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La Stampa Rassegna Stampa
29.11.2006 Bush vuole una Nato impegnata contro il terrorismo
l'Iran vuole dettar legge in Iraq

Testata: La Stampa
Data: 29 novembre 2006
Pagina: 11
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La nuova Nato uno scudo contro i terroristi - Usa-Iran, dialogo a distanza»

Dalla STAMPA  del 29 novembre 2006, un articolo sulla ridefinizione dei compiti della Nato prospettata da Bush a Riga:

Combattere i terroristi totalitari dalla Spagna all’Indonesia, sostenere le giovani democrazie in Medio Oriente ed aiutare i bielorussi ad abbattere l’ultimo tiranno europeo: è questa la direzione di marcia che il presidente americano George W. Bush indica alla Nato per il XXI secolo parlando di fronte all’Università della Lettonia.
Arrivato a Riga per affrontare un summit condizionato dai dubbi di molti europei sui compiti globali della Nato e sull’aumento dell’impegno militare in Afghanistan, il capo della Casa Bianca affronta le difficoltà prendendo l’iniziativa. Il fine è di far capire a «scettici e pessimisti nel mio Paese ed in Europa» che, a dispetto della sconfitta subita dal suo partito nelle elezioni di Midterm, negli ultimi 24 mesi che gli restano alla Casa Bianca non rinuncerà a promuovere la «rivoluzione democratica globale» enunciata nel gennaio 2005. Da qui un discorso tutto all’offensiva.
Prima definisce l’Afghanistan «la missione più importante della Nato» per via del fatto che vede le truppe dei 26 membri e di 11 partner impegnate a sostegno di una «giovane democrazia» contro gli «estremisti islamici che vogliono imporre il totalitarismo dalla Spagna all’Indonesia». L’Afghanistan è il fronte sul quale l’Alleanza multilaterale nata contro l’Urss combatte i nemici del XXI secolo. La missione iniziata come risposta collettiva all’aggressione lanciata da Al Qaeda all’America l’11 settembre del 2001 costituisce per Bush la missione che consente di «proteggere i nostri cittadini, difendere le nostre libertà e mandare agli estremisti il messaggio che sarà la libertà a prevalere» oltre a cogliere a Kabul risultati come «il ritorno in patria di 4,6 milioni di profughi, la presenza nelle scuole di due milioni di ragazze e la celebrazione di libere elezioni».
Se la Nato ha consentito nel Novecento di «allargare il cerchio della libertà» all’intera Europa ora la sfida è «affidare al potere della libertà la possibilità di portare la pace ai popoli del Medio Oriente». Da qui l’appello ai leader alleati affinché non solo «facciano di più in Afghanistan» - togliendo i veti all’impiego di truppe nel Sud - ma si impegnino «a sostegno delle giovani democrazie da Baghdad a Beirut». È un’agenda tutta politica. «La guerra al terrore è più di un conflitto militare, i tratta della lotta ideologica decisiva del XXI secolo» dice il presidente, elencando i luoghi in cui si svolge: «In Libano dove gli assassini Pierre Gemayel vogliono destabilizzare la democrazia; in Siria dove il governo consente agli Hezbollah di armarsi; in Iran dove si arrestano i sindacalisti, si finanzia il terrorismo e si insegue l’atomica; nei Territori palestinesi dove gli estremisi tentano di bloccare la visione di due Stati democratici, Israele e Palestina».
È la descrizione di un impegno globale «contro il terrorismo ed a favore delle riforme» che Bush ritiene necessario perseguire assieme a partner non-europei come Australia e Giappone «che condividono i nostri valori e vogliono lavorare per la pace». In tale cornice la presenza delle truppe americane e di altri 18 alleati in Iraq è «un sostegno alla democrazia» soprattutto grazie al ruolo della Nato nell’addestramento delle forze di Baghdad e nella fornitura di mezzi «inclusi 77 carri armati ungheresi T-72».
Oltre a disegnare nel Grande Medio Oriente il nuovo orizzonte della Nato, Bush guarda agli appuntamenti che incombono sul fronte europeo: da un lato esprime sostegno all’adesione di Croazia, Macedonia, Albania, Georgia e anche Ucraina «quando le riforme democratiche saranno completate», e dall’altro c’è l’«appoggio al popolo della Bielorussia» affinché si liberi dall’«ultima tirannia» d’Europa. In concreto significa chiedere al primo summit atlantico che si svolge sul territorio dell’ex Urss di portare l’Alleanza lungo tutti i confini russi dal Mar Baltico al Caucaso ed al fine di scongiurare le prevedibili reazioni del Cremlino Bush aggiunge un rassicurante: «Bisogna rafforzare la cooperazione con la Russia».
Nella visione del presidente c’è continuità fra il completamento dell’allargamento ad Est e l’impegno in Medio Oriente: «Ogni nazione della Terra ha diritto alla libertà, dobbiamo condividere il sogno che un giorno non vi saranno più tirannie nel mondo intero».

