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La Repubblica Rassegna Stampa
24.11.2006 Da che pulpito
Al Jazeera dà lezioni di giornalismo corretto

Testata: La Repubblica
Data: 24 novembre 2006
Pagina: 11
Autore: la redazione
Titolo: «Il giornalismo al tempo della guerra»
La Reuters, l'agenzia di stampa nota per le foto truccate della guerra in Libano (i responsabili sonom poi stati licenziati) ha organizzato un convegno sulla correttezza dell'informazione in tempo di guerra.
A dar lezioni e pagelle quel modello di equità che Al Jazeera, noto megafono del terrorismo e del fondamentalismo e propagatrice dell'odio antisraeliano , antiamericano e antioccidentale.
Ecco il testo:


LONDRA - Il giornalismo può e deve imparare dai suoi errori: come quello commesso in Iraq, dove ha inizialmente accettato per buona, perlomeno negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, la propaganda pro-guerra dei rispettivi governi, mentre oggi sembra aver appreso la lezione. Il giornalismo può e deve aprirsi a nuove forme di comunicazione e informazione, come Internet, i blog, i citizen journalists armati di videofonino: ma il ruolo dei media "di qualità" rimane insostituibile per ogni democrazia.
Si può riassumere così il dibattito che si è svolto questa settimana all´università di Oxford per l´inaugurazione del Reuters Institute for the Study of Journalism, il primo istituto di studio e ricerche sul giornalismo, aperto dal più antico e prestigioso ateneo d´Europa. Nato da un´idea di John Lloyd, commentatore del Financial Times, ex-corrispondente dall´estero, ex-direttore di giornali, e di Timothy Garton Ash, direttore del Centro Studi Europei della Oxford University, columnist di fama internazionale, autore di saggi best-seller (entrambi autorevoli collaboratori del nostro giornale), e sponsorizzato dall´agenzia di stampa britannica Reuters, l´Institute for the Study of Journalism ha come obiettivo quello di diventare un polo di discussione tra accademici, esperti e giornalisti, per analizzare i temi e le trasformazioni del giornalismo odierno in una prospettiva globale. Un´iniziativa che ha come modelli due istituti analoghi presso le università di Harvard e Stanford in America. Un progetto ambizioso, come ha testimoniato questa settimana il dibattito inaugurale.
Tema: «Il giornalismo dopo l´Iraq». Partecipanti: Garton Ash come mediatore, il direttore del Washington Post Leonard Downie, il direttore di al Jazeera Wadar Khanfar, la direttrice dei telegiornali della Bbc Helen Boaden. Tra il pubblico, i direttori e gli editorialisti dei più importanti giornali britannici. Quello che segue è un estratto della discussione.
Downie. «Il momento non potrebbe essere migliore per una riflessione sul giornalismo. Il nostro mestiere è alle prese con grandi cambiamenti, di forma, di sostanza, economici, tecnologici. E la guerra in Iraq è un buon test di queste trasformazioni. Il Washington Post ha mandato in Iraq 70 giornalisti, assistiti da 30 collaboratori iracheni. Il loro lavoro ha prodotto migliaia di articoli e cinque libri sulla guerra. Uno sforzo massiccio, che tuttavia è stato giustamente criticato. Abbiamo accettato troppo passivamente la tesi che l´Iraq nascondeva armi di distruzione di massa, e che Saddam aveva legami con al Qaeda. Accetto la responsabilità di questo errore. Avremmo dovuto essere più aggressivi. In seguito lo siamo stati, raccontando gli abusi sui prigionieri ad Abu Ghraib, il caos della strategia militare della coalizione, l´attacco alle libertà civili negli Usa e altrove.
Resta il fatto che la copertura della guerra da parte del nostro giornale, dei media americani e dei media occidentali in genere sottolinea le nuove sfide del giornalismo. Tutti i governi, dalla Cina alla Russia a quelli occidentali, cercano oggi di controllare maggiormente l´informazione».
Garton Ash. «Mi viene in mente un vecchio detto del giornalismo: prima semplificare una notizia, poi esagerarla. Non credo che funzioni più. I governi, le lobby, la pressione economica, complicano il mestiere di riportare la verità. Come influiscono, su tutto ciò, le nuove tecnologie»?
Downie. «Il trend è tagliare i costi, ridurre le dimensioni del formato e dello staff, puntare sempre più sull´edizione Internet e su nuove forme di comunicazione e informazione, come i blog, che hanno aperto nuove prospettive. Tutto ciò significa che i grandi giornali e grandi media dovranno lavorare sempre più duramente per fare coesistere la qualità con l´efficienza economica. Ma attenzione: i cosiddetti "cittadini giornalisti", che fanno circolare notizie e commenti con blog e video fatti in casa, non dispongono delle risorse, per non parlare della professionalità e dell´esperienza, che ad esempio ci ha consentito di raccontare per esteso la guerra in Iraq, lo scandalo di Abu Ghraib e Guantanamo, la corruzione del Congresso. Internet è un vantaggio per i media, perché ci consente di raggiungere un pubblico molto più ampio. Ma proteggere e rafforzare il giornalismo di qualità rimane prioritario per le aziende più serie. Non basta dare sempre più spazio alle opinioni di tutti, occorre anche cercare le notizie».
