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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.12.2006 La roccaforte di Al Qaeda in Libano
a pochi chilometri dai caschi blu italiani

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 dicembre 2006
Pagina: 17
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «In Libano nel fortino di Al Qaeda»
Dal CORRIERE della SERA del 5 dicembre 2006:

HAY EL-TAAMIR (Libano) — Non ha i denti davanti, ma che se ne farebbe: sorriso e bossoli li ha scaricati in Iraq. Diciott'anni, tagliagole da sette: «Da bambino sparavo già!». S'appoggia come un vecchio capo al bancone della drogheria, gli altri intorno a chiudere l'uscita. Lo shampoo arabo nelle vetrinette impolverate non gl'interessa, idem il sapone iraniano Crystal incellofanato per terra: tre dita nere e callose (il mignolo non c'e') danno una scossa ai riccioli unti, una coda che casca pesante sulla schiena tatuata d'arabo. «Non posso uscire di qui. In Libano mi hanno condannato a morte, ne ho uccisi due con la pistola e uno a coltellate». Dice Libano indicando la strada in fondo. Neanche un chilometro: là è Stato, qui è Antistato. Là ci siete voi e qua comandiamo noi. Là è la città di Sidone e questa chiamatela Al Qaeda City, terra di nessuno o come volete. Tanto, nessuno ci entrerà mai.
Il sobborgo di Hay el-Taamir è uno di quei posti dove l'ingresso vorresti fosse l'uscita. E l'auto lasciata col muso al muro, hai paura sia una trappola. E congedarsi troppo in fretta, una pericolosa scortesia. E' un angolo di Libano ai confini di Ain el-Helouè, il più grande e il più disperato campo palestinese. Hay el-Taamir sono diecimila persone in tutto, una cupola di sunniti ammazzacrociati a quaranta chilometri dai caschi blu italiani della missione Unifil. L'esercito libanese sta alla larga: quando ha tentato di sfondare, in ottobre, gli hanno preso in ostaggio e quasi sgozzato due soldati. I palestinesi, perfino quelli che votano Hamas e si votano kamikaze in Israele con le Brigate Al Aqsa, vivono cinquecento metri più avanti e si fanno i fatti loro, fingendo che non esistano: «Fondamentalisti sunniti»", dicono diffidenti. Hay el-Taamir è una minuscola enclave senza legge, Corano a parte. S'alimenta, s'amministra, si difende da sola. Ha il suo borgomastro, Abu Ramez Ismael, uno che in passato risultava legato ad Al Qaeda. Ha cellule e capi che si riconoscono in Isbar al-Ansar, Abu Mehjen e Jamaat al-Nur, marchi doc del franchising qaedista. La miseria è totale, però le organizzazioni integraliste qualcosa combinano: rifornire i negozi di merci, la farmacia di medicinali, il call center di carte telefoniche, tutti quanti di armi.
C'è una risoluzione Onu, la 1559, che imporrebbe il disarmo totale dei campi palestinesi e di enclave fondamentaliste come questa. Nessuno la applica. E nessuno si sogna che lo facciano le forze Onu dispiegate quest'estate. Meglio fingere che non esista, questa gente: qualche giorno fa le organizzazioni dei rifugiati palestinesi e Ghazi Aridi, ministro dell'Informazione di Beirut, hanno accusato la stampa libanese d'essersi inventata un'emergenza Al Qaeda nei campi. «I volantini di Al Qaeda Libano sono un'invenzione!». Ma la notizia l'ha scritta anche il New York Times e le smentite ufficiali hanno un'eco paradossale, in questa drogheria: «Vengano qui a controllare se siamo di Al Qaeda!», sfida il ragazzino sdentato. Una questione di sfumature, probabilmente: sui muri bucherellati delle case, la scritta più frequente è «la Umma, la comunità benedice il martirio dello sceicco Abu Mussa al-Zarkawi», che poi era il luogotenente di Bin Laden in Iraq.
La no man land di Hay el-Taamir non ha filo spinato, nè check-point. Che ci stai entrando, lo capisci quando ci sei già: gli armati di Jund el-Cham sono di guardia a ogni incrocio e le donne che di solito vedi nei campi profughi, qui evaporano. La sola a passeggiare è una giornalista libanese, la nostra guida, l'unica che abbia scritto di loro, l'unica che possa sorprenderli intorno a una betoniera e chiederlo diretto: habibi, vi va di parlare con un collega italiano?
La faccenda richiede qualche precauzione. Prima ci fanno camminare cinquanta metri davanti a loro, soli. Poi da un bar spunta un magrolino in giacca, sbarbato, che ci accompagna alla drogheria sulla via principale. Entriamo tutti insieme, un cliente sfila via. Si va nel retrobottega. Accomodatevi, prego. La porta è presidiata. Qualcuno urla: «Ma che ci fa qui un miscredente?». Zitto, sentiamo che vuole. Il più sveglio s'inventa un nome, Mohammad. E' basso, grassoccio, la barba islamica imbiancata dal cantiere: ha tre condanne a morte per impiccagione, dice, se arrivasse in fondo alla strada sarebbe spacciato. Questo però in teoria: il posto di blocco dei soldati è laggiù e laggiù resta, potete starne certi. Il bassotto ha concetti un po' ossessivi, ripetitivi: «Se qualche miscredente viene a prenderci, ci consideri combattenti! Noi lo uccideremo! Il Libano è terra musulmana, sono i crociati che l'hanno occupata. Anche la Siria, la Giordania, l'Arabia, l'Iraq. Anche questo negozio è terra musulmana. Dio ha detto che la sola religione è l'Islam. Voi non avete salvezza. Miscredenti siete voi, è il governo libanese, sono i soldati dell'Onu, sono anche molti palestinesi…».
Uno parla, gli altri ascoltano. La giaculatoria non ammette interruzioni. Lo sdentato gioca col calcio d'una pistola. Un vecchio vuol sapere chi siamo. Si raduna un po'di gente ed è lì che capiamo: meglio togliere il disturbo. «Bravi italiani, vi siete ritirati dall'Iraq!». A Hay el-Taamir, ci sono almeno 41 condannati a morte. Decine di jihadisti vanno e vengono da Bagdad e tre «martiri» sono appena tornati nella bara. Gli altoparlanti per le strade li celebrano: «Onore a voi che siete morti come Saleh Qilawi!». Qilawi abitava qui: era il cadavere trovato vicino a Zarkawi, quando gli americani hanno colpito a morte l'Osama dell'Iraq. Qilawi non era un volontario come gli altri, ma non bisogna dirlo troppo forte. Al Qaeda in Libano è come quell'altra Cosa nostra: non esiste.

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