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Il Foglio Rassegna Stampa
30.11.2006 Multiculturalismo significa sottomissione al fondamentalismo islamico
alcune storie esemplari

Testata: Il Foglio
Data: 30 novembre 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «A casa Redeker - Premi multiculturali - I Londonistan»

Dal FOGLIO del 30 novembre 2006 , un intervista a Robert Redeker:

Tolosa. Le indicazioni di Robert Redeker sono attendibili, salvo un’imprecisione che porta a imboccare l’autostrada per Montpellier anziché l’uscita prima del pedaggio. Ma una volta raggiunta casa sua, in un villaggio senza storia, di cinquemila abitanti, alla periferia della città, i controlli diventano drastici. Una pattuglia della gendarmeria sorveglia l’ingresso ventiquattr’ore su ventiquattro, prendendo nota di ogni spostamento. Il capitano lo chiama al telefono ogni mezz’ora per sapere se tutto è a posto. Redeker vive in una villetta di un piano, tre camere, cucina e bagno, circondata da microgiardino e microsiepe. Per un mese e mezzo è dovuto rimanere al buio, perché la casa sembrasse disabitata. Due settimane fa è stato autorizzato a riaprire le imposte, perché la strategia adesso è cambiata. Il professore ha messo in vendita la casa e ne ha comprata un’altra, in una località segreta, verso la quale s’accinge a traslocare. Da due mesi, infatti, Redeker è sottoposto a un programma di massima protezione della Dst (la Direzione di sorveglianza del territorio del ministero dell’Interno), per fuggire alla condanna a morte emessa dai fanatici jihadisti legati ad al Qaida. Il professore è uno spirito libero, un cultore di Nietzsche, studioso appassionato dell’utopia moderna e dei rischi che minacciano la democrazia. E’ soprattutto un padre di famiglia, tranquillo cinquantenne di origine contadina, che si è trovato a vivere una storia più grande di lui.
Due mesi fa, in un articolo sul Figaro, si è avventurato nella critica dell’islam, denunciando “l’odio e la violenza che abitano il libro su cui vengono educati i musulmani”, e “la violenza e l’intimidazione utilizzati da un’ideologia a vocazione egemonica per imporre al mondo la sua cappa di piombo”. Da allora la sua vita è cambiata. Lo sceicco Youssef al Qaradawi, capo spirituale dei Fratelli musulmani, lo ha indicato su al Jazeera come “l’islamofobo del momento”, e da allora è stato subissato da una serie di minacce di morte, diffuse via Internet con tanto di indirizzo, numero di telefono, foto segnaletiche e mappe dettagliate per raggiungere la sua abitazione. La fatwa non ha niente di virtuale.
Seduto al suo computer in maniche di camicia, le mani cicciottelle e l’anulare che sembra scoppiare tanto è stretto dalla fede, Redeker la ritrova subito, dietro la foto dell’Opera di Sidney, scattata l’estate scorsa durante un ciclo di conferenze sullo sport: “This is the pig who criticized the Best Ever Created (Prophet Muhammed) and here is his address”. Il sito in cui è apparsa la condanna a morte è stato oscurato, per evitare che facesse proseliti fra i giovani delle banlieue. Ma sul computer di Redeker restano le e-mail più inquietanti: “On va te tuer, on n’a pas d’autre choix”, scrive un mittente sconosciuto da Casablanca. “Sal petit con, tu es un homme mort, que Dieu te fasse vivre l’enfer avant et après la mort. Moi, je me porterais volontaire a te couper la tete ainsi qu’ a toute personne qui serrait mis a prendre ta defance” minaccia con ortografia incerta un altro islamista furioso. L’inferno per Redeker è iniziato subito con la rinuncia al proprio nome, tanto che ormai deve ricorrere a uno pseudonimo per fissare un appuntamento dal notaio, e come lui i suoi famigliari, costretti a vivere in una sorta di clandestinità.
I vecchi genitori, due tedeschi scampati al nazismo, vivono ancora in una fattoria nel Pays de Foix ai piedi dei Pirenei, funestati da telefonate anonime e paura. E anche i tre figli sono in balia del terrore: Marion 24 anni, che studia filosofia e vive col fidanzato, Simon di 15, che è entrato in collegio come interno, e Pierre di 20 anni che ha dovuto cambiare casa, si è nascosto per qualche tempo in campagna, in una casa in costruzione, e alla fine ha preso in affitto un nuovo alloggio con un amico, senza figurare nel contratto e nemmeno sulla cassetta delle lettere. Pierre fa l’autista di autobus, lo stesso lavoro della madre, Véronique, una quarantenne energica, bruna con la frangetta, che volendo seguire il marito, costretto i primi tempi a cambiare casa ogni due giorni, ospite di amici, ha smesso di lavorare per un mese, anche se ha sempre usato il nome da ragazza. I due sono una coppia unita, frutto di un amore nato per caso. La moglie, infatti, racconta Redeker, l’ha incontrata su un autobus un giorno di gennaio nel 1981, e l’ha invitata la sera stessa a una seduta spiritica in casa di un amico a Carcassonne, e l’ha sedotta grazie a una provvidenziale nevicata che li tenne segregati per dieci giorni sulle colline delle Corbières. Adesso è lei che esce per fare la spesa e si occupa di tutto, mentre lui, costretto a lasciare il liceo Pierre Paul Riquet di Saint Orens, isolato, privo di contatti, al di fuori di telefono e mail, resta in casa sepolto vivo, passando le ore davanti al computer a scrivere il diario che gli ha chiesto l’ex direttore dell’Express Didier Jeambar per le Editions du Seuil.

