Un cumulo di falsità un editoriale che non esprime opinioni, ma disinforma
Testata: La Stampa Data: 17 dicembre 2006 Pagina: 1 Autore: Barbara Spinelli Titolo: «Palestina terapia d'urgenza»
Dalla STAMPA del16 dicembre 2006, un editoriale, che disinforma su Israele e il Medio Oriente. I nostri commenti allinterno del testo:
Solo in questi giorni, forse, si misura nella sua interezza il colossale fiasco delle guerre combattute ultimamente dagli Stati Uniti e dai loro alleati: le regioni che attraverso queste offensive dovevano esser salvate dalla rovina Medio Oriente, paesi petroliferi del Golfo, Afghanistan sono immerse nel caos o in dittature che grazie agli interventi occidentali hanno ricominciato a respirare, a espandersi. E lo Stato d’Israele, che a queste guerre ha partecipato in prima persona (l’operazione in Libano fu presentata come tappa della guerra contro il terrorismo), non è mai stato tanto minacciato. Quel che è accaduto nei giorni scorsi a Teheran rappresenta il climax di questa tensione negativa: con straordinaria disinvoltura, quasi fosse già oggi il leader di una superpotenza santuarizzata (quasi possedesse già l’atomica che protegge da interferenze esterne), il presidente Ahmadinejad ha convocato una conferenza mondiale che nega l’Olocausto per meglio avvalorare la tesi di fondo della propria politica, che è quella dell’illegittimità dello Stato d’Israele. Simile disinvoltura non è senza effetti sugli estremisti che dall’Iran prendono esempio. Essa dà eccezionale forza ai rappresentanti più radicali di Hamas, il partito che ha vinto le elezioni in Palestina, e anche questo lo si è visto nei giorni scorsi, in concomitanza con la conferenza: in un discorso all’università di Teheran il premier palestinese Haniyeh ha dichiarato con eguale sicurezza di sé che
mai Hamas riconoscerà il diritto all’esistenza d’Israele, e che suo obiettivo resta quello di metter fine alla «usurpazione sionista della terra palestinese». Di hudna, di lunga tregua, non ha più parlato.
Va ricordato che anche parlando di hudna Haniyeh ed Hamas hanno sempre ribadito la volontà di giungere infine alla distruzione di Israele. Le due cose (tregua temporanea e guerra finale di annientamento) non sono mai state in contraddizione come vorrebbe farci credere
la Spinelli
Gliscontri tra palestinesi a Gaza, nelle ultime ore, hanno come duro pavimento queste realtà: l’afasica impotenza delle democrazie occidentali, incapaci d’influire su crisi che hanno lasciato marcire. L’autoaffermazione dell’Iran integralista, che ha guadagnato immensa nuova potenza grazie alla guerra Usa in Iraq.
La potenza che l’Iran ha guadagnato in Medio Oriente è in realtà la potenza che l’Occidente gli ha concesso conducendo una trattativa improduttiva sui suoi programmi nucleari, non punendo la sua opera di destabilizzazione dell’Iraq, non contrastando adeguatamente l’ideologia negazionista e antisemita che diffonde nel mondo, non sostenendo il dissenso interno Non c’era bisogno di mantenere Saddam Hussein al potere per arginare l’Iran, bastava difendere con maggiore fermezza i nostri principi.
E infine la caduta di tre tabù fondamentali, su cui la legge internazionale si è edificata dopo il 1945: il tabù dell’annientamento del popolo ebraico; il tabù dell’atomica, che viene banalizzata diventando normale strumento di testimonianza del potere. Il tabù degli Stati che non possono esser dichiarati indegni d’esistere, se son parte delle Nazioni Unite. È come se ci si trovasse gettati nel fondo di un pozzo fatto di anomia, di illegalità generalizzata. È dal fondo di questo pozzo che il presidente Abu Mazen, ieri a Ramallah, ha fatto sentire la sua voce nel tentativo di uscirne: anticipando le elezioni parlamentari e presidenziali, il successore di Arafat
Se affronterà Hamas e cercherà in modo onesto la via del negoziato conIsraele Abu Mazen, pur restando il “successore di Arafat” alla carica di presidente dell’Autorità palestinese, di certo non sarà il suo successore politico. Il raìs palestinese, infatti, non volle mai realmente giungere ad un accordo con Israele, come dimostrò con i rifiuti di Camp David e di Taba, e non abbandonò mai la sua doppiezza verso il terrorismo, da lui condannato in inglese e promosso in arabo.
