Corriere della Sera Data: 17 dicembre 2006 Pagina: 2 Autore: la redazione Titolo: «Abu Mazen sfida Hamas: «Nuove elezioni» - Olmert si schiera col presidente Gli Usa: ora fermare le violenze»
Dal CORRIERE della SERA del 16 dicembre 2006, una cronaca sulla svolta di Abu Mazen, che annunciando elezioni anticipate è entrato in aperto conflitto con Hamas:
RAMALLAH — Aspetta un'ora e mezzo. Racconta nei dettagli i mesi di trattative con Hamas per la nascita di un governo di unità nazionale, ripercorre la diplomazia palestinese dai tempi di Oslo, risponde agli attacchi e attacca. Poi, passati 90 minuti, Abu Mazen annuncia: «Ho deciso di indire le elezioni anticipate per il parlamento e per il presidente. Torniamo alla gente, sentiamo che cosa ha da dire e lasciamola giudicare». Poche parole bastano a far balzare in piedi i notabili del Fatah, convenuti nella sala della Mukata a Ramallah. Tra gli applausi, inneggiano al raìs: «E' una decisione storica». Poche parole bastano a far sobbalzare i dirigenti di Hamas, che si sono rifiutati di partecipare alla cerimonia e hanno seguito il discorso in diretta alla televisione, come gli altri palestinesi: «E' un colpo di Stato contro il popolo». DIRITTO — Il presidente ha voluto chiarire subito di avere il potere per attuare il suo piano: «E' un diritto costituzionale. Posso fare quello che voglio. Mandare a casa il governo non è una ricetta per la guerra civile, come mi accusa Mahmoud Zahar (ministro degli Esteri, di Hamas, ndr). Non ci fanno paura». In realtà, la carta fondamentale provvisoria, scritta su misura per il potere senza rivali di Yasser Arafat, non precisa in quali occasioni il parlamento (dove Hamas ha la maggioranza con 76 seggi su 132) possa essere sciolto in anticipo. DATA — Abu Mazen, 71 anni, può nominare o licenziare il premier e ha accusato Ismail Haniyeh di non aver rispettato la piattaforma stabilita insieme, quando 11 mesi fa ha ricevuto l'incarico con i suoi ministri, come il riconoscimento di Israele e il rispetto degli accordi passati. Il leader palestinese non ha indicato una data per le elezioni anticipate e ha lasciato la porta aperta a una soluzione che porti a un governo di unità nazionale. Ora Abu Mazen deve consultarsi con la commissione elettorale per stabilire quando emettere il decreto che indice il voto. «Non è sicuro che la commissione gli dia ragione — spiega l'analista Diana Buttu, al New York Times —, lo faranno solo se riconoscono che è legale. Il presidente può comunque dimettersi e ci saranno nuove elezioni per quella carica». Yasser Abed Rabbo, uno dei consiglieri di Abu Mazen, è convinto che i palestinesi torneranno alle urne da qui a tre mesi. Saeb Erekat, ex capo dei negoziatori e anche lui nello staff della Mukata, prevede che il voto non si possa tenere prima di giugno 2007. «Ha salvato il suo popolo dal rischio di una guerra civile. Abbiamo un'autorità con due teste. Quindi, che cosa dobbiamo fare? Tra le pallottole e i voti, il presidente ha scelto i voti». TECNICI — Anche se in questi mesi dovesse nascere un nuovo esecutivo, il Fatah non dovrebbe farne parte. Il raìs spinge per un governo di tecnici e ammette di essere ancora pronto ad accettare Ismail Haniyeh («un uomo onesto e nobile») alla guida di una squadra che permetta di rompere l'embargo economico. «Non mi serve un governo per fare uno show — ha proclamato tra le risate —, mi serve un governo che possa fermare il boicottaggio della comunità internazionale». Ahmed Youssef, consigliere politico di Haniyeh, ha accusato Abu Mazen di «non essere più un interlocutore. E' parte del problema, non della soluzione». Nella corsa presidenziale, Hamas punterebbe proprio su Haniyeh, 44 anni, mentre Abu Mazen avrebbe fatto capire di non voler lottare per un secondo mandato. LEADER — In questo caso il Fatah dovrebbe individuare un leader che convinca tutti i palestinesi e cercarlo tra i capi della nuova generazione: il più popolare è Marwan Barghouti, 47 anni, condannato a cinque ergastoli in un carcere israeliano; Mohammed Dahlan (45) è forte a Gaza, ma poco amato in Cisgiordania. Come prima mossa, Abu Mazen ha nominato un nuovo comitato politico nel Fatah e ha riorganizzato il dipartimento per i negoziati dell'Olp. Nel discorso ha spiegato di essere pronto ad accettare la formula dei «risarcimenti per chi rinuncia al diritto al ritorno», in un eventuale accordo di pace con Israele. SCONTRI — Nonostante gli appelli di Khaled Meshal, leader di Hamas che vive in Siria, a evitare una guerra civile, nella Striscia i miliziani fondamentalisti si sono scontrati con gli uomini del Fatah. Un ragazzino di 13 è stato ucciso dal fuoco incrociato e 18 persone sono rimaste ferite.
