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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.12.2006 Hezbollah,Libano,Hamas
due pagine di servizi

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 dicembre 2006
Pagina: 12
Autore: Francesco Battistini-Guido Olimpio-Davide Frattini
Titolo: «Vari»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 10/12/2006, due pagine, 12-13, dedicate a Libano,Hezbollah,Hamas. Eccoli:

La spallata di Hazbollah "Paralizziamo il Libano", di Francesco Battistini:

BEIRUT — «Visitate il nuovo zoo all' aperto di Beirut! Sta nella piazza centrale, ingresso gratuito. Attenzione: bestie feroci!». L'sms circola sui telefonini libanesi: trasmesso come uno scongiuro, ossessivo come un esorcismo. Lo zoo sono le cento tende bianche che da dieci giorni assediano il palazzo del premier Fuad Siniora. Le bestie feroci, le centinaia di migliaia di sciiti Hezbollah e di cristiani filosiriani che oggi tentano di nuovo la grande spallata: l'invasione della capitale, il milione di persone che vuole paralizzare il Paese, la controrivoluzione del Primo dicembre per rovesciare il governo nato dalla Rivoluzione dei Cedri del 14 Marzo 2005. La nuova adunata sarà oceanica, promette il giornale hezbollah, e «lunedì sarà un nuovo giorno in Libano». Forse, quella seconda fase della protesta, stile Iran 1978, che il leader sciita Nasrallah ha annunciato giovedì sera, un videodiscorso con auditel da finale di Coppa del Mondo: «Sappiamo come paralizzare le istituzioni — minaccia ora l'editorialista di al-Akhbar —, come chiudere i porti, gli aeroporti e la pubblica amministrazione».
Se valgono le paure del re saudita Abdallah, che ieri alla conferenza dei Paesi della regione citando anche il Libano ha parlato d'«un mondo arabo che somiglia sempre più a un barile di polvere da sparo pronto a esplodere»; se c'è della verità nelle nuove accuse di Washington a Iran e Siria che, «assieme a Hezbollah, cercano di destabilizzare l'attuale governo libanese»; se questo è quel che accade, la manifestazione di oggi è un cerino nella santabarbara. Finora, il servizio d'ordine hezbollah ha tenuto l'onda fondamentalista sotto controllo. Ma la strategia dell' escalation è evidente: anche il presidente Emile Lahoud, filosiriano, ripete che non controfirmerà mai l'ok del governo Siniora a un processo internazionale per i siriani. L'accusa è per l'omicidio di Rafik Hariri, il premier sunnita che saltò sulla bomba del 14 febbraio 2005. Il niet di Lahoud è più che altro simbolico: il Consiglio di Sicurezza dell'Onu è libero d'ignorarlo e di procedere ugualmente contro Damasco. Idem vale per quello del presidente del parlamento, Nabih Berri, pure lui filosiriano, che si rifiuta di convocare le Camere. Ma sono passi, uniti agli slogan di piazza e ad un'economia in apnea, che preparano il terreno allo scontro. Martedì sarà l'anniversario d'un altro attentato, l'uccisione del giornalista Gibran Tueni, e la maggioranza sempre meno silenziosa, guidata dal figlio di Hariri, Saad, prepara le sue contromanifestazioni in altre città del Libano e davanti alla chiesa di Saint Georges, a poca distanza dall'happening hezbollah. Senza escludere un controassedio a Baadba, davanti al palazzo di Lahoud. Anche i sunniti, che in gran parte sostengono Siniora, cominciano a rumoreggiare: l'assedio sciita in piazza al palazzo del Serraglio e gli appelli alle dimissioni del governo sono «un invito alla guerra civile fra musulmani», dice la fazione di Al-Murabitun. Alla preghiera del venerdì, il gran sceicco sunnita Qabbani ha alzato un dito al cielo e tracciato un'immaginaria riga nell'aria: «Questa è una linea rossa. Chi fa cadere Siniora, l'oltrepassa. E noi non lo permetteremo».