spera di ricominciare, con Fatah e indebolendo Hamas, la storia dei negoziati di pace con Israele. Israele si trova davanti a questo immane disastro: militare, politico, umano, di civiltà. Non sarà abbandonato dall’America, anche se l’America delusa e perdente potrebbe riservargli sgradite sorprese. Lo stesso rapporto di Baker e Hamilton sull’Iraq consiglia la via più opportuna trattare con Iran e Siria su Baghdad ma nasconde che l’America negozierà con i due regimi non in posizione di forza, ma di debolezza se non di capitolazione.
Qui viene omesso il fatto chemolti in America, tra gli analisti e nell’amministrazione Bush, considerano il piano Baker irrealistico. Tra questi, lo stesso presidente Bush. Dure critiche al piano arrivano anche dal presidente iracheno Jalal Talabani. E che dire dei democratici libanesi, dei dissidenti siriani e iraniani, che verrebbero abbandonati a se stessi e traditi dall’America se questa dovesse riconoscere a Damasco e Teheran il ruolo di imprescindibili interlocutori loro assegnato dal rapporto Baker?
Israele sarà ancor meno abbandonato dall’Europa:
Ne siamo sicuri? Di fatto, l’Europa ha abbandonatoIsraele quando gli accordi di Oslo non hanno portato alla pace ma a un’offensiva terroristica senza precedenti, ha condannato Israele quando ha ingaggiato una guerra difensiva contro la longa manus di Teheran in Libano, Hezbollah, continua a preferire i rapporti economici con l’Iran alla difesa della verità storica sulla Shoah, a un esemplare condanna dell’antisemitismo di Stato del regime degli ayatollah e persino alla necessità di impedire che un regime votato alla distruzione di Israele si doti di armi nucleari. Se l’Europa davvero non vuole abbandonare Israele nel momento del massimo pericolo per la sua stessa esistenza, dovrebbe capire che il tempo delle dichiarazioni d’intenti è passato: è l’ora dei fatti.
il nostro continente non può permettere che il popolo ebraico perda il suo rifugio, perché delle sue mortali vicissitudini è stato colpevole e resta responsabile. Arrigo Levi ha scritto su questo giornale, il 12 settembre, che gli ebrei in Europa «erano milioni, e ne sono rimasti decine di migliaia; in alcuni Paesi, quasi nessun ebreo è rimasto in vita. L’Europa ha perso una delle nazioni che avevano contribuito a creare la sua civiltà. Non occorrono studi, ricerche, nemmeno testimonianze, per essere consapevoli di quello che è stata
la Shoah ». Gli Stati europei possono criticare Olmert, ed è utile che lo facciano: ma rinunciare a Israele è loro interdetto. Non abbandonato, lo Stato d’Israele è tuttavia più che mai solo, alle prese con relazioni internazionali in frantumi. In realtà non è nuovo quel che ha detto Ahmadinejad alla conferenza di Teheran. Nel mondo musulmano
la Shoah è considerata da tempo una bugia, inventata per legittimare l’esistenza dello Stato d’Israele. L’ex deputato olandese Ayaan Ali Hirsi, che è venuta in Europa dall’Arabia Saudita e dal Kenya, ricorda come l’Olocausto non sia solo considerato una menzogna: il mondo musulmano semplicemente non sa nulla di quel che è accaduto a Auschwitz, lei stessa lo ha saputo solo quando è arrivata in Olanda. Non lo si insegna nelle scuole, non lo raccontano i padri ai figli. Nemmeno le organizzazioni caritative dei missionari cristiani ne parlano: portano pane, fede, ma non verità sulla storia degli ebrei d’Europa (Ali Hirsi, Herald Tribune 15-12-06). Nuovo è di contro l’uso politico dell’Olocausto per una strategia che ha per scopo la ridefinizione dei rapporti di potere nel mondo musulmano. Nuova è la forza dell’ideologia integralista incarnata oggi da Ahmadinejad: una forza che lo stesso Khomeini non aveva, e che sembrava quasi moribonda ai tempi del presidente riformista Khatami. Oggi Ahmadinejad parla come un vincitore, anche se in patria non manca un’opposizione, e sa di trovare il