Bush incontra Maliki in Giordania contro l'egemonia regionale di Teheran
Testata: Il Foglio Data: 29 novembre 2006 Pagina: 4 Autore: Carlo Panella Titolo: «Vertice ad Amman»
Dal FOGLIO del 29 novembre 2006:
Roma. L’offensiva diplomatica di George W. Bush nei confronti dei teatri di crisi mediorientale culminerà con l’incontro con il premier sciita iracheno. In arrivo oggi ad Amman, il presidente americano vedrà Nouri al Maliki per dirimere le divergenze sulla gestione della crisi irachena, emerse nelle settimane precedenti le elezioni americane, poi aggravate dall’acuirsi dello scontro interconfessionale tra sciiti e sunniti che ha fatto negli ultimi giorni centinaia di vittime. Smentendo l’ipotesi di avvio di una “exit strategy”, Bush ha detto di volere aprire una nuova fase di impegno in Iraq: “Continueremo a essere flessibili e a fare i cambiamenti necessari per avere successo. La lotta in Iraq per una democrazia stabile è parte della decisiva battaglia ideologica del XXI secolo tra il terrorismo pieno di odio e le forze della libertà”. Il vertice di Amman è stato preceduto da un’incontro in videoconferenza tra Bush e Maliki il 28 ottobre scorso, originato da uno scontro tra il premier iracheno e l’ambasciatore americano a Baghdad Zalmay Khalilzad. Oggetto delle tensioni era la mancanza di iniziativa delle forze di sicurezza di Baghdad a fronte della violenza, poi addirittura sfociata in alcuni episodi oscuri, come il sequestro il 14 novembre di centinaia di dipendenti sunniti del ministero dell’Istruzione, a opera di agenti sciiti delle forze di sicurezza. Maliki, il 26 novembre, ha tenuto conto di queste critiche e ha ammesso per la prima volta che lo scontro in atto non è solo – come è sempre stato detto – conseguenza dell’iniziativa terroristica, ma che “le azioni terroristiche attuali sono un riflesso delle ideologie politiche, alcune delle quali presentano idee deviazionistiche”. Un modo diplomatico per dire che forze rappresentate dentro lo stesso governo fomentano la guerra civile. Mentre faceva questa ammissione, Maliki era affiancato dal vicepremier sunnita Tareq al Hashemi, che ha confermato che le due organizzazioni sunnite, il Fronte della concordia e il Partito islamico iracheno, “continuano a fare parte del governo in tutta onestà e sincerità”, ma ha anche aggiunto che “c’è la necessità di rivedere l’operato dell’esecutivo e trovare un nuovo accordo”. Bush e Maliki esamineranno anche i risultati degli incontri di due giorni che il presidente iracheno Jalal Talabani ha avuto a Teheran con Mahmoud Ahmadinejad e con l’ayatollah Khamenei. Incontro che Bush ha commentato ieri, dicendo di non avere nulla in contrario al fatto che l’Iraq intessa buone relazioni con i suoi vicini. Oltre all’impegno degli Stati Uniti e dell’Iraq per stabilire un raccordo con le forze sunnite esterne al governo di Baghdad (ad Amman è aperto da un “tavolo” di trattative a cui partecipano anche organizzazioni sunnite terroristiche), la nuova iniziativa congiunta che Bush e al Maliki intraprenderanno si svilupperà su due fronti. Sul piano diplomatico, Washington dà segno di vedere favorevolmente il dialogo del governo iracheno sia con la Siria che con l’Iran. Non la trattativa diretta di vertice tra America, Damasco e Teheran, auspicata dalla commissione Baker, ma contatti condotti imperniati sul governo iracheno. Il 7 dicembre è previsto un forum a Riad tra i paesi disposti a sostenere economicamente l’Iraq, inclusi Iran e Siria, a cui gli Stati Uniti probabilmente parteciperanno, a livello tecnico-diplomatico. Sul piano politico, il centro della nuova strategia dovrà essere un nuovo rapporto con Moqtada al Sadr – che ha minacciato di ritirare dal governo i suoi ministri se Bush e Maliki si incontreranno – il quale, dopo l’attentato al mausoleo sciita di Samarra del 22 febbraio, ha scatenato le sue milizie nella spirale dei massacri tra sciiti e sunniti. Le accuse di “deviazionismo” lanciate da Maliki nei confronti di forze governative erano contro di lui.
L’attentato sul confine tra Siria e Libano Non sarà semplice sciogliere questo nodo; con tutta evidenza infatti si stanno scaricando sugli sciiti iracheni le tensioni che si manifestano tra gli ayatollah iraniani. Il prossimo 15 dicembre si terranno a Teheran le elezioni per il rinnovo del Consiglio dei guardiani e le forze riformiste e quelle rivoluzionarie vivono la scadenza come determinante per risolvere definitivamente i rapporti tra di loro, giocando anche le carte dei loro alleati in Iraq. Il New York Times riporta fonti dell’intelligence americana che rivelano che Hezbollah libanese, su mandato di Teheran, ha addestrato duemila guerriglieri iracheni, a partire da quelli di Moqtada (un attentato con un morto, sunnita, vi è stato oggi a Jadayet Yabus, principale valico sul confine libano-siriano). E’ già iniziato, poi, il posizionamento dei candidati per la successione all’anziano ayatollah iracheno al Sistani, indipendente nei confronti degli ordini di Teheran. Moqtada Sadr – e i suoi padrini iraniani – hanno un candidato, l’estremista Kadum al Hairi, mentre il leader dello Sciri iracheno Abdulaziz al Hakim, alleato con i riformisti iraniani e in buoni rapporti con gli Stati Uniti, parteggia per Khaled al Hakim, suo zio.
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