La paura è di chi mi ripudia come professore
Anzi, adesso che ha ritrovato qualcosa da fare, e può guardare la luce del giorno, dice di sentirsi molto meglio Redeker, mentre i primi giorni era depresso. La settimana scorsa, dopo il meeting di sostegno organizzato a Tolosa da Bernard-Henri Lévy e Pascal Bruckner, è persino andato a Parigi in aereo, scortato dalla polizia, con motociclisti a sirene spiegate, per partecipare al talk show di Marc Olivier Fogiel, conduttore d’assalto molto pop e irriverente, che però con lui è stato gentilissimo. Dopodiché, all’una di notte, è stato riaccompagnato al Novotel sempre a sirene spiegate dalla polizia, che prima di lasciarlo ha setacciato la stanza d’albergo da cima a fondo. “E’ stato divertente”, commenta Redeker, che oggi dice di non aver paura: “Paura semmai ce l’hanno i miei allievi, e le famiglie che non mi vogliono più come professore”. E lancia strali contro i sindacati degli insegnanti, “La Snes e la Fsu hanno persino indetto una manifestazione contro l’estradizione di Cesare Battisti, ma per me non hanno mosso un dito”. Quanto ai politici, si dice deluso da Gilles de Robien, ministro della Pubblica istruzione, e da Donnedieu de Vabre, ministro della Cultura, “che hanno fatto di me un colpevole”, mentre è grato a François Bayrou, a Dominique Strauss-Kahn, al sindaco comunista di Vénitieux, André Gerin, che l’ha difeso contro l’attacco dell’Humanité, e al ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy, di cui mostra fiero una splendida lettera, dicendo “finché c’è lui sono al sicuro”, mentre di Ségolène Royal ricorda il giudizio da bacchettona contro le caricature antimaometto. Di rimorsi, infine, non ne vuole parlare: “Pentito? Non lo sarò mai. E’ una cosa che non si fa. Non ho commesso alcun reato. Ho solo scritto quello che pensavo, anzi la verità. E non sono stato il primo. Claude Lévi-Strauss nei ‘Tristi Tropici’ ha scritto sull’islam le pagine più virulente. Sarebbe intellettualmente indegno dire ‘due mesi fa ero un po’ pazzo, avevo bevuto’. Non potrei mai”. Parla con pacatezza, senza nessuna enfasi Robert Redeker. E mentre parla, ogni tanto gli occhi gli sorridono e il viso tondo, mal sbarbato, dalla carnagione chiarissima, sembra dargli i tratti un po’ da vecchio, un po’ da bambino, come per fargli assumere una dimensione intemporale, non solo contro il tempo, ma fuori dal tempo.