consenso di tutto l’Islam nel mezzo del conflitto vissuto da molti musulmani come cosmico tra sciiti e sunniti. Nuova, infine, è l’argomentazione con cui il presidente iraniano si pavoneggia: se la vera democrazia consiste nel diffondere tutte le idee, compresa quella che nega l’Olocausto, il suo paese è l’unico autenticamente democratico. Gli europei e gli americani non danno questa libertà ai revisionisti della Shoah, e son dunque da considerarsi perdenti su tutti i piani: sul piano economico per via della loro dipendenza dal petrolio, sul piano militare dopo la catastrofe irachena, e infine sul piano della cultura democratica. Quest’ultimo punto sarà bene non trascurarlo, nell’analizzare l’Iran e la disfatta a Baghdad: è la democrazia delle maggioranze numeriche e delle evoluzioni demografiche che ha portato al potere Ahmadinejad ma anche gli sciiti in Iraq, che dà forza agli sciiti di Hezbollah in Libano, che a Gaza ha dato le ali a Hamas, che in Israele stesso spinge tanti cittadini arabi a chiedere la fine della natura esclusivamente ebraica di Israele.
A questo punto sarebbero state opportune alcune precisazioni. Innanzitutto l’Iran non è in alcun modo una democrazia, dato che gli organi rappresentativi “repubblicani” sono subordinati a una struttura di potere parallela, teocratica. Che stabilisce anche chi può presentarsi alla elezioni e chi no, blindando di fatto il sistema. In secondo luogo, le democrazie occidentali sono democrazie liberali. In esse i diritti individuali sono garantiti indipendentemente dal variare delle maggioranze. Non è così in paesi nei quali la vittoria di movimenti fondamentalisti può portare all’instaurazione di stati islamici. Per di più, in molti casi (per esempio Hamas nell’Autorità palestinese edHezbollah in Libano) i partiti islamisti sono al contempo gruppi terroristici e milizie e come tali non potrebbero mai partecipare alle elezioni in una democrazia liberale (di più: in un qualsiasi stato funzionante)
Israele non può ignorare questa realtà, ed è per questo che reagisce con dolore, con paura: due sentimenti che si possono comprendere, che possono abbattere e scoraggiare. Ma la paura può esser anche lievito per una nuova volontà d’agire, per nuove assunzioni di responsabilità. Hans Jonas parla di euristica della paura, a proposito della responsabilità che abbiamo per il futuro, ed euristica vuol dire: capacità di cercare e trovare la soluzione, grazie alla visione del pericolo che la paura rende più acuta. Quel che Israele ha di fronte, è la realtà di battaglie che non possono più esser vinte con le guerre e neppure con i ritiri unilaterali. Possono esser vinte solo negoziando con i meno radicali fra i propri nemici, dando forza e autorità all’Autorità palestinese, sgomberando davvero i territori e permettendo che su di essi sia costruito uno Stato funzionante.
Israele non ha cessato di cercareil negoziato con i palestinesi, reso impossibile dalla prosecuzione del terrorismo e dalla vittoria elettorale di Hamas, che non riconosce nemmeno il diritto all’esistenza dello Stato ebraico. La crisi dell’Autorità palestinese dipende dalla tolleranza verso l’anarchia armata che vi regna; tolleranza che ha accomunato fin qui Abu Mazen ed Arafat. E che ha impedito anche la nascita di “uno stato funzionante nei territori”. Israele, infine, ha sgomberato “davvero” sia Gaza che molte città in Cisgiordania ,sia unilateralmente che in seguito a negoziati. Ottenendo in cambio sempre e soltanto del terrorismo.
Guardare in faccia la realtà vuol dire aiutare chi combatte terrorismo ed estremismo, scegliendoselo come interlocutore. Vuol dire metter fine a una politica suicida: Gaza dopo esser stata evacuata è tornata a vivere sotto dominio israeliano, ed è stata trasformata in una prigione a cielo aperto, con 1,4 milioni di carcerati tentati da violenza e martirio.
