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Il Manifesto Rassegna Stampa
24.11.2006 Grossman? Può servire, ma non odia Israele
il quotidiano comunista a caccia di israeliani "buoni"

Testata: Il Manifesto
Data: 24 novembre 2006
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Violenza, Israele, sinistra: bravo Grossman, ma non basta»

All'uso propagandistico del discorso tenuto dalla scrittore israeliano David Grossman in occasione della commemorazione di Ytzhak Rabin, Il MANIFESTO del 24 novembre 2006 aggiunge una rappresentazione parzialissima del dibattito della sinistra israeliana, che risulterebbe incentrato sull'insufficiente  radicalità delle critiche di Grossman a Israele.
Il sionismo era cattivo anche prima del 67, dice Meron Benvenisti,  bisogna parlare con Hamas e non con Abu Mazen, dice Uri Avnery,  e d'accordo con lui è Rapaport, intervistato da Michele Giorgio.

Del dibattito israeliano, in sostanza, filtrano soltanto le posizioni più radicalmente antisioniste  e filo-palestinesi.

Ma, anche a sinistra, in Israele c'è chi si rende conto che il paese è aggredito e deve difendersi.
E della natura fascista ( per meglio dire nazista) dei suoi aggressori.


Ma è certo che il quotidiano non intervisterà mai Ari Shavit, Yoel Marcus (giornalisti di Ha'aretz) Benny morris (storico revisionista) , Ilan Tsadik  (giornalista anarchico di Metula News Agency)...

Ecco il testo:

