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La Stampa Rassegna Stampa
14.12.2006 Tre bambini assassinati, indignazione zero
una lettera a Lucia Annunziata

Testata: La Stampa
Data: 14 dicembre 2006
Pagina: 42
Autore: Adelina Maccioni - Lucia Annunziata
Titolo: «Tre bambini assassinati, indignazione zero»

Da La STAMPA del 14 dicembre 2006, una lettera indirizzata a Lucia Annunziata e la risposta della giornalista:

Tre bambini assassinati

indignazione zero
Nemmeno di vittime innocenti hanno avuto rispetto. Nessuno sembra essersi scandalizzato molto per il delitto più atroce che io abbia mai visto. Tre bambini dai quattro ai dieci anni uccisi per vendetta contro il loro padre. Lo so, tanti bambini ogni giorno muoiono in guerra, ma qui c’è stato un commando che li ha uccisi organizzando un’imboscata! Non hanno meritato grandi onori sulla nostra stampa. Certo in ogni giornale e telegiornale è stato dato lo spazio dovuto, ma indignazione? Zero. Sarebbe stato così se fossero stati uccisi da soldati americani o israeliani? Mi fa male anche solo avanzare questa domanda, perché non sono per nessuno di questi. Ma stavolta non è stata Israele, stavolta qualcuno dovrebbe mettere il dito sulle responsabilità degli arabi. O non è possibile dire nulla, tanto sono tutte vittime, e dunque gli arabi non possiamo giudicarli? Mi scuso per lo sfogo di una vecchia insegnante.
Adelina Maccioni
Alba

Il relativo silenzio, la mancanza di indignazione vera, ha colpito anche me. Niente proteste ufficiali, né collettivi politici che hanno sbandierato i volti dei bambini. Questo episodio, e altri in corso a Baghdad, dovrebbero farci riflettere sul nostro intero approccio alla questione mediorientale. Noi continuiamo - con la nostra cattiva coscienza da ex imperialisti - a esercitare nei confronti di questo mondo un marcato sociologismo storicistico che ci porta a giustificare qualunque cosa in nome di una libertà negata per molti anni a questi popoli. In nome di questa negazione di libertà capiamo ogni loro mancanza, sia di natura etica che politica. Così facendo pensiamo di aiutarli, ma se l’esercizio di comprensione aiuta a scaricarci la nostra coscienza, mantiene i nostri rapporti con loro nel regno della condiscendenza: gli arabi, e i palestinesi in particolare, spesso nelle nostre parole e nelle nostre politiche iperprotettive finiscono con il non essere altro che bambini dallo sviluppo rallentato, che vanno presi per mano e portati piano piano all’età della comprensione. In due parole: ancora oggetti di una visione imperiale, sia pur di segno rovesciato. Nel mondo arabo, invece, è in corso da almeno un secolo una guerra di potenza e controllo, interna e estera. Ha espressioni contro l’Occidente, ma è soprattutto guerra intra-Araba, e in ogni nazione assume anche connotati religiosi e di classe. Abbiamo sempre paura di concludere questa analisi. La conclusione che dovremmo avere sempre presente è che nel mondo arabo ci sono forze con cui non dobbiamo stare, costi quel che costi; dialoghi che non dobbiamo iniziare, perché è una sciocchezza che il dialogo sia l’unica alternativa alla guerra; ci sono linee che non si possono attraversare. E bisogna dirlo con chiarezza. La diplomazia non è l’arte di indorare le pillole.

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