Sempre dal FOGLIO del 30 novembre, un articolo su Cat Stevens e Tariq Ramdan:

Fra i lasciti peggiori di Tony Blair ci sono due consulenti sull’islam di Downing Street: Cat Stevens e Tariq Ramadan. Stevens sarà protagonista del megaconcerto dei Nobel per la Pace organizzato a Oslo per l’11 dicembre e trasmesso in tutto il mondo. Per chi conosce Yusuf, come si fa chiamare Stevens dopo la conversione all’islam, l’invito non è una sorpresa. Nel 2004 venne scelto come “Uomo della Pace” dai Nobel guidati da Mikhail Gorbaciov. Espulso da Israele per la sua alacre raccolta di fondi per Hamas e con l’ingresso negato negli Stati Uniti, Yusuf ha seminato la sua conversione di dichiarazioni molto poco pacifiche. Il 23 maggio 1989 il New York Times riportò alcune sue dichiarazioni al London’s Kingston Polytechnic sulla fatwa contro Salman Rushdie. Disse che se Rushdie bussasse alla sua porta, “chiamerei l’ayatollah Khomeini per dirgli esattamente dov’è”. E’ lo stesso pacifista che ha parlato di “cosiddetta religione ebraica”. Yusuf ha rivendicato amicizie con l’islamista Hamza Yusuf, lo sceicco Omar Abdel-Rahman, condannato per terrorismo negli Stati Uniti, e il predicatore Omar Bakri, bandito dal Regno Unito. Nel settembre 2004 l’Iran ha deciso di diffondere nel paese la sua musica. Yusuf ha anche minacciato in tv lo scrittore attivista Farrukh Dhondy, colpevole di accusare l’islam di “distruggere le menti dei giovani e di condurli al terrore suicida in cui hanno ucciso seimila innocenti”. Il New York Sun ha fatto le pulci al suo elogio della sharia. “Se mi chiedi un’opinione sulla blasfemia, il Corano la considera un’offesa capitale”. Stevens ha contribuito alla museruola che il governo laburista ha messo al discorso pubblico sulla religione. Quanto al niqab, “la bellezza e la forma della donna” non deve essere vista “da maschi che non le sono vicini”. Troppo poco islam E se l’islam prevede “la proibizione di qualunque offesa al sacro”, Yusuf è così ecumenico che un anno fa ha iniziato una battaglia per demolire una vecchia chiesa di Londra e sostituirla con un centro islamico. Dopo aver elogiato la teologia wahabita che considera “haram”, proibiti, gran parte degli strumenti musicali, nel 1997 Yusuf produsse l’album “I have no cannons that roar”, dedicato alla causa degli islamisti bosniaci. Si parla di porte del paradiso che si aprono ai mujaheddin. Nel 1988 disse che “gli ebrei non sembrano rispettare Dio né la sua creazione. Non ci sarà giustizia fino a che la terra non sarà riconsegnata ai legittimi proprietari. Solo l’islam può portare pace in Terra Santa”. Quanto al terrorismo ha detto: “Il problema non è troppo islam, ma troppo poco”. L’altro responsabile per le relazioni pubbliche dell’islam inglese, Tariq Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli musulmani e prefatore delle raccolte di Yusuf al Qaradawi, è il nuovo “Europeo non europeo dell’anno” secondo European Voice, rivista del gruppo Economist. Nel 2005 era stato scelto il turco Orhan Pamuk, e prima ancora Bill Gates, Abu Mazen e Kofi Annan. Come Yusuf Islam, anche Tariq Ramadan pensa che le donne “devono essere subordinate all’uomo, che è modello di islam”, e che dovremmo bandire le piscine miste (“non vedo come uno possa pensare di andare in posti simili”). Mentre i Nobel della pace si affidano alla lira saudita di Stevens e a Bruxelles si nomina europeo dell’anno il rasoio infido di Ramadan, due religiosi islamici, Ali al Sistani e Muhammad Tantawi, si muovono nella direzione opposta. Il grande ayatollah di Najaf ha deciso che le donne sciite in India devono godere degli stessi diritti degli uomini in caso di divorzio, mentre la massima autorità sunnita, Muhammad Tantawi, ha detto che “nell’islam la circoncisione è solo per gli uomini”, opponendosi alla mutilazione femminile. Sono sempre i convertiti a eccedere in fanatismo. Non è solo il caso di Yusuf, ma anche del “bombarolo della scarpa” Richard Reid, del terrorista del 7 luglio Germaine Lindsay e di quelli dell’agosto scorso Don Stewart-Whyte, Oliver Savant e Brian Young. “La sentenza per Rushdie, come per ogni scrittore che abusa del Profeta, è la morte”, aveva detto Yusuf. Lo canterà ai Nobel, che applaudiranno.

