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Rassegna Stampa
08.12.2006 Prodi dice che Israele deve rimanere uno Stato ebraico
ma in una riunione a porte chiuse: lo ripeterebbe in pubblico?

Testata:
Autore: Paola Caridi
Titolo: «Jerusalem Post, Prodi e il diritto al ritorno»
Dal RIFORMISTA del 7 dicembre 2006, un articolo di Paola Caridi sulle dichiarazioni di Romano Prodi nel corso di una riunione riservata.
Dichirazioni circa la necessità che Israele conservi il suo carattere ebraico.

L'articolo dela Caridi, giustamente, si chiede, con un certo scetticismo, se Prodi ripeterebbe in un'occasione pubblica quelle dichiarazioni.

O , come Arafat dichiarava  in inglese il contrario  di quello che dichiarava in arabo, Prodi dichiara in privato il contrario di quello su cui, tacendo, acconsente in pubblico?


Ecco il testo dell'articolo:

Gerusalemme. Di quella riunione non doveva uscire nulla all'esterno. Perché era a porte chiuse e - dice il Jerusalem Post - «le regole stabilite erano che il contenuto delle dichiarazioni non sarebbe stato reso pubblico, così che i partecipanti avrebbero potuto parlare liberamente». Qualcosa, però, è uscito, ed è stato considerato talmente importante da convincere il giornale conservatore di Gerusalemme ad aprirci l'edizione di ieri con quella che viene definita una «esclusiva». Grande titolo: «Prodi dice sì all'opposizione di Israele al diritto al ritorno». Il presidente del consiglio italiano Romano Prodi avrebbe detto in una riunione a porte chiuse svoltasi a Roma, sabato scorso, che Israele «ha bisogno di garanzie che la rendano capace di mantenere il suo carattere di stato ebraico». Id est, conclude il Jerusalem Post, le dichiarazioni di Prodi implicitamente sostengono la posizione israeliana, che rifiuta il diritto al ritorno dei profughi palestinesi del 1948 dentro i confini dello stato ebraico.
Se fosse vero, se cioè il presidente del consiglio Prodi avesse implicitamente sostenuto la posizione israeliana, sarebbe veramente un cambiamento significativo nella politica estera italiana verso il governo di Tel Aviv. Sinora, infatti, solo George W. Bush aveva formalmente appoggiato l'allora premier Ariel Sharon nell'aprile del 2005 sia sulla stabilità del carattere ebraico dello stato sia sulla revisione della Linea Verde per consentire l'acquisizione dei grandi insediamenti nel cuore della Cisgiordania.
Il Jerusalem Post non precisa la riunione alla quale Prodi avrebbe partecipato, ma sabato scorso - a Roma - il presidente del consiglio era ai lavori dell'Aspen Institute, ed è proprio lì che ha detto che senza il riconoscimento di Israele come stato ebraico «ogni assicurazione sarà inutile». Nulla di segreto, insomma, visto che le agenzie di stampa italiane avevano battuto subito il contenuto del discorso. La domanda, a questo punto, è come mai il giornale conservatore israeliano abbia ritenuto le parole di Prodi così rilevanti. Perché rappresenterebbe un cambiamento importante nella linea politica europea, precisa lo stesso Post, ma alti funzionari a Gerusalemme «considerano improbabile che Prodi, o qualsiasi altro leader, ripeterebbero questi commenti in pubblico per le reazioni che potrebbero causare nel mondo arabo».
E infatti le prime reazioni palestinesi, ai titoli cubitali del Jerusalem Post, sono state pacate ma ferme. «Nessuno può decidere da solo questioni che riguardano i negoziati finali tra israeliani e palestinesi», ha commentato ieri Nemer Hammad, uno dei consiglieri del presidente dell'Anp Mahmoud Abbas. «L'Italia peraltro - ha aggiunto - ha sempre votato per il rispetto della risoluzione 194 dell'Onu. E la questione del diritto al ritorno è contenuta sia negli accordi di Oslo sia anche nella road map». E poi una chiosa: «un politico, talvolta, può anche parlare in veste di intellettuale».
La questione del diritto al ritorno, in questo periodo, non è certo al centro dell'attivismo diplomatico italiano. Che, invece, si sta occupando di altre cose. Anzitutto, sul fronte israelo-palestinese, della situazione di Gaza, sulla quale Massimo D'Alema ha più volte proposto il dispiegamento di una forza internazionale. Guadagnandosi il sì dei palestinesi («magari, lo chiediamo da tempo», dicono in sostanza molte figure di spicco) e una posizione molto più distante da parte del governo israeliano.
Se, invece, sull'interpretazione fornita dal Jerusalem Post alle parole di Prodi dovesse innescarsi una polemica nel mondo arabo, estremamente sensibile al tema del diritto al ritorno, la delicata trama costruita dalla Farnesina e dal governo italiano in questi ultimi mesi potrebbe subire dei contraccolpi negativi. Non solo sul fronte italo-palestinese, ma anche su quello libanese, dove gli italiani - rispetto ai colleghi francesi - hanno un ruolo molto più di mediazione tra le diverse componenti della politica di Beirut. E anche più in generale sull'intero fronte mediorientale, dove l'Italia continua nel suo tentativo di aprire canali interessanti soprattutto con la Siria. E sia nel caso libanese sia nel caso siriano, la questione dei rifugiati è sempre stata uno dei simboli dell'appoggio ai palestinesi, vista la lunga, difficile e contraddittoria storia della presenza dei campi profughi.


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