Afshin Ellian, dissidente a Teheran, segregato all'Aia un'intervista di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 01 dicembre 2006 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «In fuga dall'Iran e in Olanda Da un totalitarismo all'altro»
Dal FOGLIO del 1 dicembre 2006:
La notte precedente l’anniversario della morte di Theo van Gogh, nel centro Rode Hoed di Keizersgracht si tiene un incontro sull’islam. Nell’edificio ci sono venti poliziotti armati per proteggere due ospiti d’onore: Ayaan Hirsi Ali e Afshin Ellian. Dopo l’uccisione del regista, Ellian aveva scritto un editoriale sul quotidiano Handelsblad: “Coraggio, colleghi accademici, mettete l’islam sul tavolo operatorio della filosofia”. Poi un secondo articolo, “Allah know best”, dal titolo del libro di Van Gogh. Gli islamisti non la prendono benissimo. Da allora vive sorvegliato a vista, nella sua casa fra Amsterdam e Utrecht e all’interno dell’università. Nato a Teheran, proveniente dalla sinistra, dopo la rivoluzione Ellian si schiera contro gli ayatollah. Le minacce di morte lo costringono a riparare a Kabul, dove conosce sua moglie. Nel 1989, quando le autorità afghane ordinano il rimpatrio dei dissidenti iraniani, l’Onu lo mette sul primo volo per l’Aia. Oggi insegna Diritto e Filosofia all’Università di Leiden, è autore di libri di poesia e sta lavorando a un “Dialogo con Maometto”. “Cinque anni fa, mia sorella è emigrata negli Stati Uniti, dove lavora, paga le tasse e prende parte alla vita pubblica. Se fosse venuta in Europa, sarebbe ancora sotto esame dei servizi sociali per il ‘trauma’”. Trauma, la stessa parola che la sinistra ha usato contro di lui. Ellian racconta al Foglio la sua storia di dissidente. “In Olanda i terroristi non vogliono solo impaurire la gente su treni e metro, ma uccidere figure pubbliche, artisti, giornalisti, scrittori, accademici, legittimati in questo dalla teologia islamica che sprona ad assassinare i nemici di Allah. Le racconto una storia. Mentre le truppe americane stanziate in Iran osservavano il collasso nazista in Europa, a Teheran stava succedendo qualcosa. Nawab Safawie chiese a un ayatollah di emanare una fatwa per uccidere il giurista liberale Ahmad Kasrawi. Arrestato, Nawab fuggì a Najaf (Iraq). Nel marzo 1946 l’Europa era libera, a Teheran esplose la guerra della libertà. Kasrawi fu portato davanti a una corte, accusato di blasfemia. I fedayn entrarono in aula e lo uccisero, mutilando il corpo con un coltello. Nel 1989 cadde il muro di Berlino, simbolo del marxismo totalitario. Nello stesso anno si alzò una nuova forma di totalitarismo: la fatwa contro Salman Rushdie. Il 2 novembre 2004 fu ucciso Theo van Gogh”. Venendo al viaggio del Papa sul Bosforo, Ellian non crede che Benedetto XVI abbia ceduto rispetto a Ratisbona. “Non ho trovato appeasement nelle parole di Ratzinger. Mi chiedo solo perché non abbia usato un tono ancora più duro contro la sottomissione cristiana. E’ un paese in cui non si può andare in giro vestiti da pastori e da preti. Dall’Università di Ratisbona, Ratzinger ci ha offerto un grande dialogo su ragione e fede, un regalo soprattutto ai musulmani. Cristianesimo e grecità si sono legate, l’islam ha perso la solidarietà con la Grecia. Qui nasce la violenza islamica. Il confronto con l’islam soffre dell’abuso della parola ‘dialogo’: dialogo non comporta che due persone si dicano quanto sono brave, ‘la tua civiltà è fantastica, viva l’islam, bravi cristiani’. Piuttosto significa porre domande critiche, un cuneo culturale”. Le fatwe iraniane hanno intimidito la libertà dell’occidente. “Teheran ha lanciato una nuova fatwa contro due giornalisti dell’Azerbaijan. E’ un messaggio martellante: ‘Non dimenticate che possiamo uccidervi’. E’ il caso delle vignette in Danimarca, di Rushdie e di Ratisbona. L’opera ‘Aisha’ è stata cancellata a Rotterdam perché ritraeva la moglie del Profeta. L’attacco a Rushdie può essere visto come la nascita del talibanismo in Europa: libri bruciati e attacchi terroristici a editori e traduttori”. Tutto inizia con il ritorno a Teheran di Khomeini e la catasta di bottiglie di liquori, vino e cognac distrutte nello zelo puritano. “Fu la rinascita dell’islam politico nel mondo moderno e il ritorno