Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Così la letteratura porta in Iran la voglia di libertà un articolo di Azar Nafisi
Testata: Corriere della Sera Data: 04 dicembre 2006 Pagina: 31 Autore: Azar Nafisi Titolo: «Sarà il «Codice da Vinci» a salvare l'Iran»
Con un titolo strvagante e sensazionalistico (il "Codice da Vinci" viene appena nominato in un articolo che cita svariati capolavori della letteratura occidentale e anche molti autori iraniani )il CORRIERE della SERA del 4 dicembre 2006 pubblica un importante riflessione dell'esule iraniana Azar Nafisi:
Mentre i governi occidentali sono confusi e ossessionati dalla minaccia di un Iran dotato di armi di distruzione di massa, il regime di Ahmadinejad si vede costretto a fare i conti con le minacce interne al Paese e imprime un giro di vite alla repressione contro lavoratori, donne, studenti, gay, minoranze e, ora, pure editori e scrittori. Gli osservatori occidentali, forse, sottovalutano il potere sovversivo della letteratura. Possibile che Mentre morivo di William Faulkner — si chiedono —, La civetta cieca di Sadegh Hedayat, My uncle Napoleon di Iraj Pezeshkzad, La ragazza con l'orecchino di perla di Tracy Chevalier o anche Il codice da Vinci di Dan Brown siano in grado di influenzare la politica iraniana? Il regime degli ayatollah, però, sa bene quanto i frutti della libertà di pensiero e immaginazione possano essere pericolosi, e in quest'ottica va letto il discorso censorio pronunciato di recente dal ministro della Cultura e della Guida islamica Mohammad Hossein Saffar Harandi, preoccupato che gli editori possano «servire un piatto avvelenato alle giovani generazioni». Ma è chiaro che il suddetto «piatto avvelenato» non costituisce una minaccia per la gioventù iraniana, bensì per i vertici dello Stato teocratico. Nei ventisette anni successivi alla rivoluzione, il governo islamico non è riuscito a convincere i suoi cittadini — ma neppure una buona fetta della gerarchia religiosa — di avere vinto la battaglia culturale. Oggi, ironia della sorte, i due gruppi sul cui sostegno il regime faceva affidamento — i «figli della rivoluzione», che avrebbero dovuto perpetuarne i valori e rafforzarne la base ideologica, e l'ex fervente gioventù rivoluzionaria, che sull'altare di quegli ideali tante vite aveva sacrificato — sfoderano, con la letteratura, l'arma del pensiero e dell'immaginazione, sfidando e resistendo ai diktat ideologici. La giovane generazione si diletta della poesia erotica e sensuale di Forough Farrokhzad, voce compianta del dissenso femminile, e dell'ottuagenaria Simin Behbehani, femminista e attivista dei diritti umani, o di romanzi e poesie di James Joyce e Gerard Manley Hopkins. I reduci della rivoluzione come Akbar Ganji, invece, si rifanno ad Hannah Arendt, Immanuel Kant e Baruch Spinoza, ma anche ad Hafez e Rumi, e chiedono l'instaurazione di una democrazia aperta e laica e la rinuncia alle attuali campagne di repressione, invocando la tradizione e la cultura del loro popolo. Proprio di recente, il presidente iraniano Ahmadinejad ha ammesso che la rivoluzione culturale non è riuscita a sradicare il secolarismo e il liberalismo dal mondo accademico iraniano, invocando l'aiuto degli studenti per fare piazza pulita, nelle già purgate università, degli influssi laici e liberali. Secondo gli strateghi di Teheran, alcuni dei libri messi all'indice puntano esplicitamente a diffondere un senso di inferiorità tra gli iraniani, spingendoli a diventare «lacchè dell'Occidente». Ma è un'accusa completamente insensata. Conoscere la letteratura di altri Paesi non è certo un segno di inferiorità; piuttosto, è un riconoscimento dell'universalità del pensiero e dell'immaginazione. Riconoscimento che è inscritto nella tradizione millenaria dell'Iran, sin da quando uomini come Alfarabi, che tradusse in arabo Platone e Aristotele, favorirono, con la diffusione dell'Islam, la