Una strana idea della pace quella di Michele Giorgio e del quotidiano comunista
Testata: Il Manifesto Data: 01 dicembre 2006 Pagina: 9 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Dalla Rice solo parole per la Palestina»
Dal MANIFESTO del 1 dicembre 2006, un articolo sulla visita di Condoleezza Rice in Medio Oriente, inefficace, a giudizio del quotidiano comunista, perché la politica americana è schiacciata su quella israeliana. Questo in un contesto nel quale Israele rispetta una tregua di fatto unilaterale a Gaza ( i razzi kassam continuano ad essere lanciati) e si dice disposta al dialogo e al rilascio di prigionieri palestinesi, ma Hamas fa fallire le trattative per il governo di unità nazionale.
Non sarà per caso che l'"inefficacia" dei tentativi di pacificare la regione dipenda dall'intransigenza degli estremisti palestinesi e dal terrorismo?
Ecco il testo di Giorgio
Un semplice cerotto su una ferita profonda che sanguina copiosamente. È questa la «cura» che gli Stati Uniti, attraverso il Segretario di stato Condoleezza Rice, hanno proposto ieri a palestinesi e israeliani. D'altronde era irrealistico attendersi risultati di qualche interesse dai colloqui avuti dalla Rice a Gerico, con il presidente palestinese Abu Mazen, e a Gerusalemme poi con il premier Ehud Olmert. La posizione americana non cambia, resta schiacciata su quella israeliana. Abu Mazen ha elencato le difficoltà enormi che i palestinesi devono affrontare quotidianamente: economia disastrata, embargo internazionale all'Anp, raid militari israeliane, il muro in Cisgiordania, migliaia di prigionieri rinchiusi nelle prigioni d'Israele. Dall'altra Condoleezza Rice ha prima ripetuto il consueto «Abu Mazen è un uomo di pace» e poi ha replicato elencando misure per «ricreare la fiducia» tra le due parti ed esprimendo la speranza che la tregua in atto al confine tra Gaza e Israele possa estendersi alla Cisgiordania. Il Segretario di stato tuttavia ha evitato di insistere con Olmert affinché il cessate il fuoco diventi generale e le incursioni in Cisgiordania cessino. Conversando con il ministro degli esteri Tzipi Livni, ha fatto accenni alla necessità di rafforzare i palestinesi cosiddetti «moderati» in riferimento evidente non solo ad Abu Mazen ma anche ad alcuni ex ministri del precedente governo palestinese, come Mohammed Dahlan, che gli Usa considerano «buoni amici». Infine ha lasciato nelle mani di Abu Mazen la patata bollente dei rapporti tra la «vecchia» e la «nuova» Anp. E Abu Mazen non si è sottratto al ruolo di presidente con le mani legate che presto potrebbe usare i suoi poteri per imporre un nuovo governo, visto che non riesce a convincere Hamas a formarne uno di unità nazionale sulla base delle condizioni poste dal Quartetto (Usa, Russia, Onu e Ue). Il presidente palestinese ha parlato di negoziati giunti ad un «punto morto» lasciando intendere che il movimento islamico continua a non voler inserire nel programma del futuro governo il riconoscimento di Israele. Dal Cairo il premier Haniyeh - al suo primo viaggio all'estero da quando è stato nominato primo ministro - ha sminuito l'entità dei contrasti e si è detto fiducioso. «Continuiamo le trattative interne per eliminare gli ostacoli e preservare gli interessi del popolo palestinese», ha spiegato in una conferenza stampa nella capitale egiziana, «certo ci sono punti di tensione, ma i colloqui proseguono; non bisogna chiudere le porte, perché dobbiamo cercare soluzioni ai nostri problemi». Il meno diplomatico ministro degli esteri di Hamas, Mahmud Zahar, ha confermato che ci sono forti difficoltà per il nuovo governo, ma ha sottolineato che «esse derivano dalla insistenza (da parte di Abu Mazen) di nominare figure amichevoli verso gli Usa ed Israele». «Invece noi - ha proseguito - non accettiamo le precondizioni di Usa ed Israele, e respingiamo le personalità palestinesi che si identificano con loro. A proposito di Condoleezza Rice, Zahar ha affermato che le sue visite sono associate con «la legalizzazione delle aggressioni israeliane». Proseguono nel frattempo le trattative per uno scambio di prigionieri, tra l'israeliano Ghilad Shalit e 1.400 palestinesi. Ieri un ministro israeliano, Benyamin Ben Eliezer, si è detto convinto che Shalit tornerà a casa entro la fine dell'anno e questa previsione viene considerata realistica anche dai palestinesi. Secondo indiscrezioni Hamas esige fra gli altri la liberazione di Marwan Barghuti, il leader di Al-Fatah in Cisgiordania in carcere in Israele.
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