Sotto il fuoco dei terroristi palestinesi reportage da Sderot
Testata: La Repubblica Data: 27 novembre 2006 Pagina: 16 Autore: la redazione Titolo: «La gente di Sderot non ha speranza»
Dalla REPUBBLICA del 27 novembre 2006, un reportage da Sderot:
SDEROT - Michaela, una scout di 18 anni, da sei mesi volontaria della Protezione civile, alza il dito al cielo e grida con la voce strozzata: «Eccolo, sta arrivando». Guardiamo in alto anche noi, confusi e allarmati. Michaela ci strattona. Ora ha la voce dura. Ordina: «Abbiamo 18 secondi, anzi adesso solo 14, dobbiamo cercare riparo». Gli altoparlanti ripetono in modo ossessivo: « Colore rosso, colore rosso». Siamo davanti ad un incrocio. Di fronte c´è un parco. Prati, qualche albero. Nessuna protezione. Corriamo, lo sguardo rivolto verso ovest, verso la Striscia di Gaza, sette chilometri in linea d´aria. Non resta che buttarsi a terra, le mani incrociate sopra la testa. Il botto del Qassam è forte. Un boato secco che scuote il terreno attorno. Seguono altre esplosioni. Due, tre, in rapida successione: ieri è entrata in vigore la tregua fra israeliani e palestinesi. Nonostante questo, tre razzi sono caduti su Sderot, la cittadina israeliana che in questi mesi è stata oggetto di centinaia di lanci di missili da parte palestinese. I lanci di ieri, nonostante il numero ridotto rispetto a alle scorse settimane, hanno riacceso la rabbia della gente, che non crede alla tregua e vorrebbe misure più severe contro i palestinesi. Dieci minuti di silenzio quasi assoluto seguono l´arrivo dei missili. Poi, come dei lamenti, iniziano le grida. Di sfogo, di pianto, di rabbia, di rivolta. Un uomo alza il pugno verso il cielo. Una donna urla una serie di invettive delle quali riusciamo a capire solo il nome Peretz. Amir Peretz, ministro della Difesa. Nessuno ha più voglia di tornare a casa, in ufficio, nelle fabbriche che hanno reso famoso questo paesotto, descritto come una sorta di Eldorado per attirare nel 1990 l´ondata di emigranti ebrei dall´Urss in sfacelo e oggi trasformato nell´avamposto della guerra con i palestinesi di Gaza. Cinque mesi di incursioni nella Striscia per riprendersi il caporale Shalit Gilad hanno provocato il lancio di 1300 razzi Qassam. Tubi di ferro e acciaio lunghi due metri con una testata di due chili di esplosivo. Oltre 800 sono piovuti su questi prati, case, scuole, fabbriche, ristoranti, bar, negozi, centri commerciali. Di giorno e di notte. La gente è esasperata. Lo vediamo anche adesso. Le auto sono lasciate un mezzo alla strada, gli studenti non entrano in classe. Mamme trafelate accorrono, uomini e donne si radunano per un corteo spontaneo. La rabbia non è più contro i palestinesi. Si concentra sul ministro Peretz. Il quale, oltre ad essere accusato di aver gestito male la guerra con Hezbollah e ora con Hamas, ha il torto (e la sfortuna) di essere nato proprio qui. Per lunghe settimane non si è fatto vedere. Ma quando il sindaco Moyal si è salvato per un soffio lanciandosi dentro il suo garage, il premier Olmert e i colleghi del Labour lo hanno invitato a fare almeno un atto di presenza. Il ministro della Difesa si è fatto coraggio, ha partecipato ad un´assemblea pubblica, si è fatto strapazzare dai cittadini furibondi, ha promesso interventi, misure, protezioni concrete. E per dimostrare che rischiava in prima persona, si è imposto di andare tutte le sere a dormire nella sua casa di Sderot. La sua scorta lo ha sconsigliato vivamente. Ma lui, ostinato, investito sempre più da una bufera che ora rischia di mettere in crisi il già debole gabinetto di Olmert, ha insistito. Ogni sera macinava una sessantina di chilometri e ogni mattina si presentava nel bar del centro per consumare pubblicamente la sua colazione. Ha provato sulla sua pelle che cosa significa vivere sotto l´incubo dei Qassam. Un razzo si è schiantato davanti alla sua casa. Lui se l´è cavata con una grande paura; due delle sue guardie del corpo sono rimaste gravemente ferite. Una ha perso entrambe le gambe. Le promesse sono rimaste semplici impegni e i missili sono continuati a piovere. Per questo adesso la gente si raduna, sfila, lancia slogan durissimi contro il governo, invoca le dimissioni del ministro concittadino, trascina, nei sondaggi, lo stesso Olmert, al terzo posto nelle preferenze di voto. «Loro», ci sibila con rabbia Abrham, un ucraino emigrato qui alla fine degli anni 80, «se ne fregano. Ci chiedono pazienza, coraggio e ci promettono tante cose che poi non rispettano. Parlano di scudi, di sensori, di missili anti razzo. Il risultato lo vede anche lei: è diventata una città deserta. Sono fuggiti tutti». Tremila, su 25 mila, si sono rifugiati a Eliat, sul Mar Rosso, ospiti del magnate russo Arkady Gaydamak, oggi considerato quasi un eroe. Sheila, impiegata in una società informatica, ci racconta che prima, un anno fa, Sderot, era l´icona della felicità. Negozi affollati, gente sempre per strada, ristoranti pieni, parchi giochi invasi dai bambini. «Ora restano tutti tappati in casa, lo sguardo rivolto al soffitto quando gracchia l´allarme degli altoparlanti». Passa un´ora. Arriva la polizia. Placa la rabbia, soccorre chi si è sentito male, accompagna nei rifugi i più anziani. Gli studenti delle elementari restano protetti sotto lo scudo in cemento armato costruito un mese fa davanti alla scuola Etti Avraham. Aspettano i blindati dell´esercito per tornare a casa. «Forse», azzarda qualcuno, «abbiamo un paio d´ore di tempo». Troppe. Risuona l´allarme. Un altro missile, il quarto in 70 minuti, si schianta vicino al cimitero.