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La Stampa Rassegna Stampa
16.12.2006 Cronaca della faida palestinese
e l'opinione di Daniel Pipes

Testata: La Stampa
Data: 16 dicembre 2006
Pagina: 6
Autore: la redazione-Daniel Pipes
Titolo: «La vendetta di Hamas-Stop ai palestinesi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/12/2006, due articoli.  a pag.6, la cronaca delle faide palestinesi. Segue, a pag.7, l'opinione di Daniel Pipes.

Ecco la cronaca:

L'aspro conflitto che da mesi oppone Hamas ad Al Fatah ha assunto anche toni religiosi dopo la sparatoria di giovedì notte al valico di Rafah (fra Egitto e Gaza) in direzione del primo ministro Ismail Haniyeh. I proiettili hanno ucciso una guardia del corpo del premier, hanno ferito al volto il figlio Abdel Salam Haniyeh, il consigliere Ahmed Yusef e altre trenta persone.
Hamas ieri non aveva dubbio che si sia trattato non solo di un attentato politico ordito da Al Fatah ma anche del primo episodio «di una guerra dichiarata dal presidente Abu Mazen contro Allah e contro il popolo palestinese». Per tutta la giornata portavoce di Al Fatah hanno replicato che semmai è Hamas a seminare anarchia. Ma la direzione religiosa di Hamas, la Shura, è stata irremovibile e secondo fonti di Gaza ha spiccato in segreto sentenze di morte contro otto dirigenti di Al Fatah fra cui Mohamed Dahlan e Samir Mashrawi.
Già ieri le strade di Gaza e di Ramallah hanno conosciuto ore di violenza, in cui decine di palestinesi sono rimasti feriti. Due versano in condizioni critiche. Oggi la tensione salirà ulteriormente quando Abu Mazen, in un discorso alla Nazione, potrebbe menzionare la possibilità di rimuovere Haniyeh dall'incarico e di indire un referendum sulla opportunità o meno di elezioni anticipate. Per Hamas sono parole esplosive, che equivalgono a un colpo di stato. I suoi miliziani, eccitati da giornate di scontri, non chiedono altro che misurarsi con le forze di Al Fatah.
La catena di episodi che ha portato alle violenze di ieri è iniziata giovedì quando, al ritorno da una missione in Egitto, Qatar, Siria, Iran e Sudan Haniyeh ha scoperto che non avrebbe potuto passare dal Sinai a Gaza se non avesse depositato in Egitto 35 milioni di dollari in contanti che intendeva distribuire ai funzionari dell'Anp. Il valico di Rafah era infatti chiuso, per volere di Israele.
I miliziani di Hamas hanno subito organizzato un attacco al valico. A centinaia vi hanno fatto ingresso sparando: Forza 17, la unità di élite di Abu Mazen che dovrebbe controllarlo, non ha resistito alla pressione più di cinque minuti. In nottata, quando Haniyeh ha infine avuto via libera, il suo ingresso a Gaza è stato accolto da spari di gioia. I suoi guardiani hanno avuto l'impressione che fosse in pericolo di vita e hanno sparato sulla folla. Superato il valico, Haniyeh ha scoperto che aveva sulle gambe il corpo inerte di una guardia del corpo.
Ieri mattina, poche ore dopo gli eventi, due dirigenti di Hamas hanno indetto una conferenza stampa per denunciare che si era trattato di un attentato al premier, ordito da Mohammed Dahlan, ex capo della sicurezza preventiva ed uomo forte di Al Fatah a Gaza. Hamas ha anche bruscamente intimato ad Abu Mazen a prendere subito le distanze da Dahlan e a rimuovere Forza 17 dalle strade.
Il ministro degli Esteri palestinese Mahmud a-Zahar ha anche definito Dahlan «un ladro di polli che un tempo a Khan Yunes non aveva i soldi per comprarsi i sandali e che adesso ha i milioni»: ha lasciato intendere che nel frattempo ha svuotato a piene mani le casse dell'Anp. Anche allo stadio Yarmuk di Gaza, dove 100 mila sostenitori di Hamas si sono raccolti per festeggiare i 20 anni del loro movimento, politica e mistica sono andati a braccetto. Haniyeh, che aveva passato otto ore all'addiaccio sul versante egiziano di Rafah «come l'ultimo dei profughi palestinesi» ha avuto una accoglienza eroica. «Oh Abu el-Abed, oh persona nobile, non riconoscere mai Israele» gli ha scandito la folla. E Haniyeh, commosso, ha detto di non aver temuto la morte perché entrando nelle fila di Hamas era come tutti desideroso del martirio nel nome dell'Islam e non sognava certo di diventare un ministro.

