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La Repubblica Rassegna Stampa
29.11.2006 La risposta dello scrittore arabo Hashem Saleh a David Grossman
e la replica dello scrittore israeliano

Testata: La Repubblica
Data: 29 novembre 2006
Pagina: 19
Autore: Hashem Saleh - David Grossman
Titolo: «C'è del buono in Israele, noi arabi dobbiamo capirlo - Dialoghiamo, per sottrarci all'odio fra due popoli semiti»

Non crediamo affatto che Avigdor Lieberman sia un estremista razzista paragonabile agli "estremisti" palestinesi di Hamas, crediamo che Israele avesse il diritto di non finanziare il governo del movimento islamista, che vuole distruggerla, e cha la comunità internazionale avesse il dovere di fare altrettanto, crediamo che Israele abbia il diritto di rispondere miltarmente alle aggressioni terroristiche, crediamo che l'individuazione dei "moderati" nel campo palestinesi sia un compito molto più difficile di quanto in genere si sia propensi ad ammettere e che comunque un interlocutore "moderato", ma debole, per condizioni oggettive o per la sua scelta di non contrastare gli estremisti, non possa dare a Israele garanzie in un processo negoziale.

Segnalati questi punti di dissenso, riconosciamo l'importanza della risposta dello scrittore arabo Hashem Saleh all'israeliano David Grossman.

Per il riconoscimento del diritto di Israele all'esistenza , per l'autentica disposizione al compromesso che esprime, per il rifiuto della demonizzazioni e per le critiche che muove agli oltranzisti arabi.

Ecco il testo: 


Le parole pronunciate dallo scrittore israeliano David Grossman di fronte a centomila persone nell´undicesimo anniversario dell´assassinio di Rabin, mi hanno interessato e sorpreso. Grossman è nato a Gerusalemme nel 1954, quindi appartiene alla nostra generazione, quella nata dopo la Naqba (la "Catastrofe") palestinese e la costituzione dello Stato di Israele sulla maggior parte delle rovine della Palestina. Ha pubblicato numerosi romanzi e saggi politici, fra cui Cronache di una pace rinviata, ma quel che più conta è che abbia perso suo figlio Uri nell´ultima guerra contro il Libano. Sulle pagine di Le Monde, commentandone con profonda amarezza la morte, era chiaro che egli volesse regolare i conti con la politica israeliana e i leader che hanno condotto il Paese in un vicolo cieco, per arroganza e cecità ideologica, se non umana.
Apprezzo chi esercita l´autocritica, e giudica la propria storia e il proprio Paese prima di criticare gli altri. Siamo stufi di quegli intellettuali idealisti che difendono, nel giusto o nel torto, i loro popoli e le loro comunità; siamo stufi di quegli intellettuali "organici", per dirla con Antonio Gramsci - cioè legati organicamente alle politiche dei loro Paesi anche se sono ottuse e ingiuste - e quelli legati ciecamente ai propri nazionalismi e confessioni.
Lo stesso vale per gli intellettuali arabi: per i discorsi idealisti, demagogici e insensati con i quali ci assordano da più di cinquant´anni. Li detesto ancor più dopo averne ascoltato uno, su una tv satellitare araba, attaccare il suo interlocutore che rappresenta la politica razionale palestinese, cioè la corrente di Fatah, Yasser Abed Rabbo, Mahmoud Abbas, Nabil Amr... La sua difesa aggressiva e demagogica di Hamas rievocava i discorsi degli anni ‘50 e ‘60. Non si curava affatto delle sofferenze del popolo palestinese, quasi volesse che durassero fino all´eternità, senza prospettiva di soluzione. Le sue grida si alzavano quanto più si moltiplicavano la stupidità delle sue tesi e l´impossibilità di applicarle nella realtà.
Ma torniamo a quel che ha detto David Grossman. Il senso delle sue parole è questo: chiunque abbia un barlume di ragione in Israele (io aggiungo anche in Palestina), conosce a larghe linee la soluzione possibile tra i due Paesi e i due popoli; sa la differenza tra sogni e speranze da un lato, e ciò che è fattibile: vale a dire quel che si può realizzare al termine di un difficile negoziato. Perché allora arroccarsi su posizioni estremiste, che negano l´esistenza dell´altro, e i suoi diritti in modo tanto radicale?
Lo scrittore esprime la propria rabbia per l´ingresso dell´estremista Lieberman nel governo israeliano: un grave colpo - dice - assestato alla democrazia e alla tendenza umanista e morale in Israele; ma critica anche l´atteggiamento profondamente razzista e consolidato verso la minoranza araba, ovvero verso quelli che noi chiamiamo "gli arabi di Israele" o "i palestinesi del ‘48".
Grossman lancia un grido quasi disperato: da circa cent´anni siamo in conflitto con i palestinesi e gli arabi. Fino a quando durerà questo conflitto tra di noi? durerà in eterno? Sembra sia divenuto un fenomeno quasi naturale, ordinario, l´unica scelta possibile.
Ma questo non è vero, c´è un´altra scelta: è la via delle trattative e del riconoscimento dell´altro, anziché negare la sua esistenza e occupare la terra dei suoi padri e avi. È vero, il popolo palestinese ha eletto Hamas, che rifiuta di negoziare con Israele, anzi ne nega l´esistenza, ma come reagire? Continuando a soffocare il popolo palestinese sempre più? Proseguendo coi massacri, che colpiscono per la maggioranza inermi civili a Gaza?
Grossman indica una soluzione alternativa a ciò che finora ha prodotto soltanto più rovine, distruzioni e odio nella regione: invita i governanti di Israele a parlare al popolo palestinese al di là di Hamas, a riconoscere la profonda ferita di questo popolo inflitta dalla Naqba, la Grande Catastrofe; esorta a negoziare seriamente con la corrente moderata palestinese, afferma che questa corrente esiste malgrado i tentativi di emarginarla, sia dall´una che dall´altra parte: è ormai evidente l´esistenza di un patto de facto tra le forze dell´estremismo israeliano rappresentate da Lieberman e altri, e quelle dell´estremismo palestinese rappresentate da Hamas, la Jihad e altri.
Le forze estremiste minacciano la pace nell´intera regione e forse nel mondo, ma il primo responsabile di ciò è la parte più forte e aggressiva, vale a dire Israele e i suoi governanti. Ecco perché Grossman li bacchetta con forza: vedono il popolo palestinese soltanto attraverso la canna del fucile. A suo avviso, essi rifiutano di vedere in questi un popolo oppresso, sotto occupazione e senza alcuna speranza. Lo scrittore israeliano riconosce la realtà obiettiva del futuro: la grande maggioranza degli israeliani sa che il Paese non appartiene a essi soli, ma verrà diviso in due: una parte per Israele e l´altra per la Palestina. La grande maggioranza degli israeliani sa che lo Stato palestinese arriverà ineluttabilmente, dunque perché tentennare ancora, rinviare la soluzione, eluderla? Perché tante vittime e tanto sangue? Fino a quando durerà tutto ciò? Questa notte avrà mai fine?
Questo è il grido lanciato da David Grossman a Tel Aviv. Egli è sincero, non solo perché ha perso suo figlio nella guerra del Libano, ma perché sa che il tempo non lavora a favore di Israele, che questo Stato non può vivere per sempre circondato da odi e rancori che scioglierebbero una roccia. Gli intellettuali arabi hanno il dovere di prendere queste parole con grande serietà, di instaurare un dialogo con gli intellettuali illuminati, per ridimensionare la corrente dell´estremismo e dell´odio razziale in Israele, ma anche quella dell´estremismo razzista e confessionale nelle piazze arabe e islamiche. Mahmoud Darwish invitò a "umanizzare il nemico". Gli hanno rovesciato il mondo sulla testa. Io dico che non bisogna guardare gli israeliani come a un blocco, non bisogna confondere Lieberman e Grossman, il buio e la luce. So che queste mie parole susciteranno fastidio nella corrente confessionale e razzista del mondo arabo e mi attireranno incomprensioni e guai.
(Copyright Al Sharq Al-Awsat, la Repubblica - traduzione di Samir Al-Qaryouti)