Di seguito, una rticolo sulle reazioni internazionali, in primis quella israeliana:
GERUSALEMME — Gli israeliani si affrettano a dire «è una questione interna palestinese». Ma la sfida ad Hamas lanciata da Abu Mazen è la mossa che il governo di Ehud Olmert si aspettava da tempo. «Noi sosteniamo i moderati — commenta la portavoce Miri Eisin — che puntano a riaprire i negoziati senza ricorrere alla violenza. Abu Mazen è un leader di questo tipo. Speriamo che sia in grado di rafforzare la sua autorità su tutto il popolo palestinese». Il laburista Ophir Pines-Paz ha riconosciuto «il coraggio dimostrato ancora una volta dal presidente». Candidato contro Amir Peretz, ministro della Difesa, alla guida della sinistra, Pines-Paz ha sempre sostenuto la necessità di ricominciare a dialogare con il raìs della Mukata. «Se non collaboriamo con lui, l'Iran prenderà il controllo dell'Autorità palestinese». E' la stessa preoccupazione del vicepremier Shimon Peres. «Da quando ha ottenuto milioni di dollari dagli ayatollah, il primo ministro Ismail Haniyeh è diventato un agente di Teheran, un regime che vuole cancellare lo Stato israeliano». L'intelligence di Gerusalemme è preoccupata dalla nuova alleanza tra il movimento fondamentalista sunnita e i leader sciiti. «L'Iran non è pronto a fare regali — spiega una fonte al quotidiano Haaretz — senza ottenere nulla in cambio. Hamas dovrà rispondere agli ordini che arrivano da Teheran». Negli ultimi mesi, i consiglieri politici di Olmert, Yoram Turbowicz e Shalom Turjeman, hanno condotto delle trattative segrete con Rafik Husseini e Saeb Erekat, tra i più vicini al presidente nella squadra della Mukata. L'obiettivo resta riuscire a organizzare un incontro tra i due leader. Sembra difficile che la prima stretta di mano davanti ai fotografi possa arrivare senza che sia risolta la crisi aperta dal rapimento del caporale Gilad Shalit, il 25 giugno. Olmert ha ripetuto di essere pronto a liberare detenuti palestinesi in cambio del rilascio del soldato. Nelle trattative con Hamas, Abu Mazen ha spinto perché Shalit venisse consegnato a lui per poter arrivare all'incontro con un «regalo». Gli americani stanno cercando di rafforzare il raìs anche militarmente. Condoleezza Rice, segretario di Stato, vuole convincere il Congresso a stanziare decine di milioni di dollari per irrobustire la guardia presidenziale. La Casa Bianca appoggia la richiesta di Abu Mazen, che vorrebbe far arrivare nei territori i mille uomini della Brigata Badr, addestrati in Giordania. «Non puoi creare le forze di sicurezza da un giorno all'altro — spiega Rice alla Reuters — per affrontare il tipo di caos e illegalità che regna nella Striscia di Gaza». I soldati della Brigata Badr si andrebbero ad aggiungere ai militari della Forza 17, i fedelissimi del presidente, già cresciuti da 2.500 a 4.000. Anche la Casa Bianca considera le elezioni anticipate «una questione interna». Washington spera che la mossa di Abu Mazen «possa fermare la violenza e favorire la nascita di un governo che accetti le richieste della comunità internazionale». Tony Blair, premier britannico, ha elogiato il discorso di Abu Mazen. «Arriva in un momento critico — ha detto dall'Egitto, da dove si sposterà in Israele e nei territori palestinesi — e traduce il suo desiderio di migliorare le condizioni di vita del suo popolo, che ha sofferto a lungo». Massimo D'Alema, ministro degli Esteri italiano, considera «il Libano e la Palestina questioni fondamentali. Bisogna incoraggiare soluzioni che evitino il precipitare della situazione in vere e proprie guerre civili. La Palestina o trova un accordo per un governo di unità nazionale o deve poter andare alle elezioni e affidare ai cittadini la scelta, come ha proposto il presidente Abu Mazen». D'Alema chiede uno sforzo più grande agli Stati Uniti: «L'Europa è il maggiore operatore di pace della regione, ma da sola non basta. Bisognerebbe che si impegnassero di più gli americani e gli altri Paesi dell'area».
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