di Maometto nella cultura contemporanea. Michel Foucault, l’odiatore per eccellenza, parlò di ‘regime di verità’ e ‘momento di origine’. Adesso, se l’Iran riuscirà a ottenere la tecnologia nucleare, nulla sarà più come prima per Europa e Stati Uniti. Il potere iraniano passa dall’atomo. Nell’apocalittica del Mahdi e nel profetismo escatologico, l’odio per Israele compatta sunniti e sciiti. Israele è simbolo della speranza, rappresenta l’acqua, la libertà del medio oriente e dell’occidente. Gli ebrei sono odiati perché sono un popolo morale”. Afshin Ellian riscriverebbe gli articoli che hanno cambiato la sua vita. “Vivo sotto protezione quotidiana della polizia, la mia casa è sorvegliata tutto il giorno. Dopo la morte di Van Gogh, non posso muovermi senza essere seguito da un paio di poliziotti. Spesso la minaccia si fa intensa e i miei spostamenti rarissimi, altri giorni è più normale, per così dire. L’islamismo ha trasformato la mia vita in incubo, non posso esprimermi sul Profeta, le origini dell’islam, la teologia wahabita e le moschee saudite senza sentirmi minacciato. Sono fuggito da Khomeini per finire sotto scorta in Olanda, Ayaan Hirsi Ali ha lasciato la Somalia per venire esiliata dall’Aia. E’ ridicolo, da un totalitarismo sono passato a un altro”. La sinistra lo ha accusato di essere un fanatico: “Insieme ad Ayaan, avrei ‘traumatizzato’ l’opinione pubblica. Il film ‘Submission’ di Van Gogh però non viene trasmesso, come se non fosse mai esistito. Perché la maggior parte degli editorialisti si è scagliata contro Ayaan e le altre menti critiche? La cultura olandese considera l’islam territorio proibito. Il poeta russo Josef Brodskij venne mortificato dai liberal compiacenti e la storia insegna che trattiamo i dissidenti islamici come un tempo gli anticomunisti. Le società libere hanno l’opportunità di valorizzare i dissidenti per un dialogo vero con l’islam”. Un altro esule iraniano, Amir Taheri, parla del Nobel della Pace Shirin Ebadi come di un falso modello. “La nomina è stata una buona notizia per l’Iran, ma se hai l’occasione di parlare al mondo, come ha avuto Ebadi, devi sfruttarla non contro Guantanamo, ma per dire la verità su Iran, Arabia Saudita e Pakistan. Ebadi vuole essere apprezzata dal clero religioso e dalla sinistra europea, è un problema per la libertà e la democrazia dei diritti umani, per i non musulmani. L’islam è in guerra con se stesso, da Baghdad a Kabul, da Parigi a Londra”. Passiamo alle elezioni olandesi. “Gli olandesi non vogliono più saperne di Van Gogh, Pim Fortuyn e Hirsi Ali, l’Olanda è una Disneyland multiculturale. Tutto deve basarsi sul consenso, tutto è economico e negoziabile. Il futuro dell’Olanda dipende da cosa accadrà al concetto di tolleranza. Ma questo vale anche per Francia e Inghilterra. L’islam radicale è più diffuso di quanto immaginiamo. Abbiamo esaltato la separazione di stato e chiesa, dimenticando quella di stato e moschea. Gli olandesi non hanno avuto il coraggio di esercitare sull’islam il metodo che hanno applicato al cristianesimo: blaterano di ‘cristiani fondamentalisti’ mentre i sauditi finanziano le moschee con la teologia salafita. La strage dei bambini di Beslan ci ricorda che è un nemico senza regole. L’assassino di Van Gogh, Mohammed Bouyeri, non è un pazzo isolato come Volkert van der Graf, l’assassino di Fortuyn. Bouyeri fa parte di un jihad internazionale e le sue origini spirituali si trovano nell’Afghanistan dei talebani e nell’Iran degli ayatollah”. Ellian resta convinto della necessità della guerra in Iraq. “Era moralmente giusta, il sistema di sanzioni aveva massacrato e corrotto l’Iraq: potevamo scommettere su quel futuro? L’unica soluzione ‘realista’, come si dice ora, era l’intervento militare. Se l’Iraq collassasse, le conseguenze arriverebbero nelle città europee, sarebbe una vittoria islamista. Il 16 marzo 1988 la città di Hallabja fu inondata di gas velenosi. Il glorioso leader Saddam Hussein aveva dato l’ordine: sterminate i curdi. Federico Garcia Lorca, fucilato nel 1936 dai fascisti spagnoli, profetizzò la notte della morte: ‘Quanti figli ha la Morte?’. Una frase che ci riporta ad Hallabja e alle bombe di Madrid”.
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