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Il Foglio Rassegna Stampa
28.11.2006 Torna il piano di pace di Sharon, con una nuova apertura all'Arabia Saudita
analisi del discorso di Olmert

Testata: Il Foglio
Data: 28 novembre 2006
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Olmert rilancia il piano di pace di Sharon e apre ai sauditi»
Dal FOGLIO del 27 novembre 2006:

Gerusalemme. Il premier israeliano, Ehud Olmert, ieri ha tenuto un discorso, sulla tomba di Ben Gurion, definito “importante e drammatico”. A due giorni dalla tregua siglata con il rais palestinese, Abu Mazen – con i razzi che continuano a cadere su Sderot, i cui abitanti si sentono abbandonati, e un raid in Cisgiordania contro presunti terroristi che ha fatto due morti – e in attesa dell’arrivo in Giordania di George W. Bush e Condoleezza Rice, mercoledì – fonti non ufficiali ieri annunciavano un possibile incontro tra Abu Mazen, Rice e il premier israeliano – Olmert ha rilanciato il processo di pace, ribadendo l’appoggio al rais e il piano di concessione territoriale su cui si basa l’identità politica sua, del suo partito Kadima e del governo. “Tendo la mia mano in pace ai nostri vicini palestinesi, con la speranza che non sarà lasciata vuota”, ha detto il premier. Le circostanze, dopo mesi di incertezza e guerra su due fronti, dal Libano e da Gaza, hanno creato l’opportunità di “fare passi coraggiosi che comprendono compromessi dolorosi”, ma è l’unico modo per “cominciare un nuovo capitolo che dà la speranza di una vita migliore per tutti noi”. Le parole sono quelle che usò Ariel Sharon quando stava cominciando il ritiro dalla Striscia di Gaza: “Concessioni dolorose”. Ma ieri Olmert in più ha chiesto serietà ai palestinesi, perché il processo di pace si fa se la violenza finisce: “Dovete smetterla con il terrorismo e con il desiderio di fare del male ai cittadini israeliani del sud, del nord e del centro. Dovete riconoscere il nostro diritto a vivere in pace accanto a voi e abbandonare la vostre richieste per il diritto al ritorno dei rifugiati”. Se i palestinesi rifiuteranno “l’estremismo senza compromessi delle vostre organizzazioni terroriste”, si potrà arrivare all’obiettivo di entrambe le parti: “Pace, calma e fiducia reciproca”. In linea con la road map, i palestinesi potranno stabilire uno stato indipendente e sovrano, contiguo ai territori della Cisgiordania, e i confini di Israele “saranno diversi dalle terre che oggi sono sotto il controllo” del governo di Gerusalemme. Il presupposto per i negoziati è la fine delle violenze e anche la restituzione del caporale Gilad Shalit, rapito il 25 giugno in un’incursione dalla Striscia di Gaza in territorio israeliano e mai più rilasciato: se Shalit sarà liberato, Olmert ha detto che “potranno essere rilasciati molti prigionieri palestinesi, inclusi coloro che sono detenuti con condanne di lungo termine”. Allo stesso modo i checkpoint saranno ridotti, sarà aumentata la libertà di movimento e l’ingresso di beni e, per evitare il collasso finanziario, il governo israeliano è disposto a ridistribuire i ricavi delle tasse congelati dalla vittoria di Hamas di gennaio. Per il premier israeliano il coinvolgimento dei paesi della regione è fondamentale: Arabia Saudita, Egitto, Giordania e i paesi del Golfo Persico possono giocare un “ruolo di sostegno importante” per i negoziati di pace. “Per la prima volta”, sottolinea il Jerusalem Post, Olmert ha riservato un commento positivo all’iniziativa saudita del 2002, impegnandosi a migliorare i rapporti con vicini, a partire dal regno di Riad. Questo riferimento rientra nel piano strategico americano: il vicepresidente Dick Cheney è rientrato domenica da una visita in Arabia saudita durante la quale ha chiesto un approccio congiunto del re sulla questione palestinese e sul coinvolgimento dei sunniti nel processo di stabilizzazione in Iraq. Domani arrivano ad Amman il presidente Bush e il segretario di stato Rice proprio per discutere dell’appoggio sunnita alla strategia nella regione, in particolare aprendo un dialogo col premier iracheno sciita, Nouri al Maliki. Re Abdallah di Giordania ha detto che teme lo scoppio di tre guerre civili – in Iraq, Libano e Palestina – se la comunità internazionale non agisce in fretta. Bush vuole che siano i paesi della regione a gestire il processo, con l’obiettivo di evitare che l’asse sciita negazionista di Teheran abbia il sopravvento.

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