Un vertice segreto da Nasrallah per creare " l'incendio controllato" di Guido Olimpio:

NEW YORK — Incurante di pressioni e moniti, l'Hezbollah rilancia la sfida al governo libanese. E lo fa in stretto coordinamento con i due alleati regionali, l'Iran e la Siria. Il 29 novembre — secondo fonti mediorientali negli Usa — si è svolta a Beirut una riunione per organizzare nuove manifestazioni di protesta. Erano presenti il segretario dell'Hezbollah, Hassan Nasrallah, il capo dei pasdaran iraniani in Libano e Siria, Kassem Suleimani, e il consigliere per la sicurezza siriano, Mohammad Nasef, stretto collaboratore del vicepresidente Al Sharaa.
Nel corso del summit si è discusso come sfruttare la situazione di forte tensione e quali mosse adottare nei prossimi giorni. L'Hezbollah ha suggerito agli amici siriani e iraniani che il concentramento di truppe libanesi a Beirut per controllare le dimostrazioni di piazza rappresenta un'occasione unica per intensificare il traffico di armi. I miliziani ritengono che i controlli al confine e nella zona meridionale del paese saranno ridotti e dunque gli 007 siriani potranno aumentare il flusso di automezzi carichi di rifornimenti destinati alla guerriglia sciita. A giudizio dell'Hezbollah gli avvertimenti dell'Onu sul traffico d'armi possono tranquillamente essere ignorati, in quanto sono semplici parole. I caschi blu impegnati sul terreno non hanno né la forza né gli ordini sufficienti per contrastare l'afflusso di materiale bellico.
Non meno interessanti i risvolti politici dell'incontro.
Nasrallah, sempre più convinto di essere il maestro del gioco libanese, ha invitato Damasco e Teheran a coordinare l'azione in vista delle nuove manifestazioni anti-governative a Beirut. Il segretario Hezbollah ha messo sul tavolo alcune opzioni: 1) Quali iniziative assumere nel caso che le autorità impieghino la forza contro i dimostranti. 2) Quali manovre adottare per alzare il livello dello scontro, pensando ad atti di violenza e provocazioni. 3) Come rispondere alle offerte del premier Siniora.
Il leader degli Hezbollah è favorevole da una strategia di «incendio controllato». Dunque azioni contro il governo, senza però superare i limiti. Per questo, sostengono fonti libanesi, Nasrallah avrebbe trasmesso un messaggio al presidente siriano Bashar Assad chiedendo di evitare nuovi omicidi mirati ai danni di personalità libanesi.

"Se voi occidentali difendete Siniora , si rischia la guerra civile", di Francesco Battistini:

BEIRUT — Sta cominciando un'altra guerra civile? «Non credo. La sola idea spaventa tutti. Noi libanesi sappiamo che in una guerra civile non ci sono vincitori e anche Nasrallah sa che perderebbe il suo status di eroe della resistenza. Quelle che state vedendo, sono solo dimostrazioni pacifiche. Hezbollah non attaccherebbe mai i libanesi: attaccherebbe Israele, piuttosto».
Il palazzo è vuoto. Il salone, enorme. Tuona la voce di Émile Lahoud, 70 anni. L'amico dei siriani. Il presidente del Libano che nessun leader occidentale viene più a trovare. Un anno fa era l'uomo contestato dalla rivoluzione dei Cedri: ora sta coi contestatori della controrivoluzione sciita. Dalla collina di Baadba si sente l'urlo della piazza per Hezbollah. Lahoud si gode lo spettacolo: adesso l'assedio tocca a Siniora, il premier amico dell'Occidente. Il suo grande nemico.
Presidente Lahoud, Siniora dice che questo è un golpe.
«Chiacchiere da politicante. Quel che conta è la costituzione. Se in Italia Prodi ha un voto in più, governa. Ma qui la maggioranza non si prende tutto. Il potere è proporzionale, serve il consenso di tutti. Quando sei ministri lasciano il governo, Siniora non esiste più. La gente va in piazza a dirglielo. E invece lui strilla che c'è un golpe».
Mezzo Paese dice lo stesso di lei: il suo mandato era scaduto, fu prolungato solo dalla Siria prima di ritirare le truppe dal Libano…
«È stato il Parlamento a cambiare la costituzione. E chi mi contesta, aveva fatto già lo stesso: se quelle riforme erano costituzionali, perché non lo sono queste?».
Ma per quanto il Libano può sopportare queste piazze occupate?
«Non molto. L'economia va a rotoli. Ma se Siniora non rispetta la legge, il rischio è davvero la guerra civile.
Quando gli Usa dicono "noi stiamo con Siniora anche se nel governo non ci sono più ministri sciiti", preparano la guerra civile. Quando Israele dice "non vogliamo che Siniora si dimetta", getta benzina sul fuoco. I libanesi odiano Israele».
Israele teme che la spallata di Hezbollah porti a un nuovo regime islamico. Pensa sia pronta un'altra guerra?
«No. Agli israeliani è bastato perdere il primo round. Hanno capito che non potranno mai vincere in Libano. L'ho imparato nelle accademie militari americane: non c'è esercito che possa battere una resistenza determinata. Avete visto l'Iraq? Qui sarebbe peggio. Perché la resistenza la farebbe tutto il Sud. Io poi sono maronita, in questo Paese la convivenza di questi anni è stata un modello. Ma se si va avanti credendo che bisogna sostenere per forza Siniora, si rischia che un giorno non ci sia più un solo cristiano in tutto il Libano».
Se cade Siniora, gli americani cancellano la Conferenza di Parigi. E addio soldi per la ricostruzione…
«Ma non è vero! Fanno solo ricatti. Siniora è il Libano? Puntare su un uomo solo, non serve. Nemmeno io sono indispensabile».
L'unica indispensabile è sempre la Siria: gli omicidi eccellenti, questa crisi…
«Una fandonia: gli omicidi sono opera d'Israele. Tutti continuano a parlare di me e della Siria: chiedano piuttosto alla famiglia Hariri, a Siniora. Walid Jumblatt andava a Damasco ogni settimana, prima dell'attentato ad Hariri. Almeno cinque volte! E poi sarei io nel libro paga dei siriani? Lo dice Chirac, che ha legami personali con Hariri e con Siniora. Adesso a Chirac non va bene il comandante Onu, perché non s'immischia negli affari interni del Libano. Ma dovrebbe imparare dall'Italia: non si sta qui da alleati d'un solo partito. Le spiego chi è il signor Chirac? Quando fui eletto, mi telefonò per invitarmi una settimana in Francia. Poi, non l'ho più sentito. E sa perché? Voleva che nominassi premier il suo amico Hariri. Subito. Siccome presi tempo, l'ambasciatore francese mi chiamò: spiacenti, la visita è cancellata. Questo è Chirac».
Lei e Nasrallah avete uno scopo evidente: bloccare il processo Onu alla Siria per l'omicidio Hariri.
«Ho chiesto io a Kofi Annan d'inviare investigatori internazionali. Ma qui vedo solo Chirac che ha fatto pressioni per arrestare persone vicine alla Siria. Senza un'accusa precisa, dopo mesi. Non c'è giustizia al mondo, nemmeno quella dei Mau-Mau, che fa cose del genere. Non hanno vinto con la guerra d'Israele, vogliono vincere con una giustizia politica».
Il successore di Rumsfeld ha rilanciato il dialogo con la Siria sull'Iraq: la trattativa può allargarsi al Libano?
«Chiaro. Bisogna parlare coi siriani. Senza di loro e l'Iran, non potete entrare in Medio Oriente. Gli Usa non volevano più parlare con me perché sto con la resistenza di Hezbollah. E certo: voi siete con Israele! Non dico che il Libano sia meglio d'Israele. Ma perché voi siete sempre dalla parte d'Israele?».

