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Il Foglio Rassegna Stampa
12.12.2006 Vita di un dissidente perseguitato dall'islam
intervista a Geert Wilders

Testata: Il Foglio
Data: 12 dicembre 2006
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Prigione , caserma, Parlamento La vita sotto scorta di Geert Wilders»
Dal FOGLIO del 12 dicembre 2006:

Roma. “Tra poche ore discuterò con la polizia delle ultime minacce”. Da due anni il politico olandese Geert Wilders sta attraversando un incubo. E’ vivo grazie alla protezione di sei guardie del corpo, antifascista esecrato a sinistra, fuggiasco condannato a morte dagli islamisti, perseguitato sotto la brace della convivenza. Wilders si è abituato a vivere alle pendici di un vulcano, un’esistenza ritualizzata dall’ecatombe quotidiana della libertà. Il suo nome era in cima alla “lista di morte” compilata da Mohammed Bouyeri prima che recidesse la carotide di Theo van Gogh. “Che Allah possa distruggerti”, ha scritto Bouyeri. Ex collega di Ayaan Hirsi Ali nella formazione liberale, Wilders ha portato nella Camera bassa del Parlamento sei deputati con una nuova formazione. “Ho fondato un ‘Partito per la libertà’, ma sono l’uomo meno libero d’Olanda”, racconta Wilders al Foglio. Cinque minacce di morte al giorno non riescono però a bruciare una speranza indomita che cela dietro a un linguaggio beffardo e intenso. Non è necessario condividere tutto ciò che dice per capire cosa è in gioco in questo fronte interno della democrazia. Ceri votivi con le sue foto sono stati affissi su alcuni alberi di Rotterdam: il conto alla rovescia è iniziato da tempo. “Dopo la scoperta della lettera di Bouyeri fui portato in una caserma militare. Era una situazione sconvolgente, immaginare che in questo momento, mentre noi due parliamo, qualcuno pianifica la tua morte. Il mio nome è stato trovato fra alcune carte a Hebron e in Iraq”. I siti islamisti offrono laute ricompense, e la solita promessa delle 72 vergini in paradiso, a chi riuscirà a ucciderlo, meglio decapitarlo. Per Wilders, caratura del libertario estremo sotto il “sudore della paura”, l’islamizzazione demografica significa “la fine dell’Olanda così come la conosciamo. Il giorno in cui ci saranno più musulmani che ebrei e cristiani, lascerò il mio paese, che sia parlamentare o no. La mia colpa, dopo Van Gogh, è aver detto che c’era troppo islam in Olanda e che bisognava congelare l’immigrazione dai paesi islamici per cinque anni. Negli ultimi due anni c’è stata un’ondata di antisemitismo islamico e di aggressione verso gli omosessuali”. Quando va in Parlamento siede in una zona non visibile al pubblico e un anno fa gli islamisti hanno tentato di assaltare l’edificio. “Nel 2006 ho ricevuto più minacce che nel 2005, le speranze di normalizzazione sono svanite. L’obiettivo dei fascisti islamici è l’instaurazione della sharia e l’abbattimento delle protezioni che ci ha assicurato la tradizione giudaico-cristiana: uguaglianza, rispetto e libertà”. “La tolleranza è diventata consenso” Il livello più atroce di questa esistenza in esilio lo ha toccato quando è stato costretto a vivere per molti mesi nella prigione Kamp Zeist, nella cella accanto a quella dei terroristi del Lockerbie. “In carcere avevo una stanza per dormire e vestirmi e una per mangiare”. A volte si concedeva piccole eccezioni. “Mangiare fuori con qualche amico è sempre meglio che in prigione da solo. Dopo la morte di Van Gogh, Ayaan è stata trasferita in una base navale, io in una prigione. E’ stato terribile, specie per mia moglie”. Quindi è passato alle caserme militari e a una serie di appartamenti del governo. “Qualcuno aveva ricevuto informazioni sulla mia destinazione notturna. Ora beneficio di un appartamento sicuro, fra telecamere e poliziotti”. Di solito le minacce di morte arrivano via email, altre da Internet, altre ancora in video. Come questa: “E’ un nemico dell’islam, deve essere decapitato”. E ancora: “Rinomineremo la Euromast (torre di Rotterdam, ndr) nell’edificio per le esecuzioni con il sangue di Wilders”. Oppure: “Hai cercato di disperdere l’islam, le spade sono affilate”. La polizia ha arrestato un uomo in possesso di una bomba carica di chiodi, modello 7 luglio londinese. Era destinata a Wilders. “La tolleranza è un dono bellissimo, è common sense, ma relativismo e multiculturalismo l’hanno trasformata in consenso. I terroristi colpivano New York e Madrid e noi c’illudevamo che non arrivassero da noi”. Wilders ha lavorato come speechwriter per l’eurocommissario Frits Bolkestein prima di diventare il