riscoperta della filosofia e del pensiero greco nel Vecchio Continente. Non c'è alcun complesso di inferiorità, bensì la curiosità e il desiderio di incontrare e dialogare con l'altro, che è poi il principale motivo della passione, da parte dei giovani iraniani, per la letteratura straniera. Per chi si vede precluso il diritto alla libera associazione e allo scambio culturale, la letteratura, il cinema, la musica e l'arte degli altri Paesi sono divenuti un modo per ritrovare e rivendicare il proprio posto, senza discriminazioni di alcun tipo, all'interno di un mondo negato. Da un certo punto di vista, il ritorno in auge, tra gli iraniani, della lettura e reinterpretazione della letteratura occidentale ha fatto risorgere un interesse e un apprezzamento oramai quasi assenti nei Paesi che l'hanno partorita. Forse, però, ancora più pericoloso del loro entusiasmo per la letteratura dell'Occidente è il senso di affinità e forte identità con la letteratura iraniana stessa, e soprattutto con i poeti classici che, per secoli, hanno offerto un punto di vista alternativo a quello dei regimi assolutistici e degli ayatollah reazionari. Più di ottocento anni fa, Omar Khayyam, scienziato e poeta ateo, parlava della fugacità e provvisorietà dell'esistenza, proponendo di porvi rimedio attraverso il vino e l'amore; Hafez stigmatizzava l'ipocrisia del clero che, in pubblico, fustiga i cittadini e, in privato, si avvinazza; Rumi sosteneva di non tenere in alcun conto il luogo in cui pregava, fosse esso una moschea, una chiesa o una sinagoga. I pionieri della letteratura iraniana contemporanea come, agli inizi del secolo scorso, Iraj Mirza e le sue poesie palesemente allusive al sesso, smascheravano con satira pungente l'ipocrisia e la corruzione della gerarchia religiosa, mentre Sadegh Hedayat, padre della narrativa iraniana contemporanea, inveisce irriverente, nel libro La civetta cieca, il maggiore capolavoro della narrativa persiana contemporanea, contro le forme di superstizione e i danni provocati dalla religione ortodossa. L'elenco sarebbe lungo: dai capolavori classici alla poesia più recente. Ognuna di queste opere testimonia che la cultura persiana, prima e dopo l'Islam, va rintracciata nei maggiori poeti e scrittori che il Paese ha partorito, non in chi ha monopolizzato la religione per farne un'arma ideologica volta a guadagnare e mantenere il potere. La sensualità, la celebrazione dell'amore, sia in chiave erotica che spirituale, il rifiuto e la condanna della tirannia della politica e dell'ipocrisia della religione e la rivendicazione di un mondo variegato e multicolore cui essi hanno dato voce rinnegano i proclami di chi vorrebbe un Iran incolore, collerico e retrivo. La censura in Iran ci ricorda l'importanza della letteratura quale canale di comunicazione e instaurazione di spazi di libertà che trascendono gli steccati dell'appartenenza politica o della nazionalità, razza, sesso, religione o provenienza geografica. Chi, in tutto il mondo, si batte per la democrazia, deve spalleggiare gli iraniani condannando la censura. O mostrando loro la propria solidarietà rigettando le teorie dove, con toni semplicistici e sprezzanti, non si fa alcun distinguo tra le rivendicazioni culturali di un nuovo Stato teocratico e la vera cultura e letteratura di un popolo dalla lunga storia. O ancora ricordando la gloriosa tradizione che, in passato, fiorì con grandi autori come Francis Scott Fitzgerald, Johann Wolfgang Goethe, Edward Browne e Louis Massignon e, oggi, prosegue grazie alle molte voci che celebrano e si avvicinano all'Iran attraverso la sua produzione letteraria. È questo il momento migliore per mostrare il nostro apprezzamento verso l'altro volto — sottratto e nascosto — dell'Iran, riscoprendo e celebrando i suoi esponenti migliori e più credibili: poeti e scrittori. (Traduzione di Enrico Del Sero)
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