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Il Foglio Rassegna Stampa
12.12.2006 Il piano Baker per l'Iraq piace ai dittatori, non ai dissidenti mediorentali
e intanto Amr Moussa teme la guerra civile libanese

Testata: Il Foglio
Data: 12 dicembre 2006
Pagina: 3
Autore: la redazione - Anna Mahjar Barducci
Titolo: «La strategia di Baker - Amr Moussa ci spiega il suo piano per evitare la guerra civile libanese»

Dal FOGLIO del 12 dicembre 2006, un articolo sulla strategia delineata dalla commissione Baker:

Prendete un foglio di carta, tracciate con la penna una linea verticale esattamente sulla sua metà e scrivete nella colonna di sinistra il nome di tutti coloro che hanno accolto con favore il rapporto Baker sull’Iraq, segnalando a destra chi invece lo ha giudicato inutile, assurdo o sbagliato. Tra i fan di Baker – a parte i giornalisti di mezzo mondo e Romano Prodi – ci sono l’Iran, la Siria, Hamas, il Jihad islamico e le Brigate dei martiri di al Aqsa. Nella colonna di chi invece rigetta come impraticabili o folli i principali suggerimenti di Baker – vale a dire cominciare a ritirarsi dall’Iraq e affidare l’Iraq alle cure di Iran e Siria, in cambio del controllo politico e militare a Baghdad e nelle alture del Golan – ci sono i due unici leader democratici del medio oriente, il premier centrista israeliano, il presidente socialista iracheno e probabilmente quegli studenti che ieri, a Teheran, hanno contestato il discorso di Mahmoud Ahmadinejad al grido di “morte al tiranno”.
Basterebbero queste due colonne per chiudere il capitolo sulla premiatissima Commissione Baker, anche perché, tra l’altro, gli avversari americani di Bush e dell’invasione dell’Iraq si sono accorti dell’assoluta incoerenza di questo testo. Sono decine e decine gli articoli delusi dal rapporto dell’Iraq Study Group, l’ultimo è del Washington Post che, col suo primo editoriale di domenica, imputa al gruppo Baker di “immaginarsi un medio oriente che non esiste”. Molti opinionisti liberal sono sulla stessa linea, compreso quel Dennis Ross che per Bill Clinton ha guidato il processo di pace arabo-israeliano e che, l’altro ieri, ha invitato Washington “a non fidarsi di Iran e Siria”. Il commento più serio sulle proposte Baker sembra essere quello del sergente T. F. Boggs, di ritorno dal suo secondo giro di servizio in Iraq: “I suggerimenti di Baker sono una barzelletta, di quelle che potevano venire in mente soltanto a un gruppo di anziane persone da troppo tempo attaccate alle poltrone di Washington”. E qui, a pensare alla straordinaria rispettabilità dei dieci componenti della Commissione, il fior fiore dell’establishment intellettuale giudiziario e istituzionale di Washington, torna in mente una frase geniale attribuita a John Kennedy durante una cena con un gruppo di Premi Nobel: “Questa è la più straordinaria collezione di talenti e di conoscenza umana che si sia mai riunita alla Casa Bianca, con l’eccezione di quando Thomas Jefferson ha cenato da solo

Di seguito, un articolo sul viaggio del segretario della Lega araba Amr Moussa in Libano:

Washington. Oggi Amr Moussa è atteso a Beirut. E’ lui il mediatore cui molti si rivolgono per evitare che la crisi libanese imploda definitivamente sotto l’assedio di Hezbollah che – con i suoi militanti accampati davanti al palazzo governativo da giorni – vuole rovesciare l’esecutivo del premier Fouad Siniora. Il segretario generale della Lega araba ha interrotto il suo viaggio a Washington per condurre di persona le trattative: in questi giorni è stato il suo inviato Mustafa Osman Ismail a prendere contatti e a far digerire sia a Hassan Nasrallah, leader del Partito di Dio, sia a Bashar el Assad, rais siriano, il cosiddetto “piano della Lega araba”. L’attività diplomatica è partita dallo stesso Moussa il 4 dicembre, quando ha incontrato i principali interlocutori della politica libanese. Domenica, all’hotel Jefferson di Washington, il segretario generale della Lega araba ha detto al Foglio di aver appena finito di parlare con Nabih Berri, presidente del Parlamento di Beirut e leader del partito sciita Amal, alleato di Hezbollah. Secondo i presenti, potrebbe aver cercato di convincerlo a unirsi al fronte del 14 marzo per un governo d’unità nazionale. “Gli stati arabi sono coscienti del pericolo che sta minacciando il Libano – ha spiegato Moussa – La situazione è andata al di là dei confini regionali ed è necessario presentare un compromesso tra le varie fazioni”. Cautela e toni diplomatici sono d’obbligo per il segretario della Lega araba, che ha cercato di evitare domande specifiche e ha detto di voler parlare soltanto una volta arrivato a Beirut. “Ma ora che succede?”, gli ha chiesto una signora presente all’incontro riservato a Washington, e lui ha risposto, risoluto e pacato, con una battuta, un sorriso e il rimando al piano della Lega, che include: la proposta di un governo d’unità nazionale, l’approvazione di un tribunale internazionale per gli omicidi che hanno insanguinato il paese ed elezioni anticipate.

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