Trattare con la Siria? A precise condizioni. Forza internazionale a Gaza? Se combatte il terrorismo il vero Dani Yatom non dà la colpa a Israele
Testata: Europa Data: 28 novembre 2006 Pagina: 2 Autore: Maurizio Debanne Titolo: ««Negoziare con Damasco, direbbe Rabin». Parla il laburista Yatom, ex-capo Mossad»
L'uso che il quotidiano della Margherita EUROPA cerca di fare (com'è evidente dalla titolazione: «Negoziare con Damasco, direbbe Rabin». Parla il laburista Yatom, ex-capo Mossad, «Spero che presto si arrivi ad un incontro tra Olmert e Abu Mazen. Per troppo tempo Israele ha adottato solo la politica della forza. Ora è importante riprendere i contatti con la Siria». Intervista al parlamentare legato a Ehud Barack.) dell'intervista rilasciata a Maurizio Debanne da Dani Yatom, ovvero sostenere la linea del "dialogo" incondizionato con la Siria e con l'Autorità palestinese come panacea dei problemi mediorientali, e la politica estera del governo Prodi, accreditando l'idea che il ricorso "alla forza" da parte di Israele sia all'origine della crisi mediorentale, è smentita dalle parole del parlamentare laburista.
Nel testo, abbiamo sottolineato i passaggi nel quale Yatom si dice d'accordo con le condizioni poste alla Siria dal governo Olmert, valuta irrealistico il piano franco-italo-spagnolo e segnala i rischi che comporterebbe una forza internazionale stanziata a Gaza senza un chiaro mandato per combattere il terrorismo:
Il generale Dani Yatom ha speso una vita per la difesa di Israele. In particolare come capo del Mossad (servizio segreto israeliano) dal 1996 al 1998 e come consigliere militare dell’ex premier Ehud Barak. Oggi siede nelle fila del Partito laburista sui banchi della Knesset. Da questo “campo” si batte adesso per la pace in Medio Oriente. Lui è uno dei cinque deputati laburisti (su 19) che si sono opposti pubblicamente per impedire l'ingresso di Avigdor Lieberman, leader del partito russofono Yisrael Beiteinu (Israele casa nostra), nel governo di coalizione guidato da Ehud Olmert. «Nessuna minaccia, nemmeno quella iraniana, può giustificare l’ingresso di un partito di estrema destra nel governo. Mi chiedo cosa penserebbe del Labour Rabin se fosse ancora fra noi», sbottò Yatom nella tempestosa riunione interna del partito in cui si diede semaforo verde all’entrata di Lieberman. Alla fine ha dovuto ingoiare il rospo, ma non ha smesso di far sentire la sua voce. «Per molti mesi ho insistito per il rilancio dei colloqui tra Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen e per il raggiungimento di un cessate il fuoco », dice Yatom in un’intervista a Europa. «Queste sono le condizioni minime – aggiunge – per la cessazione generale della violenza e per arrivare al rilascio del caporale Shalit (rapito in un agguato sferrato dalle Brigate Ezzedin al Qassam, braccio armato di Hamas, lo scorso 25 giugno, ndr.) e alla liberazione di 250 palestinesi». Domenica, finalmente, è stato raggiunto un accordo per una tregua. Meglio tardi che mai. Anche se questa tregua non è proprio delle migliori, vista la sua violazione di queste ore, bisogna essere ottimisti. Spero che presto si arrivi ad un incontro tra Olmert e Abu Mazen. Per troppo tempo Israele ha adottato solo la politica della forza per sconfiggere il terrorismo di Hezbollah e il lancio dei razzi kassam da parte di Hamas. Ma il terrore non è possibile sconfiggerlo solo attraverso operazioni militari. Il tempo poi non gioca a favore di Israele. Più il tempo passa e più la minaccia iraniana continua a crescere. Col passare dei mesi gli americani saranno costretti a concentrare i loro sforzi sull’Iraq con il rischio che il conflitto israelo-palestinese passi in secondo piano. Bisogna, dunque, capitalizzare al meglio le opportunità presenti i questo momento sul tappeto. Cosa suggerisce? Semplice, il rilancio del dialogo. Penso ad esempio che Israele debba riprendere i contatti con Damasco. Il presidente siriano Bashar al Assad ha chiesto più volte nell’ultimo anno una ripresa dei negoziati con Israele. Giustamente il governo israeliano pone le seguenti condizioni: rimozione delle strutture terroristiche, la fine di ogni contatto con la milizia sciita libanese Hezbollah e l’eliminazione dell’alleanza strategica con l’Iran. Tutte richieste legittime che non credo Bashar al Assad sia in grado però adesso di soddisfare. Nonostante questo non ci si può rassegnare all’immobilismo. Il primo passo da compiere è mettere chiaramente sul tavolo le nostre tre richieste. Assad avrebbe molti vantaggi nell’accettarle. Da un lato la Siria, in piena crisi economica, potrebbe finalmente giovarsi degli aiuti internazionali dell’Occidente e dall’altro entrerebbe certamente in un serio percorso di negoziato con Israele per arrivare a una pace definitiva. In questo contesto come s’inquadra la questione palestinese? In altre parole, secondo lei Israele deve prima risolvere il contenzioso con la Siria e dopo quello con i palestinesi, o viceversa, o ancora trattare con entrambi allo stesso momento? La via migliore l’hanno tracciata Rabin e Barak: parlare con tutti contemporaneamente. Si deve procedere parallelamente. Anche con i palestinesi il discorso è pressoché identico a quello con i siriani. Non esistono ancora al momento le condizioni per un negoziato sul final status. Stabilizziamo prima il cessate il fuoco, il secondo passo si realizzerà solo con il rilascio dei prigionieri. Dopodiché se il futuro governo di unità palestinese accetterà le tre condizioni poste dal Quartetto (riconoscimento di Israele, accettazione dei trattati precedentemente stipulati dall’Anp e cessazione della violenza, ndr.) potremmo cominciare a trattare. Che idea si è fatto sul piano di pace promosso da Italia, Francia e Spagna. Non credo che allo stato attuale possiamo andare oltre un cessate il fuoco. Tuttavia ho riscontrato in questo piano un elemento che potremmo prendere in considerazione. Mi riferisco al dispiegamento di una forza internazionale nella striscia di Gaza che, a mio avviso, non dovrebbe prendere posizione solo sul confine tra la striscia e Israele ma anche tra questa e l’Egitto. Attenzione però. Se l’idea ispiratrice o meglio ancora lo spirito alla base di questa iniziativa fosse quello di difendere i palestinesi dagli attacchi israeliani io la boccerei senza appello. Se sarà una forza neutrale, se eviterà attacchi terroristici e contribuirà al mantenimento di un clima di stabilità nell’area, sarò il primo a prendere in esame seriamente la cosa.
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