Infine, una cronaca da "Londonistan":

Londra. Un accoltellamento fra africani si chiude con le scuse dei criminali e nulla di più. Accade a Woolwich, sud-est di Londra, dove la legge islamica sembra sovrastare le norme di un paese in cui la sharia sta prendendo sempre più campo, sostituendosi alla common law nella risoluzione delle controversie fra immigrati. Un gruppo di giovani somali è sospettato di avere attentato alla vita di un connazionale. La famiglia della vittima riferisce alla polizia che la questione può essere risolta fuori da un’aula di tribunale. I colpevoli pagano una cauzione e vengono rilasciati. Le parti si accordano per un risarcimento e basta un’udienza – con relative scuse degli imputati – per chiudere la vicenda. Non siamo nell’Iran di Ahmadinejad né a Mogadiscio. Ma nel Regno Unito. E a denunciare quest’agghiacciante storia – ripresa ieri dal Daily Telegraph – è Aydarus Yusuf, ventinovenne somalo, che ai microfoni di Bbc Radio 4, durante il programma “Law in action”, ammette: “Dovunque noi somali ci troviamo nel mondo, applichiamo la nostra legge. Non è un fatto religioso, ma culturale”. Si scopre così che la sharia abita anche nel Regno Unito e che – come ha scritto Patrick Sookhdeo, direttore dell’Istituto sull’islam e la cristianità di Londra e autore di “Islam in Britain” – c’è “un sistema legale alternativo e parallelo” alle legge britannica che vige nella comunità musulmana su base volontaria. “Le Corti islamiche operano nella maggior parte delle grandi città, con i vari gruppi etnici che vanno incontro a bisogni specifici in base alle proprie tradizioni”, aggiunge il professore. Il Londonistan, insomma, espande il suo raggio e a difenderlo interviene anche un avvocato musulmano, Faizul Aqtab Siddiqui, professore universitario allo Hijaz College, nei pressi di Warwick, che dalle pagine del Telegraph spiega i vantaggi di questa legge parallela: “Budget contenuti, giustizia veloce e un clima più rilassato per chi di solito è intimorito dalle corti inglesi”. Una spiegazione inquietante che forse aiuta a capire un altro paradosso della Gran Bretagna multiculturale, ferita dagli attacchi del 7 luglio e in continua allerta dopo gli sventati attentati della scorsa estate. La petizione dei moderati Mentre la Bbc Radio conferma un timore che da tempo serpeggia nel mondo occidentale, a Londra un gruppo di musulmani moderati si batte contro il piano di costruzione di quella che dovrebbe diventare la più grande moschea d’Europa, sul suolo del parco dei Giochi olimpici del 2012. In soli dieci giorni 2.500 islamici del quartiere Newham (est della capitale) hanno raccolto altrettante firme per opporsi all’edificazione di quella che è già stata ribattezzata l’Alhambra del ventunesimo secolo (in riferimento all’enorme complesso di Granada, eredità della dominazione araba), 23 volte più spaziosa della cattedrale di Liverpool, oggi il più grande luogo di culto del Regno Unito. Musulmani contro la costruzione di un’enorme moschea, insomma. Musulmani contro musulmani. La ragione? Quel tempio che verrebbe innalzato in nome dell’islam aggraverebbe ancora di più le tensioni fra le comunità religiose presenti sul suolo britannico. Dietro al piano c’è un gruppo, il Tablighi Jamaat, che gli stessi musulmani moderati del Regno Unito riconoscono come estremista. Secondo un rapporto dell’Fbi, finito in mano ai mass media americani nel 2005, al Qaida ha usato membri di quell’organizzazione “come copertura… per avvicinarsi ad altri estremisti che fanno base negli Stati Uniti”. Lo stesso Richard Reid, il “bombarolo” britannico che tentò di salire su un aereo Parigi-Miami nascondendo esplosivo nelle sue scarpe e ora in carcere negli Stati Uniti, ha avuto legami con quel gruppo e così anche Mohammed Silique Khan e Shehzad Tanweer, due degli attentatori del 7 luglio, frequentatori della moschea del Tablighi Jamaat di Dewsbury. E poi 23 dei sospettati – oggi agli arresti – per la sventata strage sui cieli britannici – pare abbiano partecipato agli eventi organizzati negli ultimi anni dal gruppo. Insomma, i dubbi sulla linea ultraortodossa del movimento e la sua a dir poco rigida interpretazione dell’islam sarebbero sostenuti da indizi ancora più gravi. Per questo i musulmani moderati di Gran Bretagna hanno deciso di dissociarsi da un progetto che rischia di trasformare il paese in una grande culla del fondamentalismo islamico. La concessione temporanea alla costruzone della moschea intanto è scaduta e una nuova richiesta non è ancora arrivata.

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