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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.12.2006 Proteste per il progetto di un parcheggio in Piazza Rabin a Tel Aviv
un articolo dellos scrittore israeliano Etgar Keret

Testata: Corriere della Sera
Data: 01 dicembre 2006
Pagina: 19
Autore: Etgar Keret
Titolo: ««Un parcheggio: così devastano la piazza di Rabin»»
Dal CORRIERE della SERA del 1 dicembre 2006:

Qualche mese fa, durante la seconda guerra del Libano, un giornalista polacco mi ha domandato quali sono i due posti che amo di più in Israele. Probabilmente si aspettava che rispondessi il Muro del Pianto e il Monte degli Ulivi, ed è rimasto un po' deluso nel sentirmi dire la spiaggia di Tel Aviv e piazza Rabin, che ai miei occhi simboleggiano isole di normalità nella nostra realtà dura e folle. La spiaggia mi piace, ho detto al giornalista, perché tutte le persone che ci vanno sono uguali: ricchi e poveri, soldati israeliani o gitanti arabi. Quando si levano i vestiti e rimangono in costume da bagno non c'è modo di sapere qual è la loro posizione sociale o a che etnia appartengono. Sono semplicemente esseri umani. E Piazza Rabin mi piace esattamente per lo stesso motivo.
All'incirca venticinque anni fa, quando ero un ragazzo, nei giorni in cui quella piazza grigia e anonima ancora si chiamava «piazza Re d'Israele», vi si radunarono circa quattrocentomila persone, più o meno il dieci per cento della popolazione di Israele di quel tempo, per chiedere le dimissioni di Ariel Sharon, allora ministro della Difesa e architetto della sanguinosa prima guerra del Libano. La manifestazione ricordò a chi l'aveva dimenticato in quei giorni maledetti, che in uno Stato democratico il governo esprime la volontà dei suoi cittadini, e che quando questi ne hanno abbastanza di una guerra di conquista, possono raccogliersi in una piazza cittadina, protestare e influenzare il destino della loro nazione. Nei venticinque anni trascorsi da allora piazza Rabin ha visto molte altre dimostrazioni. Ogni decisione storica presa in Israele è stata sostenuta, od osteggiata, in questa piazza da decine di migliaia di dimostranti: a partire dagli accordi di Oslo fino al piano di ritiro dalla striscia di Gaza e all'ultima guerra del Libano. Le manifestazioni sono ancora imponenti ma chi le segue può notare che il numero dei partecipanti è in costante diminuzione. Un senso di disperazione sempre maggiore, il cinismo che indurisce i cuori e l'assenza di una leadership alternativa nella nostra lugubre realtà, fa sì che molti se ne restino a casa.
Chi cerca la svolta dopo la quale la piazza ha cominciato a perdere la sua forza può trovarla in una cupa sera di novembre di undici anni fa, quando il primo ministro di allora, Yitzhak Rabin, fu assassinato da un attivista di destra. Dopo quell'omicidio hanno incominciato a incontrarsi nella piazza, ogni venerdì, i «guardiani della pace», un gruppo che canta canzoni di pace nel punto dove cadde Rabin e giura di proseguire la sua strada. Nella mia ultima visita in piazza due settimane fa sono rimasto sorpreso di vedere quanti pochi fossero i convenuti a questo appuntamento settimanale che in passato coinvolgeva migliaia di persone. Chi si è presentato però, per lo più anziani, si è raccolto attorno al monumento in ricordo di Rabin e ha cantato la canzone della pace. Le transenne della polizia che li circondavano su tutti i lati li facevano sembrare animali in via di estinzione rinchiusi in una gabbia. Tutt'intorno a loro passavano migliaia di giovani che parlavano in cellulari ultramoderni e portavano buste di plastica con stampati i nomi di marche di moda. Nemmeno uno ha rallentato il passo o lanciato uno sguardo curioso verso il gruppo dei guardiani della pace.
In questi giorni piazza Rabin sta per essere distrutta, al suo posto sorgerà un parcheggio sotterraneo per la comodità dei residenti della zona. Chi vorrà radunarsi e protestare non avrà più un posto dove farlo. Di parcheggio, invece, ne avrà a volontà. E così questa incredibile piazza dove si sono svolti gli scontri ideologici più significativi dello Stato di Israele, tra poco ospiterà fuoristrada e automobili di lusso. E i guardiani della pace, che sono comunque sempre meno, saranno costretti a cantare le loro canzoni di speranza in un futuro migliore nelle profondità di un buio parcheggio di cemento. Ma forse le loro canzoni troveranno il modo di uscire attraverso gli sfiatatoi per arrivare alle orecchie dei nostri inetti governanti che ora, dopo essere riusciti a sconfiggere il più grande problema nazionale — quello del parcheggio — potranno finalmente dedicarsi a questioni più tranquille, come il sostegno ai deboli o l'elaborazione di un piano diplomatico che porti la pace nella regione.

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