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Il Manifesto Rassegna Stampa
28.11.2006 Olmert è cattivo anche quando parla di pace
per il quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 28 novembre 2006
Pagina: 4
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Tregua in bilico, e Olmert «apre»»

L'analista israeliano Efraim Imbar pensa che Olmert intenda mantenere la linea dei ritiri unilaterali, non credendo all'esistenza di un interlocutore  in campo palestinese.

Una sfliza di analisti arabi pensano che le dichiarazioni del premier israeliano siano insincere e che lui non voglia fare vere "concessioni" ai palestinesi.

Per "concessioni"  si intende un cedimento a tutte le richieste palestinesi, comprese quelle che mettono a repentaglio l'esistenza di Israele (il rientro dei profughi)

Sono evidentemente punti di vista molto distanti, ma Michele Giorgio sul MANIFESTO del 28 novembre 2006 li mette insieme per ottenere un unico obiettivo: dimostrare che Olmert è "cattivo" anche quando fa ai palestinesi proposte politiche in vista della pace.

Ecco il testo:  
 

George Bush sta per arrivare in Medio Oriente e prontamente il tono di Ehud Olmert diventa più morbido, conciliante, proprio come accaduto prima della partenza del premier israeliano per Washington qualche settimana fa. «Ai palestinesi tendo la mano nella speranza che non sia respinta», ha detto ieri Olmert, nel suo discorso nel kibbutz Sdeh Boker durante le commemorazioni di David Ben Gurion. Israele, ha affermato, è pronto ad aprire una nuova pagina: «Se sorgerà presso i palestinesi un nuovo governo che sia impegnato ai principi fissati dal Quartetto, che sia disposto a realizzare la road map e a rilasciare il caporale israeliano Ghilad Shalit, io proporrò ad Abu Mazen di incontrarci per condurre un dialogo aperto, serio e vero tra noi e voi».
Un negoziato prenderà il posto dell'unilateralismo portato avanti da Israele negli ultimi anni? Pochi ci credono, israeliani in testa. «Non siamo di fronte ad una svolta ma a dichiarazioni simboliche che non annunciano un cambiamento profondo», ha detto al manifesto Ephaim Imbar, direttore del «Centro studi strategici Begin-Sadat» dell'universita' Bar Ilan (Tel Aviv) che pure non è un istituto progressista ma vicino al centrodestra, ovvero a Olmert. «Dietro le parole del primo ministro c'è anche l'intenzione di creare un clima favorevole alla visita di George Bush nella regione», ha aggiunto Imbar, riferendosi all'arrivo a metà settimana del presidente americano ad Amman dove vedrà il premier iracheno Nuri al-Maliki e, si dice, anche il rais palestinese Abu Mazen (ieri sera in partenza per la Giordania). «Il piano di Olmert è quello che il premier ha illustrato durante la campagna elettorale» ha concluso Imbar, «ovvero un ritiro unilaterale da porzioni della Cisgiordania sul modello di ciò che è avvenuto a Gaza nel 2005».
Per l'analista palestinese Ghassan Khatib «bisogna tener presente che c'è sempre un ampio gap tra ciò che i leader israeliani affermano e ciò che fanno sul terreno. Temo una iniziativa mediatica da parte di Olmert che sta cercando di ricostruire la sua immagine dopo l'insuccesso dell'offensiva contro gli Hezbollah in Libano e il fallito tentativo di bloccare il lancio di razzi da Gaza verso Sderot». Nabil Abu Rudeinah, il portavoce di Abu Mazen, da parte sua ha detto «dopo le parole sono necessario gli atti» e ha ribadito che una eventuale ripresa dei negoziati non potrà che avvenire sulla base delle risoluzioni internazionali.
Anche il mondo arabo ha commentato il discorso di Olmert. Mohamed Sayed Said, vice direttore del «Centro di studi strategici al Ahram» del Cairo, ha parlato di un «inizio di qualcosa di cui tener conto ma non sufficiente, perché Olmert ha evitato le questioni spinose come quella del diritto al ritorno dei profughi palestinesi e lo status di Gerusalemme». Secondo Said, le parole del premier israeliano sono in realtà una risposta alle dichiarazioni di Khaled Meshaal, il leader di Hamas, che sabato al Cairo mettendo in guardia la comunità internazionale dal pericolo di una terza Intifada, allo stesso tempo si è detto pronto alla pace.

Meshal non si è mai detto "pronto alla pace". In tutte le sue dichiarazioni pubbliche ha sempre tenuto fermo il "principio" dell'illegittimità dell'esistenza di Israele.
Nell'ultima, ha semplicemente chiesto la creazione entro sei mesi di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, con capitale Gersalemme Est e il rientro dei "profughi " , minacciando in caso contrario una nuova offensiva terroristica (soltanto in senso mafioso si può sostenere che avrebbe "messo in guardia" dal pericolo di tale offensiva, chamata "intifada", dato che è lui a controllare, insieme ai capi degli altri gruppi, le leve del terrore)


 Per Dia Rashwan, esperto egiziano di affari islamici, Olmert ha due obiettivi, dividere i ranghi palestinesi e presentarsi davanti al mondo come l'uomo di pace. «Le dichiarazioni di Olmert - ha detto - non sono che una tattica per cambiare il governo palestinese e fare negoziati che non porteranno a nulla. In una seconda fase Olmert rifiuterà concessioni sulle questioni più complesse».
Sul terreno intanto la tregua rimane fragile, violata ieri mattina dagli israeliani e nel pomeriggio dai palestinesi. A Kabatya, in Cisgiordania, soldati israeliani hanno ucciso un comandante locale dei Comitati di resistenza popolare, Abdul Razek Abu Baker, 22 anni, ed una donna che aveva cercato di soccorrerlo, Fatima Nazal, 53 anni. Qualche ora dopo le Brigate dei martiri di al-Aqsa (al Fatah) hanno sparato due razzi in direzione della città israeliana di Sderot, senza provocare vittime. Il portavoce del governo palestinese, Ghazi Hammad, ha detto che malgrado i lanci di razzi e gli attacchi israeliani, resta fermo l'impegno a rispettare la tregua che non è stata ancora estesa pienamente alla Cisgiordania così come chiedono i palestinesi.

La tregua non è stata estesa alla Cisgiordania perché i terroristi non hanno mai proposto di sospendere le loro operazioni da quel  territorio.
Inoltre, è Israele ad aver  fermato la sua risposta al lancio di razzi kassam.
Non ha senso scrivere che i palestinesi mantengono l'impegno alla tregua
  "malgrado i lanci di razzi", che sono effettuati da loro, o al limite da coloro che hanno la responsabilità di fermare in base ai termini della tregua. 


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