"Abu Mazen preme su Hamas, accordo o elezioni anticipate", di Davide Frattini:

GERUSALEMME — «Ogni mattina me ne esco di casa presto, prima che i miei bambini si sveglino per andare a scuola. Così non devo guardarli negli occhi». Abul Wafa è la scommessa di Abu Mazen. La scommessa che questo palestinese di 37 anni e otto figli decida di votare per lui e per il suo partito, assieme alle migliaia di dipendenti pubblici che negli ultimi dieci mesi hanno ricevuto lo stipendio solo cinque volte.
Il presidente minaccia di indire elezioni anticipate. Non parla di una data, vuole aspettare il ritorno del premier Ismail Haniyeh, in tour promozionale nei Paesi della regione. Il raìs della Mukata dovrebbe annunciare in un discorso alla nazione, settimana prossima, se ha deciso di mandare a casa il governo di Hamas e sciogliere il parlamento.
«Vuole lasciare una porta aperta al compromesso e a un accordo per l'esecutivo di unità nazionale», commenta Khalida Jarar.
Che con gli altri componenti del Comitato centrale dell'Olp ha suggerito al leader la mossa elettorale. Sarebbe l'ultimo tentativo per uscire dalla crisi politica cominciata con la vittoria del movimento fondamentalista alla fine di gennaio e per cercare di rompere l'embargo economico voluto da americani, europei e israeliani. Ancora venerdì, Haniyeh ha ripetuto da Teheran di non essere pronto a riconoscere lo Stato ebraico, una delle condizioni poste dalla comunità internazionale. Ieri Mahmoud Ahmadinejad, presidente iraniano, lo ha esortato a continuare «la battaglia fino alla liberazione di Gerusalemme».
Dopo mesi di trattative per trovare un'intesa, Abu Mazen aveva ammesso una decina di giorni fa che i colloqui erano arrivati a «un punto morto». Hamas non è pronto a cedere il controllo del ministero delle Finanze e di quello degli Interni. «Vogliamo combattere la corruzione e il caos nelle strade», ripetono i dirigenti dell'organizzazione.
I palestinesi potrebbero tornare a votare in primavera. E Abu Mazen è pronto a mettere in gioco la sua poltrona, anticipando anche le elezioni presidenziali. Questa volta si troverebbe a fronteggiare anche un esponente di Hamas, forse proprio Haniyeh. Gli analisti non sono convinti che il Fatah riuscirebbe a ribaltare il risultato di dieci mesi fa, quando i religiosi avevano vinto 76 seggi su 132.
Hamas ha accusato il Comitato centrale dell'Olp di voler attuare «un colpo di mano contro la democrazia». «I membri dell'organizzazione — commenta Ahmed Youssef, consigliere di Haniyeh, alla tv Al Jazeera — rappresentano solo se stessi e i loro obiettivi politici. Non possono prendere decisioni che riguardano il popolo palestinese». La partita del movimento fondamentalista non è solo attorno al governo. Tra le proposte sul tavolo delle trattative, c'è l'idea di nominare Khaled Meshal, leader di Hamas che vive in Siria, vicepresidente dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina. I dirigenti del gruppo punterebbero, se ci fosse il voto anticipato, a conquistare parlamento e presidenza: a quel punto l'Olp resterebbe l'ultimo organismo nelle mani del Fatah. Hamas non ha mai voluto far parte della struttura che in passato ha firmato intese con Israele.
Tutti sperano che un accordo possa essere ancora raggiunto. «La porta del dialogo resta aperta, perché è la soluzione migliore e più sicura per tutti», spiega Youssef. «Continueranno gli sforzi per formare un governo di unità nazionale che permetta di rimuovere l'embargo economico», spera Mustafa Barghouti, un deputato indipendente. Nella Striscia di Gaza, 2.500 poliziotti che non ricevono il salario da mesi hanno assaltato il parlamento e le guardie hanno risposto sparando da una finestra. A Hebron, nel sud della Cisgiordania, un gruppo di genitori e bambini ha invaso un ospedale, chiuso per uno sciopero del personale.

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