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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.11.2006 Storie di musulmani del Nordafrica che salvarono ebrei dalla Shoah
una ricerca storica di Robert Satloff svela episodi dimenticati

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 novembre 2006
Pagina: 39
Autore: la redazione
Titolo: «I giusti d'Arabia»

Il CORRIERE della SERA del 28 novembre 2006 pubblica un articolo (non firmato, per uno sciopero dei giornalisti) su un libro  di Robert Satloff,direttore dell'Istituto del Medio Oriente, dedicato alla persecuzione degli ebrei nei Paesi arabi durante la seconda guerra mondiale e in particolare alle storie di musulmani del Nord Africa che salvarono ebrei.

Dell'emergere di queste vicende qualcuno già cerca di fare un uso ideologico e strumentale,  per far dimenticare l'alleanza tra nazionalismi arabi e nazismo e la realtà dell'antisemitismo islamico (vedi la critica a un editoriale di Barbara Spinelli, visibile a  questo link ).

Di per sé, invece, è un fatto molto positivo che venga fatta luce su questi episodi sconosciuti.

Perché ci fa conoscere atti di umanità e di giustizia che non devono essere dimenticati,  perché rafforza la speranza di una possibile convivenza pacifica tra arabi ed ebrei, perché smaschera il negazionismo dei regimi arabi e islamici.
 E anche perchè smantella la leggenda ideologica dell'estraneità del mondo arabo allo Sterminio nazista degli ebrei, che in realtà coinvolse anche le  regioni del Nord Africa, trovandovi  oppositori, ma anche, come Satloff documenta, complici.

Ecco il testo:


WASHINGTON — Robert Satloff, direttore dell'Istituto del Medio Oriente, ha dedicato quattro anni di ricerche a un capitolo inedito dell'Olocausto, la persecuzione degli ebrei nei Paesi arabi durante la seconda guerra mondiale, sotto l'occupazione tedesca, francese e italiana. A causa dell'omertà dietro cui, dalla costituzione dello Stato di Israele, i Paesi arabi nascondono queste pagine, Satloff non ha potuto identificare il «Wallenberg musulmano» di cui si sussurrò allora, un diplomatico egiziano che — come l'eroico diplomatico svedese in Ungheria — salvò centinaia di ebrei fornendo loro falsi certificati di nascita o di matrimonio e facendoli fuggire dal Cairo a Londra quando pareva che i tedeschi potessero irrompere nella valle del Nilo. Ma lo storico ha accertato che non tutti gli arabi furono complici o spettatori compiaciuti dell'Olocausto, e che, al contrario, molti rischiarono la vita per proteggere gli ebrei. Ne ha tratto un libro avvincente,
Tra i giusti. Storie perdute dell'Olocausto in terra araba, che spera possa indurre il Medio Oriente a rivisitarne la vicenda. Oggi gli arabi, rileva Satloff, «o negano o minimizzano l'Olocausto in odio a Israele, ma esso fa parte della loro storia, e possono ricordarlo non soltanto con vergogna, ma anche con orgoglio».
Racconta Satloff che dal giugno del '40 al maggio del '43, che segnò la definitiva sconfitta dell'Asse in Nord Africa, «il mezzo milione circa di ebrei che vivevano tra Casablanca e il Cairo rischiarono di cadere vittime della cosiddetta soluzione finale di Hitler», sebbene non esistessero campi di sterminio veri e propri. Le forze naziste, fasciste, e del regime collaborazionista francese di Vichy, li privarono delle proprietà e della libertà, ne rinchiusero oltre diecimila nei campi di concentramento, li inviarono in massa ai lavori forzati e ne mandarono altri in Europa. A Tunisi, occupata per mesi dai tedeschi, partecipò alle operazioni il colonnello delle SS Walter Rauff, inventore delle camere a gas, che avrebbe operato più tardi in Italia. Le esecuzioni, le torture e gli stenti fecero quasi cinquemila morti, in prevalenza nei territori francesi, l'Algeria, il Marocco e la Tunisia, ma anche in Libia e in Egitto. «Sarebbero stati molti di più — commenta Satloff — se non fossero giunti gli alleati. I primi lager al mondo liberati furono quelli algerini».
Lo storico non cela le colpe degli arabi: «I collaborazionisti si trovavano ovunque, funzionari di corte, interpreti che conducevano le SS dagli ebrei, militari corrotti, guardie sadiche». Ne rievoca anzi le atrocità nel triste racconto di Harry Alexander, un sopravvissuto all'orrendo campo di Djelfa, nel deserto algerino: «Nessuno ordinava agli aguzzini arabi di appenderci a un palo nudi a testa in giù, per torturarci giorno e notte, di seppellirci fino al collo nella sabbia per urinare su di noi. Erano loro iniziative, e ne gioivano». Ma lo storico sottolinea che «ci furono arabi che avvertirono gli ebrei delle imminenti retate tedesche, li accolsero nelle loro case, condivisero con loro le magre razioni quotidiane, ne custodirono i beni affinché non venissero confiscati».
Arabi di tutte le classi sociali, dai commercianti ai governanti, agli imam. Satloff elogia il sultano del Marocco e il bey di Tunisi, e ricorda che nelle moschee di Algeri il venerdì «veniva raccomandato ai fedeli di non prestarsi alla persecuzione degli ebrei».
Tra i giusti elenca atti di eroismo delle popolazioni locali. A Tunisi, Si Ali Sakat, un ricco agricoltore, nascose in cantina fino all'arrivo degli alleati 60 ebrei fuggiti da un campo di concentramento. A Mahdia, Khaled Abdelwahhab, un notabile cittadino, radunò le famiglie ebree e le mise in salvo in un possedimento di campagna. Alla vigilia della liberazione di Algeri nell'operazione Torch del novembre del '42, arabi e berberi si batterono con i partigiani ebrei nei punti chiave della città. Il libro riferisce che talora gli ebrei furono protetti persino dalle guardie e dai detenuti arabi dei campi: «Si verificarono casi in cui le prime li lasciarono fuggire, sparando per aria. E casi in cui i secondi procurarono loro da mangiare e da vestire». Satloff evidenzia che anche qualche leader religioso arabo in Europa si adoperò per i perseguitati: alla grande moschea di Parigi uno di loro, Si Kaddour Benghabrit, «consegnò a un centinaio di ebrei un attestato di fede islamica», sottraendoli così all'arresto e alla deportazione, finché nell'ottobre del '40 il regime di Vichy non se ne rese conto e gli ordinò di cessare «ogni attività illegale», pena la condanna a morte.
Secondo lo storico, grazie all'assistenza delle autorità nazionali, anche in altri Stati musulmani costieri del Mediterraneo l'Olocausto non raggiunse le proporzioni che ebbe in Paesi europei come la Grecia, dove si calcola che perirono l'80-90 per cento degli ebrei. Mentre il gran muftì di Gerusalemme, Haj Amin al Husseini, si asservì a Hitler, in Turchia il coraggioso primo ministro Muhammad Chenik riuscì a impedire l'internamento di molti ebrei, soprattutto bambini. Satloff nota che tra i 19 mila stranieri onorati da Israele per la loro resistenza all'Olocausto figurano musulmani turchi, bosniaci e albanesi. E polemizza sulla totale assenza di arabi, «dovuta al secco rifiuto dei loro governi di fare luce su questo capitolo nascosto», mentre oggi più che mai, conclude lo storico, «sarebbe necessario che la gioventù araba apprendesse della Shoah nelle scuole». Ciò è però vietato. «In Palestina — scrive Satloff — il sito web di Hamas la dipinge come "una storia inventata". E in Libano, Hezbollah la considera "una leggenda ebraica"».
Le comunità ebree in Marocco e in Tunisia sono ora il 2 per cento di quelle del '40, e in Algeria l'uno per cento. Lo studioso è convinto che la rivisitazione dell'Olocausto da parte dei Paesi musulmani le aiuterebbe, contribuirebbe a migliorare i rapporti tra arabi e israeliani in grande parte del Medio Oriente, e che in prospettiva sfocerebbe nel riconoscimento dello Stato di Israele. Deplora che di tutti i campi di sterminio in Europa, soltanto uno, quello di Auschwitz, sia mai stato visitato da una delegazione congiunta arabo-israeliana, nel 2003. E che sui registri dei visitatori del Museo dell'Olocausto a Washington figuri un unico leader arabo «un principe di uno Stato del Golfo Persico».
Il Corano e il Talmud, termina lo studioso americano, hanno un insegnamento comune, che salvare una vita umana è come salvare il mondo. Gli orrori dell'Olocausto e gli eroismi, per quanto individuali, degli arabi che vi si opposero, «sono una lezione che dovrebbe indurre i popoli a passare dalla guerra alla pace e dalla ostilità alla collaborazione».

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