più scortato nemico dei “thugs islamo-fascisti”, contro cui serve, ha scritto su NRC Handelsblad, un “jihad liberale”. Quando il livello d’allerta sale non sa dove passerà la notte, va dove lo portano. Non usa il telefono e per mesi ha visto la moglie due volte alla settimana, in un appartamento del governo, sempre quando lo decideva la polizia. Anche le penne vengono ispezionate, in cerca di ordigni, prima che varchino la porta del suo ufficio. A volte si trovano biglietti come questo: “Nome: Wilders. Peccato: derisione dell’islam. Punizione: decapitazione. Ricompensa: paradiso”. Nel settembre 2003 l’intelligence olandese conia il termine “Hofstad”, riferendosi a una formazione di islamisti di seconda generazione che si incontravano a casa di Mohammed Bouyeri. Uno di loro, Nouredine el Fatmi, ha detto che se avesse avuto fra le mani Geert Wilders, lo avrebbe decapitato “molto lentamente e senza tagliare completamente la testa. E’ molto più doloroso e prolunga le sofferenze”. Due settimane fa un giudice olandese ha condannato a otto anni di carcere quattro militanti di Hofstad che avevano minacciato di morte il leader olandese. Wilders sa di scontrarsi con un muro d’odio. “La mia vita è come un film horror di serie B – ci racconta – Se vado in bagno, la polizia resta fuori dalla porta. Alcuni amici mi hanno detto di non chiamarli più, hanno bambini piccoli”. L’ironia è che gli uomini che lo minacciano sono liberi, mentre lui, eletto dal popolo, non può neppure annunciare i comizi, per evitare rischi. C’è chi lo ha ribattezzato “l’uomo invisibile”. Dopo la morte del regista di Submission”, si è detto che il vero obiettivo era Wilders. Molto prima della morte di Theo van Gogh, il 2 novembre 2004, Wilders aveva ricevuto un video: l’invocazione ad Allah, un mappamondo coperto da un Corano su cui si alzano un kalashnikov e un braccio teso. “Colpevoli perché nemici dell’islam – recita una scritta in olandese – Condannati alla decapitazione. Chi eseguirà la pena salirà in paradiso”. Secondo il gruppo Takfir wa’l-Hijra, nato in Egitto negli anni Settanta e che conterebbe un centinaio di adepti in Olanda, tutti gli “infedeli” devono essere eliminati fisicamente. “Siamo al centro di una guerra non dichiarata – ci racconta Wilders Queste persone sono motivate da un solo scopo: uccidere chiunque non la pensi come loro. Islam e democrazia non sono compatibili, non lo saranno mai, non oggi e non fra un milione di anni. Sono stato più volte in Iraq e ho toccato con mano l’odio feroce fra sunniti e sciiti. La guerra che gli Stati Uniti hanno mosso all’Iraq era generosa e piena di buone intenzioni. Ma peccava di questa incomprensione sull’islam e la democrazia”. Non vuole essere accostato ai nomi di Jean-Marie Le Pen o Jörg Haider, “sono un conservatore toquevilliano”, un misto eclettico di atlantismo, reaganismo, conservatorismo religioso, liberalismo, euroscetticismo e populismo. Ha lasciato i liberali in polemica con la linea aperturista assunta per l’ingresso della Turchia in Europa e il referendum sulla Costituzione europea, bocciata dalla consultazione popolare olandese, il maggior successo di Wilders. Spesso il suo entourage deve rimanere anonimo. Nel 2000 Bart Jan Spruyt, fondatore del think tank “Edmund Burke”, è stato costretto ad accettare la protezione della polizia. Di recente Wilders ha compiuto un viaggio a Washington, visitando l’American Enterprise Institute, la Heritage Foundation e altri pensatoi. Lì ha riassaporato la vera libertà, racconta, quando si è potuto sedere al bar. Ma a guardargli le spalle c’erano sempre due uomini della scorta. Wilders ha proposto un bando totale sul velo islamico. “E’ un simbolo medievale, un simbolo contro le donne”, spiega. “C’è una ragione per cui si deve essere identificabili in democrazia. Abbiamo problemi con una crescente minoranza di musulmani che aderiscono a una versione fascista di islam. Il burqa non deve essere riconosciuto dall’Europa come legittimo simbolo religioso. E’ il segno di una cultura in terribile ritardo con la democrazia: se vogliamo che le donne musulmane siano a pieno titolo cittadine libere dei nostri paesi devono essere riconoscibili in volto”. Wilders è un uomo segnato. Lo si avverte dalla sua voce, che si trascina un fremito di indifferenza e sprezzo alla morte che incombe come un uccellaccio. “Politicamente è una situazione interessante, umanamente è terribile. Ogni mattina mi sveglio domandandomi dove mi trovi e cosa ne sarà di me. Sono felice di lavorare in Parlamento, ma quando lascio l’edificio non posso