Equlibrismi sull'omicidio di Theo Van Gogh Giulio Meotti recensisce un libro di Ian Buruma
Testata: Il Foglio Data: 29 novembre 2006 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Mache dice Buruma?Hirsi Ali con l’islam rischiala vita,altro che Voltaire»
Dal FOGLIO del 29 novembre 2006:
Nell’estate del 2002 pubblicammo una formidabile inchiesta di Paul Hollander, professore emerito di Sociologia all’Università del Massachusetts, sull’intellettuale liberal dopo l’11 settembre. E stando al profilo che traccia sull’ultimo numero di National Interest, Hollander colloca Ian Buruma fra questi illusionisti dello scontro di civiltà. Simon Kuper sul Financial Times scrive che “Ian Buruma è nato per scrivere questo libro”. Si tratta di “Murder in Amsterdam”, un viaggio nell’Olanda del regista ucciso per strada da un wahabita born again, il paese dei politici martirizzati e delle profughe sfrattate, delle moschee salafite e delle scuole coraniche di stato, dove ciò che si ama oggi si odia il giorno dopo. E la convivenza si trasforma in oppiaceo con cui stordirsi. Un libro ondivago, in cui le dita restano incollate agli agguati multiculturali, mentre la lingua si impasta del sapore amaro e nauseante della sconfitta che l’olandese Buruma non riesce neppure a esorcizzare. Decifra il panico da dietro la grata di parlatoio del niqab. Ma a forza di osservare da una fessura, il suo orizzonte diventa lillipuziano. “Più che naïf, il libro di Buruma è un tentativo che chiameremmo giudizioso di raccontare l’islamismo e l’Olanda”, spiega Hollander al Foglio. “Ian Buruma mira sempre a un giudizio bilanciato, è il tipico scrittore che scrive ‘da una parte… e dall’altra’. E risente della riservatezza che sedimenta nella mentalità olandese”. “Murder in Amsterdam” è il prodotto di un figlio dell’Olanda cresciuto negli anni Sessanta. “Buruma non capisce che l’islam oggi non può essere compiaciuto né gratificato attraverso il compromesso. L’integrazione ha fallito. E Mohammed Bouyeri è in galera a ricordarcelo. L’Olanda ha un problema gigantesco con la sua minoranza islamica non assimilabile”. Uno degli aspetti più enigmatici di questa minaccia è il terrorismo cresciuto in seno all’Europa e nutritosi del suo welfare. “Buruma spiega che la democrazia verrebbe minacciata solo nel caso in cui ‘tutti i musulmani fossero dei rivoluzionari politici’. E’ dura capire come un piccolo determinato gruppo di violenti rivoluzionari, che ricevono il sostegno di inquantificabili segmenti della comunità islamica, non debba essere giudicato non pericoloso. Buruma mostra le stesse caratteristiche degli intellettuali occidentali durante l’Unione Sovietica. Ci parla di ‘equivalenza morale’ e non centra la sfida del fanatismo islamico. Così paragona l’islamismo ai cristiani evangelici degli Stati Uniti. E lascia fuori tutto l’irrazionalismo della mentalità islamica, l’autentico problema con il quale dobbiamo confrontarci”. L’effetto maretta provocato da Buruma risente anche dell’anticattolicesimo delle élite europee. “Tanto che arriva a scrivere che Ayaan Hirsi Ali non avrebbe fatto come Voltaire con la chiesa cattolica: ‘Ha rischiato di offendere solo una minoranza che si sentiva già vulnerabile nel cuore dell’Europa’. Ayaan è stata costretta a vivere in clandestinità in Olanda e oggi si trova in esilio negli Stati Uniti. Ma Voltaire non rischiò di essere assassinato né di vivere sotto protezione”. I liberal ingigantiscono il ruolo della razionalità negli affari umani. “Così viene loro negato l’accesso a questo cono d’ombra irrazionale che si chiama islam. L’umanesimo secolare non affonda in un dramma che non è solo dell’islam, ma della natura umana in genere. L’islam radicale si distingue da comunismo e nazismo non solo per l’irrazionalità, come il kamikaze che crede di entrare in paradiso con il gesto omicida, ma anche per l’intensità dell’odio, che viene liberamente e gioiamente espresso”. Né il nazismo né il marxismo hanno generato una violenza suicida. “Mohammed Bouyeri e i suoi amici avevano chiesto che fossero loro garantiti appartamenti da parte del municipio costruiti in modo tale che ‘le donne possano entrare e uscire dalla cucina senza essere viste’. Perché un giovane che non era né povero né oppresso, che aveva ricevuto una buona educazione, che non aveva avuto problemi a farsi degli amici, che fumava oppio e beveva birra, si converte in un guerriero santo il cui unico obiettivo è misteriosamente uccidere e morire?”. Non mancano le buone notizie: nella lista dei best seller del New York Times il libro di Ian Buruma non si trova. “America alone” di Mark Steyn invece sì. Lo scrittore l’ha anche autografato a George W. Bush in un incontro alla Casa Bianca.
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