La missione Unifil e la sicurezza delle truppe italiane in Libano sono messe a rischio, sostiene Ugo Tramballi sul SOLE 24 ORE del 3 dicembre 2006, dall'assenza di "diplomazia":
Se non s'innesca una dinamica negoziale; se fra due mesi i tre soldati israeliani saranno ancora prigionieri di Hezbollah e di Hamas, se non ci sarà dialogo sulla restituzione al Libano delle fattorie Sheebaa
( le fattorie Shebaa non sono mai state libanesi, e dunque al Libano non potrebbero essere "restituite" : ma qui Tramballi, dimenticando quanto sancito dall'Onu, appoggia la rivendicazione di un gruppo terroristico, gli hezbollah)
né sulle alture del Golan fra Israele e Siria e nemmeno fra Olmert e Abu Mazen su Stato palestinese e sicurezza israeliana; se non faranno qualcosa di nuovo l'iniziativa europea francese, spagnola e italiana o James Baker, il taumaturgo chiamato a salavare la politica mediorentale dell'amministrazione Bush, la guerra in Libano riprenderà con o senza l'Unifil.
Naturalmente, la difficoltà di trovare soluzioni diplomatiche viene fatta dipendere dalle attitudini israeliane:
Israele ha l'abitudine di credere alle vittorie assolute e molto meno a quelle negoziate: ma è su queste che si fonda la sua sicurezza.
La logica catastrofica dell' appeasement ad oltranza è qui manifestata in modo esemplare.
La missione Unifil, accettata da Israele rispondendo alle pressioni della comunità internazionale che chiedeva di porre fine alle operazioni militari contro Hezbollah, era precisamente, nelle intenzioni, una garanzia alla sicurezza di Israele basata su una "vittoria negoziata".
Doveva garantire l'applicazione della risoluzione 1701, che prevedeva, oltre al cessate il fuoco e al ritiro israeliano, il disarmo di Hezbollah e la liberazione dei soldati israeliani rapiti.
Oggi Israele non occupa più il Libano, ma Hezbollah riarma e i soldati sono ancora nelle sue mani.
Il paese dei cedri è sull'orlo di una guerra civile, tra omicidi politici e assedi al governo.
La strategia "negoziale" è fallita e tutti capiscono che si prepara una nuova guerra.
Ma tale realtà non induce certo Tramballi e gli altri sostenitori della diplomazia a mettere in discussione i loro presupposti: se un negoziato fallisce, per loro, il rimedio è un altro negoziato, se ad ogni concessione israeliana seguono nuove aggressioni da parte dei terroristi, la risposta è chiedere a Israele ulteriori concessioni.
Ad Hamas, a Hezbollah, persino all'Iran che ribadisce la sua intenzione di distruggere Israele "in tempi brevi".
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