Di seguito, la rsiposta di David Grossman:

Sono stato lieto di leggere la reazione, chiara e coraggiosa, di Hashem Saleh. È interessante notare che gli israeliani e i palestinesi non si "vedono" realmente l´un l´altro, in tutta la complessità insita nei due popoli. Ciascuno di loro vede invece nell´altro un´entità chiusa, opaca e monolitica, unidimensionale e ovviamente molto negativa, per cui ogni volta che si levano voci diverse, gli uni e gli altri appaiono sorpresi.
Disgraziatamente è nella natura di ogni conflitto molto prolungato, che - anche se alle origini vi sono una rivalità politica, territoriale o militare - dal momento in cui questo non trova soluzione, si cominci ad odiare il nemico con un odio razzista.
Questo è vero non soltanto nel caso degli israeliani nei confronti degli arabi, ma anche degli arabi verso Israele. La cosa ridicola è che, se parliamo di "razza", noi apparteniamo allo stesso ceppo: quello semita.
Perciò io appoggio la stesura di un accordo che disinneschi questi detonatori, di razza e di religione, trattandosi di due dimensioni totali, che negano totalmente l´"altro", particolarmente in periodi di conflitto. In assenza di una soluzione politica, la religione diventa sempre più fondamentalista e fanatica, e pretende una soluzione del "tutto o niente". In un approccio di questo tipo, vi è posto solo per una delle due parti, mentre l´altra deve a tutti i costi scomparire.
La voce di Hashem Saleh è, secondo me, una voce molto importante. Spero che anche in Israele venga ascoltata: la sua voce afferma che, in definitiva, i nostri veri alleati sono i moderati dell´altra parte. Sono i nostri partner nella lotta per non diventare tutti quanti ostaggi degli estremisti dei due popoli.
(testo raccolto da Mila Rathaus Sachs)

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