Di seguito, un articolo sui colloqui tra Bush e Al Maliki e su quello tra Talabani e Khamenei. Un'importante notizia è sottolineata nel testo( da Informazione Corretta):

Rapporti con Iran e Siria, impegno contro le violenze e nuovo livello delle truppe Usa in Iraq sono i temi che George W. Bush si avvia a discutere con il premier Nuri al Maliki nel summit di Amman, dove il presidente Usa arriva in serata. Alla vigilia dell’incontro in Giordania a tastare il polso a Teheran è stato il presidente iracheno, Jalal Talabani, durante due successivi faccia a faccia con i leader iraniani Ali Khamenei e Mahmud Ahmadinejad. «La responsabilità del caos in Iraq è degli Usa» ha detto Khamenei a Talabani, indicando nel «ritiro delle truppe d’occupazione» e nel «passaggio di consegne agli iracheni» i primi passi verso la stabilità.
«L’occupazione dell’Iraq è un boccone che gli Stati Uniti non possono ingoiare» ha aggiunto la Guida Suprema della Repubblica Islamica, imputando le violenze «ai sostegni americani per gli ex sostenitori di Saddam». Nelle stesse ore al Maliki inviava al Consiglio di Sicurezza dell’Onu la richiesta di rinnovare per un anno il mandato per i 160 mila soldati della coalizione internazionale guidata dagli Usa ma il contrasto fra Teheran e Baghdad potrebbe essere solo apparente. «L’Iraq ed anche noi vogliamo il ritiro delle truppe ed il passaggo delle consegne - ha spiegato a Riga il consigliere per la sicurezza nazionale, Steven Hadley - bisogna però definire i passaggi in maniera da garantire la sicurezza e la stabilità della giovane democrazia».
L’ipotesi di un dialogo a distanza fra Teheran e Washington è avvalorato non solo dalla missione di Talabani ma anche da alcune dichiarazioni di Khamenei e Bush. «L’Iran assicura all’Iraq il sostegno religioso ed umanitario» ha detto Khamenei, rispondendo alla richiesta di Talabani di «aiutare la stabilizzazione». E da Tallinn, in Estonia, il presidente Usa ha detto di non avere nulla in contrario ai contatti fra Iraq e Iran «perché servono a far capire a Teheran che deve cessare le interferenze».
Fra queste vi sarebbe, per il «New York Times», anche l’addestramento fornito dagli Hezbollah alle milizie sciite dell’imam ribelle Moqtada al Sadr. «Da tempo sappiamo che l’Iran fa arrivare in Iraq munizioni per confezionare ordigni» ha aggiunto Hadley. Anche il rapporto di James Baker sull’Iraq suggerirà il coinvolgimento di Iran e Siria e toccherà a Bush ed al Maliki discuterne i dettagli nell’incontro in programma domani mattina.
Il capo della Casa Bianca vedrà prima, questa sera, il re giordano Abdallah per esaminare lo scenario da lui denunciato delle «tre contemporanee guerre civili» in Libano, Iraq e Territori palestinesi. Ma la Casa Bianca non condivide la definizione «guerra civile» per l’Iraq e Bush lo ha ribadito da Tallinn spiegando che «dietro i recenti attacchi in Iraq c’è la mano di Al Qaeda che punta a scatenare un conflitto inter-etnico». Lo stesso Bush ha ribadito poi da Riga l’intenzione di «non ritirare le truppe fino a missione compiuta» nonostante le pressioni dei leader democratici del Congresso che invocano «una rapida svolta» della strategia militare.

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