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La Repubblica Rassegna Stampa
30.11.2006 I sauditi pensano di intervenire in Iraq?
Ryad preoccupata dall'affermarsi dell'egemonia iraniana

Testata: La Repubblica
Data: 30 novembre 2006
Pagina: 7
Autore: un giornalista
Titolo: «L´ombra saudita sulla guerra civile»
Dalla REPUBBLICA del 30 novembre 2006:

Bush incontra al-Maliki per discutere del futuro dell´Iraq. Un futuro che tutti sanno ormai senza americani. Un vuoto che preoccupa molti, non solo in Occidente, e che qualcuno propone di riempire. È il caso dei sauditi: un paradosso, apparentemente. La campagna irachena nasce, dopo l´11 settembre, proprio dal tentativo americano di ridisegnare, in termini militari ed energetici, un sistema di alleanze che renda marginali gli «infidi alleati» del Golfo. Accusati da Washington di non saper contrastare il diffondersi del qaedismo tra i gruppi islamisti locali e di fungere, oggettivamente, come fattore della loro riproduzione attraverso l´esportazione del wahhabismo. Strategia che Riad ha adottato nel tentativo di fare concorrenza a quegli stessi gruppi che ne mettevano in discussione la legittimità religiosa. Una posizione, quella dello sganciamento dai Saud, che Washington ha mutato nel tempo. Non solo perché le quote di titoli del debito federale possedute da Riad rendono ardua la manovra; ma anche perché l´operazione sostituzione è clamorosamente fallita in termini politici e militari: l´Iraq è ormai solo una fonte di problemi. Insieme agli americani i sauditi stanno ora valutando la possibilità di usare denaro, armi e petrolio, per evitare che l´Iraq finisca per gravitare nell´orbita iraniana. I motivi che spingono i Saud verso una simile politica sono diversi. Innanzitutto evitare che i sunniti iracheni subiscano una dura repressione da parte degli sciiti. Prospettiva che delegittimerebbe l´immagine della monarchia del Golfo come protettrice dell´islam sunnita: ruolo che si è ritagliata almeno a partire dalla guerra dell´Iraq di Saddam Hussein, finanziato e sostenuto senza riserve da Riad, alla Repubblica Islamica iraniana di Khomeini; se non dal jihad antisovietico in Afghanistan. Contenere poi l´espansione dello storico nemico iraniano - sciita nel cuore del Medioriente. Lo scontro tra wahhabiti sunniti e sciiti iraniani è una costante dal 1979. Mitigata solo durante le presidenze Rafsanjani e Khatami, leader che, attraverso un politica estera improntata più al pragmatismo che all´ideologia, hanno reso meno conflittuale il rapporto con l´Arabia saudita. L´andamento della guerra in Iraq, la prospettiva che l´Iran assuma un ruolo centrale nella regione, il ritorno al potere a Teheran dei radicali, fautori di una politica estera che si opponga all´influenza americana e dei loro alleati nell´area, allarma decisamente i Saud, decisi a contrastare un simile esito. Il piano di contrasto si realizzerebbe mediante: il recupero della guerriglia baathista, finanziata e armata dal «petroislam»; la costruzione di nuove unità militari, destinate a combattere gli sciiti. Naturalmente a condizione che gli islamonazionalisti sunniti facciano il vuoto attorno ai gruppi jihadisti legati a Al Qaeda, violentemente antisciiti come tutti i gruppi qaedisti penetrati dal wahhabismo radicale ma anche irriducibili nemici dei Saud. In questo scenario i sauditi potrebbero usare anche l´arma del petrolio, tenendone basso il prezzo, per mettere in difficoltà il governo iraniano che usa i proventi dell´oro nero per finanziare il patto sociale tra pasdaran e mostazafin, tra «militari e diseredati», ma anche le milizie sciite irachene. Un simile intervento potrebbe scatenare una guerra regionale. I sauditi ne sono consapevoli ma ritengono peggiore l´alternativa: il dominio iraniano in Medioriente. Una possibilità che gli americani, nonostante le irridenti proposte di Ahmadinejad, che invita Washington a gestire con Teheran la fuoriuscita dal pantano in cambio del via libera al nucleare e il riconoscimento dell´Iran come potenza regionale, rifiutano decisamente. Anche di questo hanno parlato Cheney e re Abdallah nei giorni scorsi. Si ripropone così un vecchio schema, che manda in soffitta la tesi neocon sull´America come protagonista diretta della «guerra al terrore» e ai paesi dell´Asse del Male: quello del containment caro ai realisti di ogni tendenza, repubblicani e democratici; tanto più agli uomini di Bush padre, come Baker, che hanno il difficile compito di tirare fuori dal pantano iracheno non solo i soldati Usa ma anche il loro commander in chief.

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