Gaza non è mai tornata sotto dominio israeliano; non è mai stata rioccupata. Dopo lo sgombero delle colonie i palestinesi non hanno tentato di costruire uno Stato, né un’economia, né nuove abitazioni. Hanno distrutto impianti agricoli e industriali che davano lavoro a migliaia di persone (oltre che sinagoghe) sostituendoli con tunnel per il contrabbando di armi dall’Egitto e campi di lancio dei razzi kassam
Un’intera popolazione ha pagato la colpa commessa in giugno dai malviventi che hanno rapito il soldato israeliano Gilad Shalit, e paga i missili Kassam che continuano a colpire la città di Sderot in Israele.
Israele non ha mai colpito la popolazione palestinese con punizioni collettive. I rapitori di Ghliad Shalit non sono”malviventi”, ma terroristi legati ad Hamas, formazione che governa a Gaza e nell’Autorità palestinese. Israele risponde ai missili kassam cercando di colpire le postazioni dai quali vengono lanciati e i terroristi. Se la popolazione civile “paga un prezzo” èperché i terroristi agiscono deliberatamente in mezzo ad essa.
Il passaggio di Rafah che dall’Egitto porta a Gaza è quasi sempre chiuso per volontà israeliana,
Il passaggio di Rafahè quasi sempre chiuso perché attraverso di esso i terroristi fanno transitare armi e denaro destinato a finanziare la violenza. Dunque per necessità, non per “volontà di Israele”. Inoltre, Israele ha offerto, nelle situazioni di emergenza, l’utilizzo di valichi sostitutivi, vedendosi opporre netti rifiuti dall’Autorità palestinese e a Israele appartiene il controllo dell’acqua,
nel senso che continua a fornire acqua a Gaza
del cielo, dei movimenti delle persone.
necessità imposte dal perdurare dell’offensiva terroristica
Israele ha distrutto strade, ponti, e una centrale elettrica che serviva 700 mila palestinesi.
dopo il rapimento di Ghilad Shalit, per evitare che il soldato rapito venisse spostato all’interno delle Striscia
È la disperazione che genera la forza di Hamas, e che spiega la guerra civile che oggi dilaga a Gaza. I
I palestinesi hanno dato il loro consenso ad Hamas subito dopo il ritiro israeliano da Gaza. Quando avrebbero potuto scegliere di impegnarsi a costruire il loro futuro e il loro benessere, anziché premiare chi predicava la distruzione di Israele e già aveva iniziato a lanciare kassam contro Sderot. Non è la disperazione a generare la forza di Hamas, ma la volontà, promossa da una capillare propaganda d’odio, di andare in guerra con Israele, l’inquinamento delle procedure democratiche prodotto dall’operato delle milizie armate, la corruzione di Al Fatah
Gli israeliani dicono che l’evacuazione dei territori e delle colonie non è servita a nulla, né in Libano né a Gaza, perché Hamas resta forte e colpisce anche se Israele si ritira. È vero, oggi si rischia davvero il peggio:
la Shoah è sempre di nuovo possibile, la storia può ripetersi. Ma proprio perché questo è il rischio, proprio perché i boat-people in fuga dal Vietnam iracheno potrebbero oggi essere gli ebrei, urge una terapia di estrema emergenza, diversa da tutte le terapie passate. Una terapia nelle mani dello Stato d’Israele, chiamato a un agire diverso e a una memoria non più mitologica dell’Olocausto. Ma una terapia anche in mano all’Europa, che deve trovare il coraggio di pensare l’impensabile: con un impegno molto più diretto, con un gigantesco sforzo finanziario, per fermare l’annientamento sempre meno improbabile d’Israele e la guerra mondiale che ad esso farebbe seguito.
Come si può constatare,la conclusione di questo articolo è un cumulo difalsità. Non di opinioni legittime, per quanto eventualmente discutibili, ma di pure e semplici falsità antisraeliane. Bisogna aggiungere che queste false accuse a Israele sono corredate di un' illustrazione che rappresenta la foto strappata di un prigioniero di un campo di concentramento nazista. Combinata con il testo, una simile immagine suggerisce l'ingiurioso e falso paragone tra Israele e nazismo, tipico della più virulenta propaganda antisionista.
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