A tre settimane da quando è stato pronunciato a Tel Aviv in occasione dell'anniversario dell'assassinio di Yitzhak Rabin, il discorso dello scrittore David Grossman continua ad essere al centro del dibattito nella sinistra israeliana. Bocciata dalla destra, in parte ignorata dall'opinione pubblica, l'accusa di «leadership vuota» lanciata da Grossman al governo Olmert, unita ad un appello a dialogare ai «palestinesi moderati» scavalcando l'esecutivo in carica di Hamas, ha raccolto i consensi del Meretz (sinistra sionista), dell'ala progressista dei laburisti e del movimento Peace Now . Non sono però mancate critiche autorevoli nella sinistra. Tra questi c'è l'intellettuale Meron Benvenisti, che punta l'indice contro il pacifismo di maniera. Benvenisti, in un commento su Haaretz, ha accusato Grossman di aver parlato a nome di quella parte della popolazione ashkenazita, laica, nazionalista e vagamente socialista - che continua a pensare che il modello israeliano era perfetto ma si è rovinato dopo l'occupazione di Cisgiordania e Gaza nel 1967. L'intellettuale ha sottolineato che Grossman non ha condannato la decisione del governo Olmert di scatenare una guerra contro il Libano (nella quale peraltro lo scrittore ha perduto un figlio, Uri) ma la sua gestione. «In ciò la sinistra si è unita a coloro che lamentano la perdita della capacità di deterrenza, in modo da preparare Israele per nuovo round di battaglie», ha scritto Benvenisti. «Dove era (nel discorso di Grossman) l'appello alla lotta contro l'ingiustizia provocata dal muro, dall'assedio attuato con posti di blocco in Cisgiordania e contro Gaza, dove era l'appello contro l'uccisione di donne e bambini, la distruzione delle istituzioni dell'Anp, la deportazione di famiglie palestinesi perché prive di documenti?», ha concluso. Meno critico è stato il giudizio di Uri Avnery, leader di Gush Shalom. Il pacifista israeliano più noto all'estero «sottoscriverebbe - ha detto - il 90% del discorso di Grossman», tuttavia il rimanente 10% non è insignificante. «Piuttosto che concentrarsi su con chi Israele dovrebbe parlare (Abu Mazen) e con chi invece dovrebbe non parlare (Hamas), Grossman farebbe meglio a puntare la sua attenzione su quali punti Israele dovrebbe discutere con i palestinesi: fine dell'occupazione, una soluzione per il problema dei profughi palestinesi, ritiro alle linee del 1967, creazione di uno stato palestinese con capitale Gerusalemme Est. Sulla base di ciò è evidente che una proposta dovrebbe essere presentata alla parte (Hamas) che ora rappresenta la maggioranza dei palestinesi. Parlare con la parte che ora è in minoranza risulterebbe ingannevole e arrogante», ha detto Avnery. Che, inoltre, ha accusato Grossman di aver messo sullo stesso piano occupanti e occupati, descrivendo come simili le sofferenze di Tel Aviv e Gaza, di Rafah e Kfar Sava. Infine il pacifista, ricordando che in Israele esistono due modi di concepire il pacifismo, il primo, al quale apparterrebbe Grossman, sempre in linea con il «consenso nazionale» ed un secondo «che dice le cose come stanno e ad alta voce», invita a cogliere il contenuto spirituale e morale del discorso di Grossman invece dei suoi aspetti più politici. Il dibattito, almeno nella sinistra israeliana, quindi rimane aperto. Ne abbiamo parlato con Meron Rapaport, una delle firme più autorevoli di Haaretz e di recente autore di servizi sull'uso da parte di Israele delle bombe a grappolo durante l'offensiva in Libano della scorsa estate. Le parole di Grossman sul vuoto della leadership politica attuale hanno riscosso grande interesse all'estero e fanno discutere la sinistra israeliana. Grossman ha colto nel segno perchè non c'è mai stata una leadership nella storia di Israele sostenuta dal 60% del parlamento e dal 20% della popolazione. La sua descrizione del vuoto politico è stata perfetta. Allo stesso tempo non ha preso le distanze da quel modo di pensare tanto diffuso secondo il quale il problema sta nella gestione disastrosa della guerra in Libano e non nella scelta di entrare in quel conflitto. Grossman su questo punto ha rappresentato il sentire nazionale ma non l'opinione di coloro che ritengono che sia stato un grave errore combattere quella guerra. Inoltre se da un lato ha giustamente denunciato la decisione di Olmert di far entrare nel governo l'estremista di destra Lieberman, dall'altro non ha spiegato a sufficienza quali sono i pericoli che questa ingombrante presenza potrebbe avere per i destini del paese e la pace nella regione. Grossman ha fatto un quadro di Israele a tinte fosche: un Paese «invecchiato precocemente», in preda «alla follia e al razzismo», dove si registrano «crudeltà verso chi soffre, apatia verso i deboli, si è giunti al traffico delle donne, si sfruttano lavoratori stranieri, prende piede il razzismo verso la minoranza araba». Tutto ciò, ha aggiunto, nella massima naturalezza, senza scossoni, senza proteste. In cio' è stato brillante, le sue capacità descrittive sono eccezionali, ma ha toccato solo alcuni punti senza sfiorarne altri ugualmente importanti. Il vuoto della leadership di cui ha parlato, ad esempio, corrisponde ampiamente al vuoto che si registra da tempo nella popolazione. Non si può non essere preoccupati, e tanto, ragionando sul fatto che oggi molti israeliani si dichiarano disposti a votare, in ipotetiche elezioni, per un uomo d'affari spregiudicato come Arkadi Gaidamak (un russo immigrato in Israele) che non ha nulla da proporre al paese e pensa che tutto sia una questione di soldi. Molti, soprattutto all'estero, hanno evidenziato i punti più positivi del discorso di Grossman. Quali sono invece i punti deboli? Il principale, a mio avviso, è la sua idea che Israele debba evitare in ogni modo di parlare con Hamas e invece debba farlo solo con Abu Mazen. Ciò non serve a chi vuole mettere fine a questo conflitto perché Hamas rappresenta in questo momento la maggioranza dei palestinesi. Un altro è la sua visione di Olmert. Grossman attacca la leadership in generale ma non direttamente il premier, anzi lo esorta ad agire a svolgere un ruolo positivo. Mi lascia perplesso perché i fatti dimostrano che Olmert non potrà mai essere il leader di cui ha bisogno Israele per uscire dal tunnel.

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