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Il Foglio Rassegna Stampa
24.11.2006 Un ex presidente riciclato nel circo dell'odio verso Israele
Giulio Meotti recensisce i falsi storici di Jimmy Carter

Testata: Il Foglio
Data: 24 novembre 2006
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Per accusare Israele Carter riscrive la storia del medio oriente»
Dal FOGLIO del 24 novembre 2006:

Un mese fa il capo di Hamas, Khaled Mash’al, intervistato dal quotidiano egiziano al Hayat ha detto: “Esiste un’entità chiamata Israele, non ho intenzione di riconoscerla”. Poi è la volta del premier palestinese Ismail Haniyeh, anche lui di Hamas: “La nostra legittimità si fonda sul jihad contro l’occupazione sionista”. E il portavoce del governo dell’Autorità nazionale palestinese, Ghazi Hamed, parlando all’Herald Tribune ha aggiunto: “Israele deve essere cancellato dalla faccia della terra”. Due quotidiani iraniani, Kehyan e Resalat, hanno incitato gli islamici alla “grande guerra” contro Israele. In questo quadro rassicurante, l’ex presidente americano, il democratico Jimmy Carter, Nobel per la pace e gran cerimoniere del primo Camp David, se ne esce con il libro “Palestine: Peace, not Apartheid” (Simon & Schuster). Carter non solo suggerisce l’analogia melmosa fra modello sudafricano e israeliano, ma azzera virtualmente il terrorismo palestinese in una ricostruzione accecata dall’ideologia e dall’odio moralista. L’idea centrale del libro è che il terrorismo è iniziato con i “militanti ebrei” nel 1939, scaricando nell’amnesia il massacro dieci anni prima di cento fra rabbini e studenti israelitici nella città di Hebron. Venne distrutta la millenaria presenza giudaica nella Città dei Quattro e un ebreo vi rimetterà piede solo nel 1967. Dalla parodia storica di Carter manca ogni accenno alla strage ebraica di Monaco 1972, alle carneficine ordite dall’Olp prima dell’occupazione dei Territori e all’importazione di armi da parte di Yasser Arafat (nave Karine A). Non una parola viene spesa per 850 mila profughi ebrei che fuggirono dai paesi arabi tra il 1922 e il 1952, comprese due leggi irachene simili a quelle di Norimberga (negazione della cittadinanza agli ebrei e confisca delle proprietà). Carter suggerisce che fu Israele a scatenare la Guerra dei Sei giorni e lamenta la distruzione del reattore iracheno di Osirak da parte dei caccia di Gerusalemme. L’ex presidente passa quindi alla denuncia della negazione della libertà di culto a cristiani e musulmani da parte degli zeloti ebrei. Nemmeno uno spillo storico appuntato sulla liquidazione della presenza ebraica dal 1948 al 1967 in Cisgiordania e Gerusalemme est, quando gli hashemiti violarono e devastarono i luoghi di culto biblici, anticipando la fine a Nablus della tomba di Giuseppe incenerita dagli ascari islamici. Colpa sempre di Israele se la leadership palestinese ha rifiutato la lauta offerta fatta nel 2000 dall’allora premier israeliano Ehud Barak. La guerra contro Hezbollah dell’estate 2006, si apre per Carter con la “cattura” di due soldati di Tsahal. Carter non usa “rapimento”, una cattura puoi condonarla e comprenderla, specie se ometti di ricordare che è avvenuta in suolo israeliano. E soprattutto se hai già bollato come “democratica” e “ben fatta” la farsa elettorale palestinese del 1996. Il libro accusa inoltre le corti israeliane di legittimare la “tortura” e imputa a Israele la responsabilità dell’“esodo dei cristiani dalla Terra Santa”, dovuta in realtà all’islamizzazione dei guerrasantieri oggi al governo dell’Anp. Come allora rimase sordo alle richieste dello scià di fronte all’incalzare degli ayatollah, oggi Carter non sente il canto del cigno dei cristiani di Betlemme. Quanto al “muro” israeliano, la barriera difensiva eretta per fermare l’industria dei kamikaze, Carter ne fa un motivo di ossessione, degno partecipante del concorso indetto a Teheran per le vignette sulla Shoah. I mullah persiani hanno premiato un artista marocchino la cui vignetta raffigura una gru israeliana che allinea blocchi di cemento imprigionando la moschea al-Aqsa, mentre sul muro compare l’immagine di Auschwitz. Ironia ha voluto che sulla funzione strategica della barriera, a Carter abbia risposto Ramadan Shalah, il leader della Jihad islamica palestinese, organizzazione finanziata da Siria e Iran responsabile di molte stragi ai danni dei civili israeliani (l’ultima lo scorso 17 aprile alla stazione degli autobus di Tel Aviv: 9 morti, 80 tra feriti e mutilati). Durante un’intervista all’emittente di Hezbollah al-Manar, Shalah ha riconosciuto che la barriera israeliana costituisce un ostacolo alla “lotta armata”: “La barriera di separazione è un ostacolo alla lotta armata, se non ci fosse la situazione sarebbe completamente diversa”. Jimmy Carter ha scritto che “la lobby ebraica controlla la politica americana, tranne i radiosi anni dal 1977 al 1981”. I suoi. C’è qualcosa di tristemente comico nella lunga caduta di Carter. Il Washington Post parla di tendenza a “flirtare con qualsiasi dittatore, quantunque odioso”. Come il tiranno Mengistu, come il maresciallo Tito (“uomo che crede nei diritti umani”) e il satrapo Kim Il Sung (“vigoroso e intelligente”), come Leonid Breznev a cui diede un umido bacio. Da leggere il capitolo in cui Jimmy e Rosalyn sono accolti in casa di Arafat. Peggio di un ex presidente disoccupato è solo un ex presidente disoccupato e pluripremiato dalle fondazioni arabe. Durante la Prima guerra del Golfo, l’Arabia Saudita era ai ferri corti con Arafat, che aveva deciso di sostenere Saddam, filantropo degli shahid di Ramallah. Arafat chiese a Carter di prendere un volo per Riad e mediare con i sauditi. Carter non ci pensò due volte.

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