Israele vuole trattare, i palestinesi fermino il terrore intervista al direttore del ministero degli Esteri israeliano
Testata: La Repubblica Data: 01 dicembre 2006 Pagina: 21 Autore: la redazione Titolo: «Abu Mazen alla Rice: «Le trattative con Hamas sono a un punto morto»»
Dal REPUBBLICA del 1 dicembre 2006:
ROMA - Aaron Abramovich è il direttore generale della "Farnesina" israeliana. In verità è qualcosa di più del semplice capo della diplomazia: è lo stratega che al fianco di Tzipi Livini, il ministro degli Esteri, nell´estate del 2005 ha gestito il ritiro di Israele da Gaza. Da allora segue tutti i dossier politici internazionali con il suo ministro. È stato a Roma, per incontrare uomini politici e diplomatici italiani (tra gli altri ha visto Fassino e Intini) e per un ennesimo round del lungo negoziato con il Vaticano. Con Repubblica Abramovich parla di quest´ennesima, confusa fase nella lunga storia del Medio Oriente. «A Roma ho avuto incontri molto interessanti con tutti, i leader politici e i dirigenti diplomatici. Su palestinesi, Libano, Hezbollah, Iran ho trovato che il governo italiano dimostra di avere un´ottima conoscenza della situazione dei dossier. A tutti ho ripetuto la nostra posizione: qualunque sia il nuovo governo palestinese, qualunque sia il ruolo che Hamas dovrà avere, noi chiediamo che la comunità internazionale non arretri di un millimetro. Il nuovo governo palestinese deve apertamente rinunciare al terrorismo, deve riconoscere Israele e gli accordi sottoscritti in precedenza dal nostro governo e dall´Anp». Dottor Abramovich, con i palestinesi in questo momento è in atto una tregua. «Sì, a Gaza, una tregua che vorremmo potesse essere il primo passo di qualcosa di più esteso. Noi vogliamo innanzitutto che il lancio di razzi su Israele cessi per davvero, assieme alla fine di tutte le violenze. Dobbiamo anche lavorare per fermare il contrabbando di armi verso Gaza, tonnellate e tonnellate di armi che sono destinate ad essere usate contro di noi. Nelle nostre intenzioni la tappa successiva, dopo il rilascio dei prigionieri, che come tutti sapete non è un affare smplice, dovrebbe essere estendere la tregua alla West Bank». Con chi credete di poter negoziare? Sembra che il miraggio di un governo di unità nazionale palestinese si stia dissolvendo? «Qualunque sia il governo palestinese, per noi dovrà rispettare le 3 condizioni che tutta la comunità internazionale chiede vengano rispettate. Per il resto le posso dire quel vedo all´interno del nostro fronte: il governo di Olmert e Livni è stato creato, è nato per procedere sulla via del negoziato. Noi abbiamo bisogno di un partner, che nonostante questi mesi di violenze e di terrorismo, possa riprendere con noi il percorso del negoziato. Abu Mazen può esserlo, Hamas può negoziare soltanto perché sente la pressione della comunità internazionale. Per questo abbiamo chiesto ancora con forza al governo italiano: premete, chiedete che vengano rispettate le 3 condizioni, basta terrorismo, riconoscere Israele, riconoscere gli accordi dell´Anp». Siete reduci dalla guerra con Hezbollah. Come valutate il ruolo, il lavoro dell´Unifil? «L´Unifil è stata decisiva quest´estate per permettere la fine delle operazioni. E anche in questo il ruolo del governo italiano è stato assai importante. Ma adesso Hezbollah si sta riarmando, pesantemente: con l´aiuto della Siria, con i finanziamenti dell´Iran. Le armi ad Hezbollah sono una minaccia a noi. Ma sono una minaccia a Siniora, alla stabilità del Libano e dell´area». Ma quali sono, secondo voi, i veri obiettivi di Hezbollah in Libano? Perché si riarmano, pensano a un nuovo conflitto contro Israele? «Gli Usa hanno detto chiaramente che Iran e Siria puntano a un golpe in Libano. È il primo obiettivo di Hezbollah, per alalrgare l´influenza di Siria e Iran in tutto il Libano. Hezbollah lo dice apertamente, vogliono rovesciare il governo Siniora. L´assassinio di Pierre Gemayel si inscrive in questo disegno di destabilizzazione del paese. Il disegno è chiaro, credo che pochi possano non vederlo».
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