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La Repubblica Rassegna Stampa
24.11.2006 La "vendetta" non spiega il terrorismo suicida
a differenza di quanto crede un giornalismo superficiale

Testata: La Repubblica
Data: 24 novembre 2006
Pagina: 8
Autore: la redazione
Titolo: «Gaza, kamikaze a 64 anni "Voleva vendicare il nipote"»
Sulla REPUBBLICA del 24 novembre 2006 la vicenda della donna  palestinese di 64 anni morta tentando di compiere un attentato suicida viene presentata come una tragedia provocata dalla violenza israeliana, che le aveva ucciso un nipote.

Non viene ricordato che le operazioni militari israeliane sono risposte a un'offensiva terroristica già in atto.
Inoltre, non ci si pone un elementare quesito: anche in Israele ci sono parenti di giovani uccisi e mutilati, ma tra di loronon c'è la volontà di uccidere civili palestinesi.
Quando ciò avviene per errore, Israele si scusa.
Quando un terrorista uccide deliberatamente civili israeliani, tra i palestinesi  si diffonde l'esultanza. Come mai?
Per l'azione di un'ideologia e omicida e suicida capillarmente propagandata.
La stessa che ha portato"Fatima"  alla morte e che prima via ha portato molti giovani palestinesi e israeliani.
La stessa che REPUBBLICA non denuncia, preferendo una rappresentazione superficiale e faziosa della realtà.

Ecco il testo:

GERUSALEMME - C´è anche un video che la immortala prima della missione suicida. Indossa un vestito nero, il viso stretto nel velo bianco che le nasconde i capelli e le scende sulle spalle, la fascia verde sulla fronte con la scritta di Hamas. E poi il kalashnikov, quasi più grande di lei, che tiene sollevato con le due braccia, le bandiere, sempre verdi, sempre piene di scritte, che fanno da sfondo al suo proclama, pronunciato con voce stridula, ma ferma. Fatima Omar Mahmoud al Najar, 64 anni, madre di 9 figli e uno stuolo di nipoti si è fatta esplodere ieri pomeriggio a pochi metri da una postazione di di Tsahal vicino al campo rifugiati di Jabalya, nella Striscia di Gaza. Una nonna. Attentatrice suicida. La più anziana, tra le pochissime figure femminili che la storia dei kamikaze ricordi. Sembrava un gesto di disperazione. In realtà è una vendetta. Cercata, voluta, ottenuta con l´ostinazione che solo una nonna, ferita in un dolore terribile, s´impone. Lo svela la figlia maggiore, Fatheya, anche lei colpita nei sentimenti più profondi. "Cercavamo vendetta", dice ai cronisti che sono riusciti a contattarla nel campo di Jabalya. "Loro, gli israeliani, ci hanno distrutto la casa, hanno ucciso suo nipote, mio figlio. Hanno ferito un secondo nipote che ora gira su una sedia a rotelle senza più una gamba. Volevamo fare qualcosa, reagire, placare tutto il dolore che ci portiamo dentro".
Madre e figlia ci riflettono. Ne discutono per ore, forse giorni. I ricordi delle cannonate sulle case di Beit Hanun dove stava dormendo un´intera famiglia di 18 persone, tra cui molte donne e bambini, sono ancora vivi. Fatheya ha perso un figlio. Fatima un nipote. L´altro nipote si è salvato per un soffio. Aveva una gamba maciullata dalle schegge dei colpi di mortaio. Rischiava la cancrena, i medici hanno dovuto amputare. E ora si trascina su una sedia a rotelle. Dentro la nuova casa, da altri parenti. "Mia nonna", racconta ancora ai cronisti Fatheya, "alla fine prende una decisione. Io l´assecondo. Decidiamo di farci esplodere. Vogliamo morire come martiri, vendicare la morte del nostro piccolo. Andiamo alla moschea, spieghiamo quello che vogliamo fare. Molti fanno resistenza. Ma noi ci imponiamo. Pretendiamo giustizia e pretendiamo di ottenerla nel modo che consideriamo più giusto. Alla fine, la nostra richiesta è accettata. Ma lei, mia madre, decide di farlo da sola".
Le missioni suicide prevedono un rito particolare. Ci si prepara spiritualmente, ci si lava, si indossano i migliori vestiti, si lascia una sorta di testamento, si registra un video che resterà a futura memoria. C´è il proclama, il saluto ai parenti e agli amici, l´obiettivo da compiere e i motivi per cui si va a morire suicidi. Fatima Omar Mahmoud al Najar segue tutta la trafila con impegno e scrupolo. Indossa i vestiti che qualcuno le ha preparato, si stringe la fascia verde e bianca di Hamas sulla fronte, imbraccia il fucile mitragliatore, guarda la videocamera e spiega il senso della sua missione. Poi arriva il momento di andare. Qualcuno ha già preparato la cintura esplosiva. Panetti di tritolo confezionati da veri artigiani del terrore. Sono collegati tra loro da un filo che termina con il detonatore. C´è un gancio: basta tirarlo e i panetti di tritolo esplodono in contemporanea. E´ il primo pomeriggio di ieri. Per tutto il giorno, la parte a nord della Striscia si è svolta una battaglia campale. Almeno mille soldati di Tsahal, coperti e scortati da un centinaio di carri armati, da ore avanzano verso Gaza city. Il premier Olmert ha deciso di un nuovo piano. Bisogna spingersi dentro la Striscia per almeno cinque chilometri. Bisogna impedire nuovi lanci di Qassam verso Israele. Sderot, 28 mila abitanti, un tempo paradiso per moltissimi emigrati ebrei delle ex reoubbliche sovietiche, si è trasformata in una città fantasma. L´esercito dell´Idf avanza con difficoltà. Incontra molta resistenza. I razzi continuano a piovere oltre il confine. Intervengono i caccia, gli elicotteri. Con l´aiuto dei droni e le mongolfiere munite di telecamere sofisticate, bombardano alcuni palazzi e terreni da dove è partita l´ultima salva di razzi. La battaglia si concentra attorno al campo di Jabalya. Le telecamere dicono che le cellule degli artiglieri palestinesi di sono rifugiati in quella zona. Moriranno in sette. Due esponenti di spicco dei Comitati di resistenza popolare, tra cui il comandante militare della zona nord della Striscia, Fayeq abu al Qumsan, sono centrati da un missile mentre girano attorno al campo a bordo della loro auto. Poi, nel primo pomeriggio, la battaglia concede una tregua. Alcune pattuglie di soldati sono già alle porte di Gaza city. Pochi chilometri più in là, il presidente Abu Mazen torna a incontrare il primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh. Cerca di ricucire lo strappo di mercoledì scorso quando le trattative per la formazione di un nuovo governo si sono arenate per l´attribuzione dei ministeri. I due parlano. Nonna Fatima è già in viaggio verso la morte. Avanza a piedi, lungo uno sterrato che si apre su un campo pieno di buche provocate dalle bombe e dai mortai. I soldati sono a poche centinaia di metri. Le ordinano di fermarsi. Capiscono che indossa un corpetto esplosivo. Lei continua a camminare. Adesso è a poche decine di metri. Le lanciano contro una granata, poi sparano altri colpi. Fatima salta in aria. Tre soldati vengono feriti dalle schegge. Ferite lievi. Della nonna-kamikaze restano solo pochi brandelli. E quel video che sua figlia Fathya conserva con orgoglio. Naufraga in un mare di tristezza e di dolore.

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