e l'ntervistra a Pipes:“Stop ai palestinesi
L’Occidente
deve disarmarli tutti”

«E’ possibile che i palestinesi siano sull’orlo della guerra civile, e dal punto di vista strategico non mi dispiace». Daniel Pipes è un neocon che ha rotto con l’amministrazione Bush sull’Iraq, e continua a prendere posizioni critiche sull’intero Medio Oriente.
Perché Fatah e Hamas si combattono?
«Sul piano strategico hanno lo stesso obiettivo: distruggere Israele. Però li separano la radice dei due movimenti, laica nel caso di Fatah e religiosa in quello di Hamas, le personalità dei leader, le tecniche, e anche gli appoggi esterni. La prima organizzazione, infatti, è sostenuta dall’Arabia Saudita, mentre la seconda dall’Iran. Per molti anni sono riuscite a lavorare insieme, e non è detto che non tornino a farlo, perché potrebbero riconoscere che ciò è nel loro interesse comune. Però alcuni fattori, come la morte di Arafat e l’inaspettata vittoria di Hamas alle elezioni di gennaio, hanno aumentato le possibilità di uno scontro frontale. Da una parte, infatti, la scomparsa del leader storico ha indebolito Fatah, lasciando al suo posto la figura meno carismatica di Abbas; dall’altra, il successo alle urne ha galvanizzato il movimento fondamentalista islamico».
Fatah non ha riconosciuto Israele?
«Questo è l’errore fondamentale commesso dall’Occidente, a partire dagli accordi di Oslo. L’Olp ci ha fatto credere di aver rinunciato alla distruzione dello Stato ebraico, per ottenere soldi, armi e legittimità, ma in realtà non ha cambiato il suo obiettivo strategico finale. Lo dimostrano i fatti, dalla propaganda nei discorsi ai libri di scuola, fino alle cartine che mostrano uno stato palestinese dal Mediterraneo alla Giordania. In pratica l’Olp ha scelto la via del doppio gioco, mentre Hamas è più semplice e diretto nel perseguire l’eliminazione di Israele».
Ragionando in maniera pragmatica, cosa dovrebbe fare l’Occidente davanti agli scontri tra palestinesi?
«Esistono due scuole di pensiero. Secondo la prima, bisogna soddisfare i palestinesi, dando loro terra, soldi, indipendenza: più li faremo felici, più saranno inclini ad accettare la soluzione dei due stati. Questa è la via di Oslo, che ha chiaramente fallito. La seconda scuola, invece, pensa che più diamo, più i palestinesi acquistano fiducia, e si convincono di poter raggiungere l’obiettivo finale di distruggere Israele. Io condivido a questa linea di pensiero, e credo che l’unica via attraverso cui i palestinesi accetteranno di coesistere con lo Stato ebraico è la sconfitta militare. Qualunque mezzo torni utile a raggiungere questo scopo va utilizzato».
Alcuni analisti sostengono che gli scontri di questi giorni sono un’altra prova del fallimento dell’intera politica mediorientale di Bush.
«Io non appartengo al gruppo di chi rimprovera qualunque guaio mondiale agli Usa, ma sono stati commessi due errori gravi: primo, spingere per le elezioni vinte da Hamas; secondo, considerare Arafat il problema e Abbas la soluzione. Quattro quinti dei palestinesi vogliono distruggere Israele, incluso Abbas: l’unica politica saggia è aiutare il quinto che lo accetta davvero a crescere, senza escludere nessun mezzo».

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