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La Stampa Rassegna Stampa
26.11.2006 Odio e bugie sparsi a piene mani dal quotidiano torinese
nuovo il formato, nuova l'impaginazione, immutato il marchio igormanesco

Testata: La Stampa
Data: 26 novembre 2006
Pagina: 41
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «L'orrore dei campi profughi si combatte con la penna»

Si direbbe che Igor Man abbia trovato un erede. Non che l'impresa fosse difficile, nei nostri quotidiani c'è semmai solo l'imbarazzo della scelta. Ma avviandosi ormai verso i cent'anni, il nostro Manzella (è il suo vero cognome) doveva essere affiancato da una penna più giovane. Chi se non Farian Sabahi, che sulla STAMPA non perde occasione per raccontarci quanto la repubblica islamica dell'Iran ha tante buone ragioni da venderci ? Il suo zelo non si ferma però all'Iran, appena può ci rifila pappe anti-Israele, enormi bufale, nelle quali  Israele fa la parte del mostro. Nella letteratura di propaganda contemporanea non mancano certo gli esempi. Buona parte dei nostri editori sono come cani da tartufo nello scovare il romanzo, la biografia,la testimonianza, da poter usare per picchiare sulla testa Israele. Come fa la Sabahi sulla STAMPA di oggi, 26/11/2006, a pag.41, con l'intervista a Susan Abulhava, che con difficoltà definiamo scrittrice, autrice di un libello di propaganda palestinese pieno di menzogne. La Sabahi inizia il suo pezzo con una citazione dal libro che arriva al lettore come un pugno nello stomaco. Peccato che sia una invenzione, l'ennesima, spacciata per verità storica. Il resto è un'intervista che lasciamo leggere ai nostri lettori. Invitandoli a scrivere alla STAMPA e-mail di fuoco contro la inaudita propaganda che - tramite Farian Sabahi - il quotidiano torinese diffonde a piene mani. Sulle citazioni di Martin Luther King, tirato impropriamente dalla parte palestinese, ricordiamo invece quanto scrisse ad un amico antisraeliano " chi è antisionista è antisemita, ricordalo sempre", ma questo Luther King non piace alle nostre due propagandiste di odio e bugie, e si capisce bene. In quanto al titolo, "L'orrore dei campi profughi si combatte con la penna", andrebbe fatto leggere,più che ai lettori della STAMPA ,ai terrroristi suicidi palestinesi, responsabili dei più orribili massacri di innocenti sul suolo israeliano. Altro che penne !

Ecco l'articolo:

E poi c’erano i neonati. Corpicini tutti scuri perché erano stati massacrati più di ventiquattr'ore prima e ormai erano in via di decomposizione: gettati in mucchi di spazzatura assieme ai barattoli di razioni delle forze armate americane, all’equipaggiamento medico dell'esercito israeliano e a bottiglie vuote di whisky. Come fa un soldato israeliano a rimanere a guardare mentre i campi profughi si trasformano in un mattatoio?» Chi se lo domanda è Susan Abulhawa, autrice del romanzo Nel segno di David (appena pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer, traduzione di Claudia Leonetti, pagg 367, euro 17) in cui racconta, con una rara potenza narrativa, il massacro di una famiglia araba e il rapimento di un neonato da parte di un soldato israeliano la cui moglie non può avere figli.
Che cosa è per lei il terrorismo?
«Il terrorismo non ha nulla a che vedere con noi palestinesi, vittime della crudele e prolungata occupazione militare israeliana. La nostra è resistenza, il terrorismo è ciò che gli israeliani hanno fatto a noi».
Lei è palestinese ed è cittadina americana: si sente a suo agio negli Stati Uniti, anche se appoggiano Israele?
«Sono nata in un campo profughi e ho iniziato a essere trattata come un essere umano solo dopo avere ottenuto il passaporto americano. Sono consapevole che le mie tasse contribuiscono a opprimere il mio popolo, ma ogni cosa ha il suo prezzo. Noi palestinesi siamo considerati dei mendicanti senza Stato. Sono quindi felice di avere il passaporto a stelle e strisce, anche se la stampa americana non è onesta e le falsità scritte sui giornali contribuiscono a diffondere l'ignoranza. Una settimana dopo il massacro di Sabra e Chatila, per esempio, il Newsweek decretò che la notizia più importante degli ultimi sette giorni era la morte della principessa Grace».
Quale soluzione può portare alla pace?
«Negli Stati Uniti, durante le dimostrazioni, gli attivisti usano lo slogan di Martin Luther King: “non c'è pace senza giustizia”. Nel 1948 ebrei stranieri arrivarono in Palestina, dove per secoli avevano convissuto culture e religioni diverse, e la trasformarono in uno Stato ebraico. Oltreché su questa premessa razzista, Israele nasce dall'espropriazione delle terre alla popolazione nativa, i palestinesi, gettati come immondizia nei campi profughi. Non ci potrà essere pace finché queste ingiustizie non saranno riconosciute ed espiate. La storia non può essere cancellata, ma nemmeno gli insediamenti di migliaia di coloni ebrei in Cisgiordania: il destino degli arabi è quindi legato, inesorabilmente, a quello degli israeliani. La sola soluzione è un unico Stato dove tutti sono cittadini alla pari, come in Sudafrica. La costituzione dovrà essere stilata in modo da evitare che un gruppo possa sopraffare l'altro. Ci vorrà tempo, ma solo la giustizia potrà condurre alla pace. E non potrà esserci giustizia se i palestinesi non potranno vivere come liberi cittadini nella terra dove sono sepolti i loro avi».
Lei ha fondato l'Ong Playground for Palestine che costruisce postazioni di gioco per i bambini. Oltre al gioco è necessaria l'istruzione…
«Sì, è fondamentale per la resistenza che vuole ottenere giustizia e, infatti, Israele ha più volte cercato di chiudere le scuole palestinesi perché, parafrasando Martin Luther King, la penna è una spada potente».

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