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Il Foglio Rassegna Stampa
04.12.2006 Una fatwa omicida, la crisi diplomatica tra il Canada e l'Iran
che dei diritti umani non vuole saperne

Testata: Il Foglio
Data: 04 dicembre 2006
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti - Tatiana Boutorline
Titolo: «Una franca e sincera fatwa contro lo scrittore che elogia il cristianesimo - Il Canada si muove per i diritti umani in Iran e l’Iran reagisce male»
Dal FOGLIO del 2 dicembre 2006, un articolo di Giulio Meotti, sulla fatwa contro lo scrittore azero Rafiq Tagi e in generale sulla storia recente delle fatwa omicide, a partire da quella del regime iraniano contro Salman Rushdie  :

Roma. Hamid al Ansari, preside della facoltà di Legge islamica all’Università del Qatar, un mese fa aveva detto al Wall Street Journal: “Queste fatwe sono un marchio morale e ideologico di vergogna, che dobbiamo estirpare dal nostro islam”. Ma il sistema iraniano di fatwe ha ingranato un ritmo impressionante. Nel settembre 2002 il televangelista Jerry Falwell, ospite di “60 minutes”, disse che “Maometto era un uomo di guerra”. Durante la preghiera del venerdì un portavoce dell’ayatollah Ali Khamenei emette una fatwa contro Falwell: “La sua morte è un dovere religioso”. Tutto iniziò con la fatwa del 1989 contro Salman Rushdie da parte dell’ayatollah Khomeini. A Tokyo venne ucciso a pugnalate il traduttore giapponese Hitoshi Igarashi, il traduttore norvegese William Nygaard si prese un paio di pallottole e trentasette ospiti di un albergo a Sivas vennero assassinati nel tentativo di linciaggio del traduttore turco, Aziz Nesin. Anche Ettore Capriolo, traduttore italiano, è stato accoltellato. Per molto meno dei “Versetti satanici”, per i suoi versi ammalianti sul vino e l’amore, il grande poeta persiano Omar Khayyam era stato bandito dagli ayatollah. Nel 1991 i mullah hanno inviato uno “specialista” a tagliare la testa di Shapour Bakhtiar, primo ministro dell’ex Shah, in un sobborgo di Parigi. Hashemi Rafsanjani, allora presidente della Repubblica Islamica, ringraziò Allah per avere permesso “la decapitazione di quel serpente”. L’algerino Muhammad Boukhobza è stato ucciso con altri cinque autori liberali. E Rashid Mimouni, autore del romanzo “La maledizione”, è apparso nelle liste di morte affisse nelle moschee insieme all’autore di “Ripudio”, l’algerino Rashid Boudjedra, più volte incarcerato. Haidar Haidar è stato accusato di essere il “Rushdie siriano” per un romanzo “blasfemo” e il poeta Saeed Soltanpour è stato ucciso durante il proprio matrimonio. A Mehdi Shokri spararono in faccia, come il poeta curdo Delshad Mariwani, l’arabo Abdul-Nabi Majid e Khaled al-Amin, traduttore di Goethe e Schiller. Il marocchino Mohamed Choukri faceva parte delle undici vittime designate dagli ayatollah khomeinisti insieme a Rushdie. Ucciso anche il saggista Farag Foda, amico di Naguib Mahfuz, premio Nobel per la Letteraura pugnalato quasi a morte nel 1994, dopo che lo sceicco Omar Abdel Raman, implicato nella prima strage al World Trade Center, lo aveva accusato di apostasia. Un altro scrittore egiziano condannato a otto anni di carcere, Alaa Hamed, ha tentato il suicidio. I libri della siriana Ghada Samman sono stati bruciati e la bengalese Taslima Nasreen, autrice de “La vergogna”, si è salvata grazie alla protezione di Stoccolma. Quest’anno la fatwa, per fortuna non ancora eseguita, è toccata al danese Flemming Rose e al francese Robert Redeker, per citare solo due casi. Ora è la volta di un giornalista dell’Azerbaijan: una fatwa contro uno scrittore azero, accusato di esaltare la cristianità contro l’islam, è stata lanciata dal grande ayatollah Mohammed Fazel Lankarani, che ha ordinato ai fedeli islamici di uccidere l’apostata. Lui è Rafiq Tagi e scrive per il giornale dell’Azerbaijan “Senet”. I suoi articoli avevano già provocato manifestazioni a Teheran contro l’ambasciata dell’Azerbaijan, paese a maggioranza sciita come l’Iran. Alcuni giornali iraniani riferiscono che molti fedeli azeri hanno scritto all’ayatollah Lankarani per chiedergli consiglio su come comportarsi con lo scrittore, accusato di offendere il Profeta Maometto e di affermare la superiorità dell’Europa cristiana sul medio oriente islamico. Samir Huseynov, direttore di Senet, e il reporter Tagi erano già stati incarcerati per aver pubblicato l’articolo “Europe and Us”, in cui Tagi suggeriva che i valori islamici fossero all’origine dell’arretratezza economica e additava l’islam come causa della violenza. “Non erano parole offensive verso il Profeta, e poi non viviamo in uno stato religioso”, ha detto Tagi, che elogiava i valori europei e la libertà garantita dal cristianesimo rispetto all’islam. Alcuni abitanti di Nasradan, un villagggio islamico a nord di Baku, si sono già offerti di assassinare l’“infedele”. “Nessuno può tollerare lo sfregio del Profeta”, ha detto Haji Hajiaga Nuri, portavoce del Partito islamico dell’Azerbaijan. E il Consiglio islamico del Caucaso, per bocca dello sceicco ul-Islam Haji Allahshukur Pashazad, ha invitato le autorità a prendere provvedimenti contro la blasfemia. Il ministero della Giustizia azero ha annunciato che Tagi e la famiglia sono stati evacuati in una destinazione sconosciuta. Nel frattempo il direttore del quotidiano Huseynov ha chiesto scusa per aver pubblicato l’articolo. La stampa azera, guidata dal quotidiano principale Azadliq, ha accusato Tagi di voler emulare Ohran Pamuk. Si è messa in moto la milizia iraniana Basij, quella che sminava i campi iracheni con i corpi dei suoi adepti. Contro Rushdie ha reclutato 508 volontari per eseguire la sentenza di morte.