andarmene a casa, non posso vedere gli amici e apparire in pubblico”. Nonostante l’esistenza clandestina in cui è costretto a vivere, Wilders non si pente, va avanti. “Non consentirò mai a nessuna di restringere la mia libertà di parola. Se scegliamo di abbassare la nostra voce, le persone che usano violenza, pugnali e proiettili avranno vinto. Ho dei problemi con l’islam, non con i musulmani. L’islam non può diventare dominante in Olanda e in Europa. Il caso dell’intimidazione a Robert Redeker ci dimostra il declino della democrazia occidentale, sono tantissimi i giornalisti, intellettuali e politici costretti alla macchia per le minacce. La vicenda delle vignette su Maometto, che io misi sul sito Internet del mio partito e per il quale ho ricevuto quaranta minacce di morte in soli due giorni, hanno dimostrato il silenzio indicibile dell’Europa sulla libertà di parola: ambasciate bruciate, preti uccisi, pogrom in Africa, richieste di apologie ai governi europei”. Ha anche proposto una moratoria di cinque anni contro l’immigrazione dai paesi islamici e un Patriot Act olandese. Ad Amsterdam e Rotterdam sotto i diciotto anni la maggioranza della popolazione è già islamica. “Sono sicuro che perderemo questo paese se non faremo capire cosa sia in gioco, quali sono i confini della nostra legge e cosa accade a coloro che li violano. Eravamo tolleranti con gli intolleranti e in cambio abbiamo ricevuto solo intolleranza. La debolezza non protegge i nostri valori e le nostre regole. I fascisti islamici che vogliono distruggere la legge non meritano i benefici della legge. Tu puoi anche non condividere quanto dico, ma lo faccio sempre nei confini della democrazia. Quanto sta accadendo a Geert Wilders è un mio problema, ma anche un problema della democrazia”. Una delle ultima minacce diceva: “Oh infedele! Non pensare di essere al sicuro. Il tuo sangue scorrerà per le strade”. “Io distinguo il popolo dalla religione, l’islam è intollerante e violento. Penso che i musulmani possano essere tutti integrati nella società, ma non parlatemi di islam europeo moderato, è una fantasia storica. Ogni fibra del mio corpo mi dice di resistere all’islamismo”. Peggio delle intimidazioni è spesso il biasimo dei media olandesi. “Come quando hanno scritto quanto costava la scorta a me e ad Ayaan Hirsi Ali. Spesso con Ayaan ci dicevamo: ma in quale paese viviamo? Cose che chiaramente non sono normali qui lo sono e vengono ignorate in pubblico”. La moschea El Tawheed di Amsterdam lo ha accusato di blasfemia e l’imam Abdul- Jabbar van de Ven in tv ha detto che avrebbe provato “una certa gioia” dal vederlo morto. “Il concetto di libertà è diventato qualcosa di totalmente altro da me. Non mi muovo se non con una carovana di tre auto a prova di proiettili. Per molto tempo non ho potuto vedere la mia famiglia, è qualcosa che non augureresti al tuo peggior nemico”. Per mesi non ha potuto mostrare il suo volto in pubblico. “Dobbiamo aspettare ancora a lungo prima che qualcosa di terribile accada di nuovo? E’ la fine della democrazia, se gli argomenti sono le pistole e le spade. Non mi sento completamente al sicuro nemmeno in Parlamento”. Michael R., un convertito all’islam dell’Hofstadgroup, disse che “la morte di Van Gogh è solo l’inizio di un lungo capitolo”. Il secondo si chiamava Wilders. Nella posta gli capita di trovare una lettera in cui viene chiamato “cane infame”. “Non sono xenofobo, voglio solo preservare la nostra cultura. Ho sì o no il diritto di dire pubblicamente che il Corano è un libro violento senza essere passibile di morte e di censura? Ho ancora molta adrenalina nelle vene”. Per questo non ha intenzione di emigrare, come ha fatto l’amica Hirsi Ali. Nel 2004 sono stati 40 mila a partire, l’anno successivo 121 mila, il 2006 ne ha contati 100 mila entro ottobre. “Non ho mai pensato di lasciare il mio paese, devo provare a cambiare le cose qui, in Olanda. Il mio più grande dispiacere è quello che arreco alla mia famiglia”. Geert Wilders si è adattato ai funesti ritmi dell’assedio. “Amo andare al cinema con mia moglie. Entriamo da una porta secondaria e prendiamo posto in sala quando il film è già iniziato. Poco prima che rimettano la luce ce ne andiamo”. Per questo dice di volersi battere per “la libertà di camminare per strada di notte”. “Da quando i nostri Padri fondatori trasformarono questa palude in un’oasi di tolleranza, con una bandiera che in tutto il mondo rappresenta la libertà, quello stendardo merita di essere sventolato nella libertà”.

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