Aiuti per la ricostruzione, aiuti per preparare la prossima guerra le opposte strategie della Caritas e di Hezbollah in Libano
Testata: Avvenire Data: 29 novembre 2006 Pagina: 9 Autore: Paolo Lambruschi Titolo: «Libano , la sfida della Caritas: aiuti senza discriminazioni»
Un interessante articolo di Paolo Lambruschi , pubblicato da AVVENIRE del 29 novembre 2006 spiega l'uso politico fatto da Hezbollah degli aiuti alla ricostruzione:
Dalle rovine del vecchio carcere abbandonato di Khiaam si vedono le alture del Golan, occupate dal 1967 da Israele. Il Libano meridionale, terra di confine a maggioranza sciita, pattugliata dai militari dell'Unifil, è la roccaforte di Hezbollah, il partito di Dio nato nel 1983, filo-siriano e pagato da Teheran. Dal 1948 le valli dove scorre il fiume Litani sono state testimoni di sette conflitti. E dal 1983 al 2000 sono state occupate dalle truppe con la stella di David. Valli semi-distrutte l'estate scorsa dai bombardamenti dell'esercito israeliano contro Hezbollah. In villaggi come Bint Jbeil, Dibine, Sarada non sono stati risparmiati case, scuole, ospedali, fabbriche, moschee. A differenza di Beirut, dove i missili hanno colpito in modo quasi selettivo i quartieri sciiti nella parte sud, la distruzione è diffusa. Nei dieci villaggi attorno a Marjeyoun i monti sono infatti stati bucati da Hezbollah per creare basi militari e depositi di armi, le cantine sono state trasformate in bunker. Questo ha consentito ai militanti del Partito di Dio di resistere nei 33 giorni di bombardamenti incessanti e respingere le truppe israeliane da quasi tutti i villaggi proclamandosi vincitore della guerra. Ma le conseguenze sono drammatiche. A Khiaam, in un cratere, sono state trovate tracce di uranio impoverito. Sulle strade i cartelli del governo spiegano alla popolazione come sono fatte le mine e le micidiali bombe a grappolo, circa un milione secondo l'Onu, sparse dai bombardieri nei raid sulle campagne. I sentieri tra i migliori uliveti del Libano sono «chiusi per cluster bombs». «Le forze israeliane - sostiene un rapporto del 20 novembre scorso di Amnesty International - hanno compiuto attacchi sproporzionati e indiscriminati con uso massiccio contro zone civili di bombe a grappolo che hanno lasciato un'eredità letale, ancora oggi in grado di provocare morti tra la popolazione civile libanese». La maggior parte dei 1.300 caduti (un terzo erano bambini, secondo la Caritas) e i 3.500 feriti del conflitto si è avuta qui. Ma non ci sono cifre esatte, Hezbollah ha infatti steso una coltre di silenzio sulle vittime per non far fuggire la popolazione e indebolire la resistenza. In questo momento di grande fragilità del Paese, con la pace in pericolo dopo l'omicidio del leader maronita Pierre Gemayel, partire dalle valli del Sud aiuta a capire come la chiesa cattolica sta lavorando sul difficile campo della riconciliazione. Oggi Hezbollah cerca di vincere anche la pace. I partiti sciiti hanno iniziato a distribuire fondi per la ricostruzione e guadagnare consensi politici. La cifra stanziata dalla formazione sciita è 10mila dollari per ogni abitazione distrutta, con un aumento cospicuo se la famiglia ha fornito un martire alla causa. Il budget complessivo, sostiene il responsabile per la ricostruzione di Hezbollah, ammonta a 300 milioni di dollari provenienti dalla carità sciita, cioè da Teheran, che impone di versare il 20% del proprio reddito alla comunità. Questa somma va di norma solo ai fedeli sciiti, stavolta è stata fatta un'eccezione per i sostenitori del partito cristiano della Libera corrente patriottica del generale Michel Aoun, alleato di Hezbollah dallo scorso anno. Sul terreno umanitario si gioca dunque una sfida strategica. E la Caritas Libano, sostenuta dalla rete Caritas internazionale e da quella italiana, è impegnata su due fronti: attuare progetti universalmente indirizzati, per rafforzare i legami interreligiosi e rompere il monopolio di Hezbollah sulle coscienze; riattivare l'economia per trattenere le poche centinaia di famiglie cristiane rimaste nei villaggi del Sud, dove la vita è particolarmente difficile. La Caritas è intervenuta subito girando fin dal primo giorno di guerra per i villaggi e ha distribuito kit per spalare le macerie. «La nostre unità mobili - spiega Jeanine, 25 anni, insegnante maronita che ha dovuto lasciare la scuola elementare pubblica perché non musulmana - hanno girato subito per i villaggi. Offriamo sostegno medico e psicologico, perché i bombardamenti hanno lasciato il segno nei più deboli. Aiutiamo tutti, la maggior parte dei pazienti sono sciiti. Abbiamo finanziato la ricostruzione di dispensari distrutti, scuole e piccole infrastrutture». Più impegnativo il progetto di riabilitazione. Secondo l'Onu prima di due anni le campagne minate e bombardate non potranno tornare a produrre. Inoltre, per una legge del 1948, ai libanesi è proibito intrattenere rapporti con Israele. Dopo il ritiro israeliano nel 2000, gli abitanti sono considerati collaborazionisti per cui non possono ricoprire impieghi nella pubblica amministrazione. Così in questo momento la disoccupazione tocca il 70%. Poi c'è la discriminazione dei cristiani. Roger, 23 anni, è uno dei responsabili dei progetti della Caritas libanese. «Mio padre è dovuto fuggire perché Hezbollah l'ha condannato a morte accusandolo di collaborazionismo. Ora vive in Israele da clandestino e lavoro per mantenere mia madre e mia sorella di 14 anni». Roger segue i progetti per riattivare l'agricoltura e l'allevamento. «Chi non è musulmano resta ai margini. Ma questa è la mia terra e penso che se i giovani non scappano possiamo aprire prospettive nuove». Perciò Jeanine propone di investire sull'educazione alla pace. «Abbiamo un progetto che coinvolge i 2500 bambini dei 10 villaggi. Li facciamo conoscere, giocare insieme, cerchiamo di rompere barriere. Dobbiamo contrastare la cultura dell'odio che parte da scuola, quando hanno sei anni». Qui ci sono stati 3.500 kamikaze durante l'occupazione e a 13 anni è normale partecipare ai campi scout dei partiti sciiti, veri e propri corsi di addestramento militare. Almeno 10 generazioni di bambini di queste valli hanno visto la guerra. La sfida è che la prossima non debba spaventarsi quando sente un aereo sorvolare il Litani.
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