Di seguito, un articolo sulle violente reazioni del regime iraniano alle critiche canadesi sui diritti umani:

Roma. Dieci giorni fa ha rischiato di mandare a monte un incontro con Hu Jintao a margine del vertice Apec a causa di alcune “franche” considerazioni sul rispetto dei diritti umani in Cina. Una nota del ministero degli Esteri cinese lo ha invitato senza troppe cerimonie a occuparsi dei fatti suoi, ma il premier canadese, Stephen Harper, invece che cospargersi il capo di cenere onde evitare sgradevoli contraccolpi commerciali ha dichiarato: “I canadesi auspicano la promozione delle nostre relazioni commerciali nel mondo e noi lo facciamo, ma non penso che per raggiungere questo obiettivo ci chiedano di svendere i nostri valori”. Democrazia, libertà e diritti umani valgono qualche sacrificio, “perché ci sono principi che non possono essere soggetti al compromesso”. Di sacrificio nell’ultimo scontro diplomatico con l’Iran ancora non si può parlare, ma a Teheran volano parole grosse e i soliti gruppi di picchiatori “spontanei” promettono fuoco e fiamme. Il pomo della discordia è una bozza di risoluzione sponsorizzata dal Canada e approvato il 21 novembre con 70 voti a favore, 48 contrari e 55 astenuti dal Terzo comitato dell’Onu (con delega su questioni sociali, umanitarie e culturali). Nel documento da presentare all’Assemblea generale si esprime preoccupazione per i reiterati episodi di intimidazione e persecuzione ai danni di attivisti per i diritti umani, oppositori politici, dissidenti; si denunciano violenze contro minoranze religiose ed etniche, criticando anche i gravi abusi nell’amministrazione della giustizia. Risoluzioni di questo tipo non sono una novità, ma l’attivismo canadese ha mandato su tutte le furie le autorità iraniane. Spalleggiata da Cuba, Corea del nord, Siria e Birmania, Teheran ha condannato i doppi standard occidentali e presentato una risoluzione rivale sulla violazione dei diritti delle popolazioni indigene in Canada. La mozione è stata bocciata, ma il ministro degli Esteri, Manuchehr Mottaki, ha imputato l’insuccesso dell’iniziativa alla mancanza di notizie sul tema, lacune che l’Iran ha ogni intenzione di colmare. Mottaki ha liquidato il documento canadese come un colpo basso assestato su commissione: Ottawa conta poco o nulla negli equilibri globali – si è lasciato sfuggire – i mandanti sono “inglesi americani e sionisti”. Nel frattempo a Teheran si sono scaldati gli animi. Anche l’ambasciata canadese si è conquistata l’appellativo di “covo di spie”, come quella americana. Il deputato Hamid Reza Hajbabai ha accusato il governo di Ottawa di aver infiltrato in Iran una rete di spie al servizio del Grande Satana statunitense. Un altro parlamentare iraniano, Javad Arian-Manesh, ha assicurato che il Majlis non soltanto lascerà nulla d’intentato per determinare la veridicità delle accuse, ma si impegna anche a sigillare le porte dell’ambasciata canadese nel caso in cui le denunce si dimostrassero fondate. Il ministro dell’Intelligence, Gholam Hossein Ejei, ha assicurato la sua disponibilità per le indagini. Il portavoce del ministero degli Esteri canadese, Rodney Moore, ha dichiarato che il Canada è pronto, se necessario, ad adottare “ulteriori contromisure” per garantire la sicurezza della sua ambasciata. “Le accuse sono prive di fondamento – ha detto Moore – l’Iran si è assunto obblighi ben definiti sottoscrivendo la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche e ci aspettiamo che li rispetti”. Moore ha inoltre definito la risoluzione sulla violazione dei diritti umani in Iran come “un dovere”: “La situazione si sta rapidamente deteriorando – ha sottolineato Moore – Faremo tutto quello che è in nostro potere per incoraggiare il cambiamento”. Iran e Canada hanno relazioni diplomatiche dal 1955, ma dopo la rivoluzione islamica i rapporti sono stati pressoché congelati e l’ambasciata canadese a Teheran è rimasta chiusa dal 1980 al 1988. Sotto la presidenza di Rafsanjani e Khatami i rapporti sono stati normalizzati. Poi è scoppiato il caso di Zahra Kazemi, la reporter iraniana di nazionalità canadese arrestata e uccisa nell’estate 2003. Il Canada si batte da tre anni affinché siano puniti i colpevoli, tra cui l’intoccabile procuratore Said Mortazavi. L’“engagement controllato”, così è stata definito il rapporto tra Teheran e Ottawa, promette di navigare in acque tempestose.

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