Khanfar. «Vorrei sottolineare un difetto della copertura della guerra nei media occidentali, in particolare in quelli americani e britannici. In Iraq e in Afghanistan il patriottismo ha accecato per troppo tempo la valutazione di quanto stava accadendo. Inoltre è mancata una reale comprensione del tessuto sociale di quei Paesi. Io ricordo che nel mondo arabo c´era molto scetticismo sulla riuscita della guerra, perché conoscevamo meglio la complessità di quelle civiltà millenarie. Faccio un esempio: al Jazeera mantiene un ufficio a Mogadiscio perché riteniamo che la Somalia sia e resterà una grossa storia. Spesso l´atteggiamento dei media è arrivare in un Paese solo quando il conflitto è visibile. E allora è spesso più difficile comprenderlo».
Garton Ash. «Ma molti media hanno un problema che la proprietà di al Jazeera evidentemente non ha: devono fare i conti con i lettori, con l´audience. Non sempre puoi investire in una storia se non c´è abbastanza ascolto per giustificarla in termini economici».
Boaden. «È una buona osservazione. Alla Bbc noi possiamo permetterci di dare tutti i tipi di notizie a tutti i tipi di pubblico, attraverso i nostri vari canali televisivi e radiofonici: alcuni più popolari, altri più difficili e selettivi. Un giornale, viceversa, deve cercare di soddisfare contemporaneamente gli interessi di tutti i tipi di lettori su tutti i tipi di argomenti. Così a volte è costretto a fare delle rinunce».
Downie. «Anche i giornali, naturalmente, cercano di frammentare e diversificare. L´edizione Internet permette di attirare su pagine diverse un tipo di pubblico differente. Al Post abbiamo lanciato un giornale gratuito che viene distribuito sulla metropolitana, per una lettura agile. Stiamo provando ad adeguarci a esigenze nuove».
Khanfar. «Riconosco il nostro vantaggio: il sostegno economico della nostra proprietà non è collegato all´esigenza di fare dei profitti, almeno per ora. Ma l´obiettività e l´equità sono valori universali, che ognuno deve cercare a suo modo di difendere. Se il futuro del giornalismo è Fox News, la rete super patriottica di Murdoch in America, c´è da avere paura».
Boaden. «Fox News, bisogna dire, è molto brava a ottenere un largo ascolto, molto abile a comunicare, e non prova neppure a fingere di essere obiettiva».
Downie. «Quello di Fox News, del resto, più che giornalismo è uno show, uno spettacolo molto ben confezionato».
John Lloyd. «Mi domando, tornando al discorso iniziale del direttore del Washington Post, se è veramente possibile arrivare alla verità in un mondo sempre dominato dalla segretezza e dal controllo dell´informazione dall´alto».
Downie. «Sull´esistenza di armi biochimiche in Iraq o sui legami tra Saddam e al Qaeda c´era poco scetticismo, nella società e nei media: la stragrande maggioranza era convinta che le cose stessero come diceva la Casa Bianca. Io ero un giovane caposervizio cronaca del Post quando scoppiò il caso Watergate, e ricordo che anche allora gli scettici erano pochi: la maggioranza credeva a Nixon, non a due reporter novellini del nostro giornale. Ma allora andammo avanti lo stesso».
Boaden. «C´è una differenza tra America e Gran Bretagna, sull´Iraq, che va sottolineata. Io sono orgogliosa del grado di scetticismo dei nostri media e in particolare alla Bbc, un ente pubblico, di fronte alla versione dei fatti data da Downing street sulla guerra».
Khanfar. «La nostra regola è che, se diamo un´opinione, dobbiamo dare sempre spazio anche all´opinione contraria. Al Jazeera è stata la prima rete araba a intervistare funzionari e opinionisti israeliani. Venimmo criticati per questo, molti dissero che eravamo pagati dal Mossad e dalla Cia. Adesso lo fanno anche altre tivù arabe. Il mondo cambia anche così, poco alla volta».
Downie. «Per concludere: indipendenza, coraggio di andare controcorrente, questi sono e resteranno un pilastro del giornalismo anche nell´era di Internet e dei blog. E per garantire la propria indipendenza un giornale ha un solo mezzo: cercare di essere rilevante, far sentire la propria voce, informare e interessare. Non permettere che sia l´audience a dettare i tuoi gusti».

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