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Giorgio Israel
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La sinistra retorica dei “due diritti” che in realtà ne difende soltanto uno 01/12/2006
Un coro di unanime condanna si è levato contro i vergognosi fatti accaduti nel corteo romano per la Palestina. Ma le condanne retoriche lasciano il tempo che trovano. Diciamo la verità: se a tanto si è arrivati è perché i manifestanti romani hanno avuto uno stuolo di cattivi maestri. Ricordate quando in televisione si diceva che, se Fabrizio Quattrocchi era un eroe, allora anche i kamikaze lo erano? O si definiva razzista chi deprecava la distruzione delle sinagoghe di Gaza? L’elenco di simili “sbandate” è lunghissimo e non coinvolge soltanto il partito dell’on. Diliberto. L’unico che ha fotografato bene la situazione da sinistra è Pietro Ingrao: ha detto non trattarsi di “provocatori”, ma di “persone sia pure di sinistra che compiono atti completamente sbagliati” e ha definito quegli atti “vergognosi” come “un profondo errore politico”. Insomma, compagni che sbagliano… Non erano così che venivano definiti i brigatisti rossi? E anche loro erano allievi di cattivi maestri. Saranno i cattivi maestri di oggi capaci di ammettere i loro errori, invece di farsi scudo di condanne retoriche? Anche il corteo di Milano meriterebbe uno sguardo critico. Non vi è equidistanza quando il cuore batte da una parte sola, quando i cartelli parlano soltanto delle colpe israeliane e talvolta in modo truculento. Ed anche l’equidistanza dei migliori dirigenti della sinistra riformista non si è sottratta all’ambiguità. L’on. Fassino appare bene intenzionato quando ribadisce che occorre prendere come punto di partenza l’idea che in Medio Oriente esistono “due diritti” e non uno soltanto. Ma quando si va al concreto si resta delusi. Fassino cita il cosiddetto “accordo di Ginevra” e non dice che trattavasi di un’intesa del tutto privata e priva di qualsiasi valore istituzionale; ma soprattutto non dice che essa lasciava totalmente aperte questioni fondamentali. Non era una proposta concreta di soluzione, ma soltanto retorica buonista. Poi cita il “documento dei prigionieri” palestinesi e qui le perplessità si fanno serissime. Difatti, quel documento costituisce un arretramento spettacolare rispetto a qualsiasi altra bozza di intesa precedente. Esso prevede un accordo di pace transitorio, in attesa di una risoluzione definitiva del contenzioso, purché Israele si ritiri entro i confini del 1967, ed anche da Gerusalemme. Si è detto che, in tal modo, verrebbe riconosciuto “implicitamente” il diritto di Israele all’esistenza (dopo mezzo secolo siamo ancora all’“implicito”!) : il fatto che i palestinesi si accontentino soltanto di una parte della Palestina implicherebbe indirettamente il riconoscimento di quel “qualcosa” restante… Insomma, un colossale imbroglio, una tregua (“hudna”) vista come tappa verso la “risoluzione finale” del problema, ovvero la cancellazione dello stato ebraico. Non a caso, il documento dei prigionieri è l’unica piattaforma di discussione accettabile per Hamas, che appena pochi giorni fa ha ribadito che mai e poi mai accetterà l’esistenza di Israele. Alla fine, dietro la retorica dei “due diritti” ne resta in piedi soltanto uno. Occorre ammettere che la sinistra non riesce a porsi di fronte alla questione israelo-palestinese con la mente sgombra da pregiudizi o, quantomeno, con la capacità di affrontare a viso aperto le posizioni che da tali pregiudizi sono inquinate.

da Tempi

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